Ispezione del lavoro
Potere disciplinare: difese e limiti
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 30/04/2015 Connotazione tipica del lavoro subordinato è il riconoscimento normativo in capo al datore di lavoro del diritto di esercitare un potere disciplinare, di natura sanzionatoria, a fronte di comportamenti che costituiscano inosservanza degli obblighi contrattuali. La sanzione disciplinare rappresenta l’ultimo atto del procedimento disciplinare, i cui termini e le relative fasi sono sanciti principalmente dall’art. 7 della L. n. 300/70 e dalle previsioni contrattuali.Attenzione ad offendere un sindacalista!
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 23/04/2015 Fumogeni, fischietti, bandiere e striscioni: Rebecca con il suo armamentario, pur non amando il calcio, non sfigurerebbe in curva. La fronte increspata e le sopracciglia corrugate le sono valse il soprannome di “Madame cipiglio”, segni esteriori di un carattere ruvido e pugnace, sempre incline alla battaglia.La nostra paladina dei diritti dei lavoratori opera in una società di telecomunicazioni e la settimana scorsa ha partecipato, come delegata sindacale, alla riunione indetta dalle RSU dell’azienda. Il giorno successivo constata che uno dei membri delle RSU ha informato mediante mail tutti i dipendenti dell’azienda sull’esito della riunione. Ma Rebecca ritiene parziale e omissivo quanto riportato dal rappresentante dei lavoratori, sicché, in qualità di delegata sindacale (e anche per fare del proselitismo…), decide di scrivere una mail in risposta, riportando con maggiore accuratezza le diverse posizioni emerse. La missiva in formato elettronico contiene un linguaggio pungente e sferzante, ma non oltraggioso.
Apriti cielo! Alcuni dipendenti, i quali peraltro ricoprono posizioni di responsabilità, prendono a pretesto la mail ricevuta da Rebecca e, utilizzando indebitamente la mail aziendale, la denigrano “urbi et orbi”. Molti colleghi della nostra sindacalista si rendono conto che la risposta “dell’oligarchia” è dovuta più a rancori del passato che alla recente e inoffensiva mail di Rebecca, ma nessuno ha il coraggio di prendere posizione pubblicamente.
Sembra quasi che al posto dei cartelli “Vietato fumare” ne compaiano degli altri con scritto “Tengo famiglia”. Oltretutto, si vocifera che il dirigente dell’azienda abbia conseguito un Master di II livello in “Scienze pilatesche e moralmente disdicevoli”, perciò tutto tace.
Ma Rebecca non ci sta e denuncia per attività antisindacale il dirigente (art. 28 della L. n. 300/70), ritenendolo connivente, in quanto non ha avviato alcun procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti che hanno offeso un sindacalista nell’esercizio delle sue funzioni. Ma anche questi ultimi lavoratori, a detta di Rebecca, non se la passeranno liscia: sono già stati chiamati in causa davanti al tribunale, poiché sfruttando la propria posizione gerarchica hanno tentato di intimorirla.
Diritto di critica e condotta antisindacale
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 23/04/2015 L’art. 28 della L. n. 300/70, stabilisce che “qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”.Il fallimento blocca gli ispettori
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 16/04/2015 L’impresa “Solventi snc di Tracolli Dino & C.” veleggiava ormai da tempo in acque agitate. Difficile invertire la rotta quando il naufragio è alle porte, probabilmente il timone andava virato qualche anno fa. “Non c’è niente di peggio che avere consapevolezza del proprio triste destino e non poter far nulla per evitarlo”, ripeteva spesso l’amministratore dell’impresa di produzione di sostanze chimiche industriali confidandosi con gli altri due soci.La passione per la vela emergeva in ogni discorso: “In mare aperto lo sconforto ti prende quando ti accorgi che non puoi schivare l’impatto con uno scoglio”. Questa volta, poi, il destino sembra accanirsi in modo beffardo con la società di Dino Tracolli: è stato dichiarato insolvente dopo aver prodotto e commercializzato per una vita i solventi!
Pochi giorni dopo la sentenza del tribunale fallimentare, i lavoratori si presentano in massa all’Ispettorato del Lavoro, denunciando il mancato pagamento delle spettanze economiche maturate nel corso del rapporto lavorativo.
L’attivazione dei funzionari ministeriali è immediata e nel giro di un paio di mesi riescono ad avere il quadro completo della situazione sotto mano. C’è poco da discutere: bisogna adottare le diffide accertative per i crediti patrimoniali (art. 12 D.lgs. 124/2004) e i correlati provvedimenti sanzionatori.
Ma il Ministero del Lavoro (nota prot. n. 37/0004684 del 19/03/2015) ha di recente chiarito che in caso di fallimento non si può procedere nei confronti dell’impresa, in quanto va rispettata la par condicio creditorum. Agli ispettori non resta che quantificare l’ammontare del credito vantato dai lavoratori e l’importo relativo ai provvedimenti sanzionatori, al fine di permettere all’amministrazione di appartenenza di insinuarsi al passivo.
E Dino Tracolli, che fine ha fatto? In queste situazioni è facile cedere al pessimismo e meditare comportamenti distruttivi. Dino fortunatamente si ricorda quando parecchi anni prima ascoltava con il proprio figlio un’intervista di Michael Jordan, il grande cestista che il primogenito cercava invano di emulare: “Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”.
Diffida alle imprese fallite. Quale procedura?
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 16/04/2015 Con nota prot. n. 37/0004684 del 19/03/2015 (in “Edicola” del 23/03/2015, ndr), il Ministero del Lavoro ha chiarito l’annosa questione dell’adozione o meno della diffida accertativa nei confronti delle imprese fallite. In quell’occasione, il Dicastero ha stabilito che tale diffida, per il rispetto del principio della par condicio creditorum che governa l’azione fallimentare, non deve essere munita del decreto direttoriale ex art. 12, comma 3, del D.lgs. n. 124/2004; non deve, quindi, acquisire efficacia di titolo esecutivo. Si tratta di una soluzione anticipata con lungimiranza dagli scriventi nell’articolo n. 24/2012, pubblicato in questa rivista telematica.Quando si chiude un cantiere è più facile licenziare
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 02/04/2015 Bruno aveva solo 16 anni quando capì che cosa significasse fare il muratore. Lo zio aveva una piccola impresa edile e Bruno già da un paio di anni frequentava un istituto scolastico a corrente alternata; sfogliare qualche quotidiano sportivo due/tre volte alla settimana era l’unico impegno intellettuale del ragazzo.Ben presto Bruno scoprì che la fatica fisica e la dura vita di cantiere fanno rimpiangere il tempo in cui si è deciso di non studiare. “Tornassi indietro, mi piacerebbe diventare geometra”: questa frase veniva pronunciata spesso, con ancora maggior frequenza nelle giornate di freddo, quelle che ti gonfiano e induriscono le mani.
Quando l’anziano zio decise di chiudere l’impresa, Bruno non se la sentì di mettersi in proprio, non aveva la struttura mentale per ambire a un salto del genere e i tempi ormai non erano gli stessi di quelli in cui aveva cominciato il suo parente. Cambiò un paio di imprese e alla fine cominciò a lavorare per una grande azienda.
Giunto al suo 52° compleanno, Bruno riceve la raccomandata contenente la lettera di licenziamento. “Era nell’aria – borbotta mestamente all’amico sindacalista – il lavoro di costruzione della superstrada è terminato e ci hanno detto che siamo in troppi. Ma se mi cacciano via ora, chi mi riprende? Perché hanno scelto proprio me? Mi sono sempre dato da fare, ho tanta esperienza…”.
“Semplice – risponde, all’apparenza con scarsa partecipazione, il sindacalista – perché il datore di lavoro può scegliere a suo piacimento. Il tuo settore lavorativo è particolare: in Edilizia non si è costretti a rispettare le procedure previste dalla disciplina sui licenziamenti collettivi (L. n. 223/91). Quando i lavori terminano (Corte di Cassazione, sentenza n. 4349 del 04/03/2015), se il datore di lavoro dimostra di non poter utilizzare i lavoratori in altre mansioni compatibili e il lavoratore non indica altri posti in cui può essere occupato, quest’ultimo può essere licenziato”.
Bruno già barcolla, ma il colpo di grazia arriva di lì a breve; spetta all’amico sindacalista pronunciare la sentenza di condanna: “Se anche riuscissimo a dimostrare qualcosa, sappi fin d’ora che non sarai reintegrato nel posto di lavoro e che l’eventuale illegittimità del licenziamento ti porterà solo un indennizzo economico” (art. 10 D.lgs. n. 23/15).
Imprese edili e licenziamenti collettivi: si applicano le procedure di mobilità?
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 02/04/2015 La disciplina dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è contenuta nella L. n. 223/91. Elementi caratterizzanti dei licenziamenti collettivi sono: 1. la dimensione occupazionale dell’impresa, nel senso che questa deve avere una soglia pari o superiore a 15 dipendenti; 2. il numero dei licenziamenti, giacché questi devono essere pari o superiori a cinque dipendenti; 3. l’arco temporale, di regola di 120 giorni, entro cui debbono essere effettuati i licenziamenti.I controlli a distanza e le prospettive di riforma
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 26/03/2015 Il datore di lavoro esercita nei confronti del lavoratore, oltre al potere direttivo e a quello disciplinare, anche il potere di controllo volto a verificare che il dipendente esegua correttamente la prestazione richiesta. Il potere di controllo, tuttavia, non è assoluto, ma è soggetto a limiti volti a garantire il rispetto del diritto dei lavoratori alla propria dignità e riservatezza.Posso licenziare una lavoratrice incinta al termine dell’apprendistato?
Enrico Presilla e Andrea Seppoloni - Ispettorato Territoriale del Lavoro di Perugia | 19/03/2015 L’arredamento dell’ufficio del rag. Delli Conti sembra inconsapevolmente ispirato ai dettami dell’Arte Povera di fine anni sessanta: nessuno spazio per i mezzi espressivi pittorici, solo l’esclusivo utilizzo di materiali non elaborati, manifestazione della cosiddetta “immediatezza sensoriale”.Scrivania di legno molto scuro, probabilmente wengé, calcolatrice elettronica scrivente con scontrino, neon, sedie di plastica avana, penne raccolte in un cilindro nero, qualche foglio scarabocchiato accanto al vecchio pc con schermo a tubo catodico e un étagère dietro alle spalle per sostenere la vecchia stampante ad aghi. Sulla destra, il telefono; nulla più dell’essenziale.
Al secondo squillo, il rag. Delli Conti risponde con tono monocorde. La richiesta non è delle più semplici, soprattutto per lui, abituato a cifre, operazioni e percentuali, ma poco avvezzo allo studio degli istituti contrattuali giuslavoristici.
Che succede se una lavoratrice con contratto di apprendistato, che il datore di lavoro non intende proseguire, rimane incinta poco prima della scadenza di tale contratto? Delli Conti sa tutto dell’Elemento Distinto della Retribuzione ed è competente sulle aliquote contributive, ma non ama giocare a Trivial Pursuit, specialmente quando sa di non poter fare bella figura con gli amici.
Ritiene di risolvere la questione alla vecchia maniera: telefono in mano, Ispettorato del lavoro dall’altra parte della cornetta, un ispettore che conosce da una trentina d’anni. E così scopre che l’interpello n. 16/2012 del Ministero del Lavoro prevede che nel contratto di apprendistato il termine di preavviso di licenziamento della lavoratrice madre non decorre allo spirare del periodo di formazione, ma allo scadere dell’anno di età del bambino.
L’ispettore aggiunge che la tesi del Ministero non lo convince fino in fondo, perché al termine del periodo di formazione il contratto di apprendistato prosegue e la legge dispone che la lavoratrice venga qualificata a tempo indeterminato. Sicché, stante lo status di lavoratrice madre, opera il divieto di licenziamento (art. 54 del T.U. n. 151/01).
Delli Conti ora ne sa di più sulla materia, ma questa volta non ha trovato una risposta confezionata da fornire all’impresa.