Whistleblowing: quando è configurabile la ritorsione

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Whistleblowing: quando è configurabile la ritorsione

La prima pronuncia post riforma di tutela cautelare riconosciuta a un whistleblower ci obbliga a porre nuovamente l’accento sul tema della ritorsione e sulle nuove tutele garantite al lavoratore pubblico e privato (ma non solo) che segnala, denuncia all'autorità giudiziaria o contabile o divulga pubblicamente violazioni di disposizioni dell'Unione europea o di normative nazionali di cui si sia venuto a conoscenza nell’ambito lavorativo.

Il decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24 amplia considerevolmente la nozione di ritorsione e l’elencazione delle fattispecie che possono costituire ritorsione, superando la precedente suddivisione tra misure discriminatorie e ritorsioni prevista dalla disciplina di cui alla legge 30 novembre 2017, n. 179 e relative Linee guida ANAC n. 469/2021.

Prima di addentrarci nell’analisi delle novità va utilmente ricordato che la riforma del whistleblowing è efficace dal 15 luglio 2023. Sono abrogate le previgenti disposizioni, che continuano ad applicarsi alle nuove segnalazioni o denunce effettuate fino al 14 luglio 2023 e alle segnalazioni o alle denunce all'autorità giudiziaria o contabile effettuate precedentemente al 30 marzo 2023 (data di entrata in vigore del decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24).

L’ANAC ha emanato la delibera n. 301 del 12 luglio 2023 (recante il regolamento per la gestione delle segnalazioni esterne e per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’ANAC) e la Delibera n. 311 del 12 luglio 2023 (linee guida in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali. Procedure per la presentazione e gestione delle segnalazioni esterne).

Definizione di ritorsione

È considerata ritorsione qualsiasi comportamento, atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, posto in essere in ragione della segnalazione, interna o esterna, della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o della divulgazione pubblica e che provoca o può provocare alla persona segnalante o alla persona che ha sporto la denuncia o ha effettuato una divulgazione, in via diretta o indiretta, un danno ingiustificato.

Rispetto al passato, la nozione di ritorsione è più ampia ricomprendendo anche le ipotesi del tentativo e della minaccia. Inoltre si prevede che la ritorsione debba o possa provocare al whistleblower, in via diretta o indiretta, un danno ingiusto.

A chi si applicano le tutele

L’articolo 17 del decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24 vieta espressamente la ritorsione a danno delle persone e degli enti rientranti nell’ambito di applicazione soggettivo della riforma definito dall’articolo 3 dello stesso decreto.

Quali ritorsioni sono tutelate

Andando poi alle fattispecie tutelate, si rileva che la riforma non fa più distinzione tra misure discriminatorie e ritorsioni, elencandole a titolo esemplificativo e non esaustivo.

Nell’elencazione delle ritorsioni sono ricomprese le seguenti fattispecie:
a) licenziamento, sospensione o misure equivalenti;
b) retrocessione di grado o mancata promozione; mutamento di funzioni, cambiamento del luogo di lavoro, riduzione dello stipendio, modifica dell’orario di lavoro;
d) sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa;
e) note di demerito o referenze negative;
f) adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;
g) coercizione, intimidazione, molestie o ostracismo;
h) discriminazione o comunque trattamento sfavorevole;
i) mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione;
j) mancato rinnovo o risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine;
k) danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi;
l) inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l’impossibilità per la persona di trovare un’occupazione nel settore o nell’industria in futuro;
m) conclusione anticipata o annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi;
n) annullamento di una licenza o di un permesso;
o) richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

 

ATTENZIONE: Come chiarito dall’ANAC, oltre alle ritorsioni espressamente indicate nel d.lgs. n. 24/2023, possono costituire ritorsioni anche la pretesa di risultati impossibili da raggiungere nei modi e nei tempi indicati; una valutazione della performance artatamente negativa; una revoca ingiustificata di incarichi; un ingiustificato mancato conferimento di incarichi con contestuale attribuzione ad altro soggetto; il reiterato rigetto di richieste (ad es. ferie, congedi); la sospensione ingiustificata di brevetti, licenze, etc.

La responsabilità si configura anche in capo a colui che ha suggerito o proposto l’adozione di una qualsiasi forma di ritorsione nei confronti del whistleblower, così producendo un effetto negativo indiretto sulla sua posizione (ad es. proposta di sanzione disciplinare).

Tentativo o minaccia di ritorsione

Come anticipato in premessa, il legislatore della riforma fa rientrare nella definizione di ritorsione, accordando le relative tutele, anche le ipotesi in cui la ritorsione non si sia verificata, ma sia solo “tentata” o “minacciata”.

Attingendo dalle linee guida dell’ANAC, si porta ad esempio:

  • di una ritorsione tentata, il licenziamento come conseguenza di una segnalazione, denuncia o divulgazione pubblica che il datore di lavoro non è riuscito a realizzare per un mero vizio formale commesso nella procedura di licenziamento
  • di minaccia, la prospettazione del licenziamento o del mutamento delle funzioni avvenuta nel corso di un colloquio che chi ha segnalato, denunciato o effettuato una divulgazione ha avuto con il proprio datore di lavoro.

Onere della prova

Si prevede un’inversione dell’onere della prova a favore del whistleblower che dimostra di avere effettuato una segnalazione, denuncia, o una divulgazione pubblica e di aver subito, a seguito della stessa, una ritorsione. In tal caso, l’onere probatorio è a carico della persona che ha posto in essere la presunta ritorsione e che è tenuto a dimostrare che la stessa non è in alcun modo connessa alla segnalazione, denuncia, divulgazione pubblica.

NOTA BENE: L’inversione dell’onere della prova non si applica ai soggetti che avendo un legame qualificato con il segnalante, denunciante, divulgatore pubblico potrebbero subire ritorsioni in ragione di detta connessione (facilitatori, persone del medesimo contesto lavorativo con stabile legame affettivo o di parentela entro il quarto grado con chi segnala, denuncia o effettua una divulgazione pubblica, colleghi di lavoro che lavorano nel medesimo contesto lavorativo e che hanno un rapporto abituale e corrente con chi segnala, e anche soggetti giuridici nei casi in cui siano enti di proprietà del segnalante, denunciante, divulgatore pubblico o enti in cui lavora o enti che operano nel medesimo contesto lavorativo). Su tutti questi soggetti, qualora lamentino di aver subito ritorsioni o un danno, incombe l’onere probatorio.

Se la ritorsione è “tentata” o “minacciata” il soggetto tutelato, nella comunicazione ad ANAC, è tenuto a fornire gli elementi da cui poter desumere il fumus sulla effettività della minaccia o del tentativo ritorsivo. È invece onere del soggetto che ha tentato la ritorsione o l’ha minacciata dimostrare che i fatti allegati dal segnalante sono estranei alla segnalazione, denuncia o divulgazione pubblica effettuata

SANZIONI
All’accertamento della natura ritorsiva di atti, provvedimenti, comportamenti, omissioni adottati, o anche solo tentati o minacciati, posti in essere dai soggetti del settore pubblico e privato, consegue la loro nullità e l’applicazione da parte di ANAC della sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.

NOTA BENE: Le tutele non sono garantite quando è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave. In tali casi la persona segnalante o denunciante rischia una sanzione disciplinare.

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