Certificato agibilità per lavoratori dello spettacolo: la parola alla Consulta
Pubblicato il 19 agosto 2025
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Certificato di agibilità e lavoratori dello spettacolo: la Cassazione rimette alla Corte costitizionale la questione della retroattività della lex mitior.
Lavoratori spettacolo e agibilità: la questione oggetto dell’ordinanza n. 23348/2025
Con ordinanza interlocutoria n. 23348 del 16 agosto 2025, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione hanno sollevato questione di legittimità costituzionale sull’art. 1, comma 1097, della Legge n. 205 del 27 dicembre 2017 (legge di Bilancio 2018), nella parte in cui non prevede l’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole introdotta in tema di obbligo del certificato di agibilità per i lavoratori dello spettacolo.
La nuova disciplina ha escluso l’obbligo di richiedere il certificato di agibilità per i lavoratori subordinati impiegati in locali di proprietà o in godimento del datore di lavoro, a condizione che siano effettuati regolari versamenti contributivi presso l’INPS. Tuttavia, non è stata prevista l’estensione di tale esenzione ai procedimenti ancora pendenti relativi a fatti antecedenti all’entrata in vigore della norma.
Contesto normativo e funzione del certificato
Il certificato di agibilità rappresenta uno strumento di vigilanza finalizzato a garantire la regolarità contributiva nei rapporti di lavoro nel settore dello spettacolo. Ai sensi dell’art. 6, secondo comma, del D.L.C.P.S. 16 luglio 1947, n. 708 – nella versione applicabile ratione temporis ai fatti oggetto di causa – le imprese erano tenute a richiederlo prima dell’impiego di lavoratori appartenenti alle categorie indicate all’art. 3 del medesimo decreto.
La mancata richiesta del certificato comporta, ancora oggi, l’applicazione di una sanzione amministrativa per ciascun lavoratore e per ogni giornata di lavoro prestata in assenza del titolo.
Nei casi di rapporti di lavoro subordinato, in particolare se a tempo indeterminato, tale meccanismo produce un effetto moltiplicativo che può comportare un esborso rilevante, con una funzione sanzionatoria ritenuta dalle Sezioni Unite sostanzialmente punitiva, anziché meramente amministrativa.
La vicenda e il rinvio alla Corte costituzionale
Il caso trae origine da un verbale ispettivo redatto nel 2003, che ha portato all’emanazione di un’ordinanza ingiunzione nei confronti di un’emittente radiofonica nazionale. La società ha opposto il provvedimento, vedendosi respingere il ricorso in secondo grado. Ha quindi adito la Corte di Cassazione, contestando la mancata applicazione della lex mitior introdotta nel 2017.
Accogliendo le argomentazioni della ricorrente e del Procuratore Generale, la Cassazione ha ritenuto che l’illecito in questione, sebbene formalmente amministrativo, presenti natura sostanzialmente penale, in quanto privo di finalità risarcitorie e dotato di marcato effetto afflittivo, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU (criteri Engel).
I profili di illegittimità costituzionale rilevati
Secondo le Sezioni Unite, la mancata previsione della retroattività della norma più favorevole si pone in possibile contrasto:
- con l’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento tra soggetti destinatari di una disciplina più mite entrata in vigore successivamente;
- con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della Convenzione EDU e all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sanciscono l’obbligo di applicazione della sanzione più lieve, anche in ambito amministrativo, quando questa sia assimilabile a una sanzione penale.
Ritenendo la questione rilevante e non manifestamente infondata, la Corte ha disposto la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
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