Mancato pagamento della retribuzione. Opzioni del lavoratore
Autore: Rossella Schiavone
Pubblicato il 16 aprile 2015
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Una delle prime conseguenze della crisi economica e finanziaria delle aziende è la difficoltà, per queste, di far fronte al pagamento delle retribuzioni dovute ai propri dipendenti.
Tanto il mancato pagamento delle retribuzioni che il ritardato pagamento delle stesse, comporta una rottura dei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore.
Con il presente contributo si analizzano le opzioni a disposizione del prestatore di lavoro in presenza di inadempimento datoriale relativo alla remunerazione della retribuzione dovuta.
Le dimissioni per giusta causa
Il mancato pagamento della retribuzione costituisce, per giurisprudenza consolidata, giusta causa di recesso del lavoratore in quanto si configura quale grave inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del datore di lavoro, a nulla rilevando le critiche condizioni economiche di quest’ultimo.n.b.: il mancato pagamento della retribuzione costituisce giusta causa di recesso del lavoratore in quanto si configura quale grave inadempimento degli obblighi contrattuali datoriali. |
Il lavoratore ha comunque diritto all’indennità di disoccupazione e, come chiarito dall’INPS con messaggio n. 16410 del 20 luglio 2009, non osta all’accoglimento della domanda di disoccupazione neppure il caso in cui il lavoratore, successivamente alle dimissioni, abbia ricevuto quanto dovuto a titolo di retribuzioni, pur non avendo manifestato la volontà di difendersi in giudizio nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro.
In caso di dimissioni per giusta causa, spetta anche l’indennità ASpI (INPS, circolare n. 142/2012) e spetterà la NASpI (art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 22/2015).
Inoltre, il lavoratore in mobilità, decaduto dal diritto a percepire la relativa indennità a seguito dell'assunzione presso un'impresa con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il quale, però, recede successivamente per giusta causa per il mancato pagamento della retribuzione, va reiscritto nelle liste di mobilità ed ha diritto ad usufruire della relativa indennità per un periodo corrispondente alla parte residua non goduta, decurtata del periodo di attività lavorativa prestata (INPS, messaggio n. 25942 del 12 novembre 2009).
Al lavoratore che recede per giusta causa compete anche l'indennità sostitutiva di preavviso.
n.b.:il lavoratore che si dimette per giusta causa ha diritto all’indennità di disoccupazione (ASpI e NASpI), nonché all’indennità sostitutiva del preavviso. |
La conciliazione monocratica
In caso di mancato pagamento della retribuzione, il lavoratore può rivolgersi alla Direzione Territoriale del Lavoro per un tentativo di conciliazione monocratica preventiva attinente, per l’appunto, a diritti patrimoniali (art. 11, D.Lgs. n. 124/2004).La procedura prevede che le parti (datore di lavoro e lavoratore) siano convocate presso la DTL e, in tale occasione, possono farsi assistere anche da associazioni o organizzazioni sindacali, ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato.
ATTENZIONE Nel corso della conciliazione monocratica, datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi anche su parametri retributivi inferiori ai minimali contrattuali – in quanto i crediti retributivi sono riconosciuti quali diritti disponibili - anche se il versamento degli oneri contributivi ed assicurativi - che costituiscono un diritto indisponibile – va obbligatoriamente effettuato con riferimento ai minimali di legge. |
In caso di mancato accordo, ovvero di assenza di una o di entrambe le parti convocate, la DTL dà seguito agli accertamenti ispettivi che, generalmente, in presenza di accertati crediti retributivi, comprendono l’emanazione di una diffida accertativa.
Si evidenzia, inoltre, che nel caso in cui si raggiunga un accordo ma, successivamente, il datore di lavoro non versi le somme concordate, il verbale di conciliazione monocratica può essere dichiarato esecutivo con decreto dal giudice competente, su istanza del prestatore di lavoro.
La diffida accertativa
La diffida accertativa, ex art. 12, D.Lgs. n. 124/2004, può scaturire a seguito di ispezione nata da conciliazione monocratica non riuscita o, comunque, anche nel caso in cui, pur in assenza di “denuncia” del lavoratore, nell'ambito di un’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui risultino crediti patrimoniali in favore del prestatore di lavoro.In pratica, consiste in una diffida che il personale ispettivo delle DTL notifica al datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.
ATTENZIONE Se il datore di lavoro versa al lavoratore il credito, la diffida accertativa perde efficacia; in caso contrario, la diffida accertativa acquista, con provvedimento del direttore della Direzione Territoriale del lavoro, valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo. |
Tuttavia, il datore di lavoro può promuovere entro trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa, un tentativo di conciliazione monocratica presso la DTL e, in caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.
ATTENZIONE Proprio perché i crediti retributivi sono riconosciuti quali diritti disponibili, anche in questo caso, datore di lavoro e lavoratore possono accordarsi su parametri retributivi inferiori ai minimali contrattuali e, quindi, su somme diverse da quelle che risultano nella diffida accertativa. |
La messa in mora ed il decreto ingiuntivo
In caso di mancato pagamento della retribuzione, il lavoratore può mettere in mora il datore di lavoro ai sensi dall’art. 1219 c.c.ATTENZIONE La messa in mora può essere fatta direttamente dal lavoratore, senza ricorrere ad un avvocato. |
Se non si risolve nulla ed il lavoratore ha la certificazione scritta del credito (basta anche la busta paga o la copia del LUL), si può procedere con un decreto ingiuntivo (art. 633 e segg. c.p.c.) il quale, qualora il datore non si opponga, diventa esecutivo.
ATTENZIONE Per presentare il ricorso per decreto ingiuntivo occorre rivolgersi ad un avvocato ed il decreto è emanato in assenza di contraddittorio fra le parti. |
Se il lavoratore non ha certificazione del credito può procedere con l’avvio di una causa ordinaria.
L’esecuzione forzata ed il fallimento
Se il datore di lavoro non ottempera al pagamento della retribuzione dovuta anche a seguito dell’esito di una causa o di un decreto ingiuntivo, il lavoratore può procedere con:- l’esecuzione forzata nei riguardi dei beni posseduti dal datore di lavoro;
- la dichiarazione di fallimento.
ATTENZIONE In caso di dichiarazione di fallimento, anche se il lavoratore dipendente è un creditore privilegiato, qualora l’attivo del fallimento non sia sufficiente a soddisfare le somme spettanti al prestatore di lavoro che si sia insinuato nel passivo, il Fondo di garanzia dell’INPS può liquidare gli ultimi tre mesi di retribuzione ed il TFR maturato. |
Quadro delle norme |
Art. 1219 c.c. Art. 2113 c.c. Art. 633 e segg. c.p.c. D.Lgs. n. 124/2004 D.Lgs. n. 22/2015 INPS, messaggio n. 16410 del 20 luglio 2009 INPS, messaggio n. 25942 del 12 novembre 2009 |
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