La sola dichiarazione del lavoratore non basta per accertare le giornate di lavoro in nero

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Gli ispettori della DTL alla fine del mese di marzo 2010 effettuano un accesso ispettivo presso l’Impresa meccanica Alfa e trovano Tizio e Caio intenti a riparare un’autovettura. Gli ispettori escutono prima Tizio, il quale dichiara di lavorare per l’Impresa Alfa da circa 20 giorni. Dopodiché acquisiscono anche la dichiarazione di Caio che afferma di lavorare per l’impresa Alfa da circa 25 giorni. Le dichiarazioni tuttavia vengono acquisite senza incrociare il contenuto delle circostanze di fatto riferite da ciascuno dei lavoratori. Dall’esame della documentazione aziendale gli ispettori riscontrano che l’Impresa Alfa aveva comunicato al Centro per l’impiego sia il rapporto di lavoro di Tizio, sia quello di Caio, entrambi come dipendenti, facendo tuttavia decorrerne l’inizio il giorno antecedente all’accesso ispettivo. Gli ispettori del lavoro sulla base delle sole dichiarazioni rese da Tizio e Caio contestano all’impresa Alfa di aver occupato in nero i predetti lavoratori per il periodo di rispettivo lavoro precedente alla comunicazione UNILAV. In ragione di ciò irrogano, mediante diffida, maxisanzione per lavoro nero maggiorata delle giornate di “effettiva” occupazione di Tizio e Caio. È corretto l’operato degli ispettori?




Lavoro nero: caratteristiche ed evoluzione normativa

L’art. 3, comma 3, del D.L. n. 12/2002, conv. in L. n. 73/2002, puniva l’impiego di ciascun lavoratore dipendente in nero e cioè “[…] non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria”, con una sanzione variabile tra il 200 e il 400% dell’importo del costo del lavoro, calcolato sulla base dei contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di contestazione della violazione.

La previsione sanzionatoria, così come strutturata, si basava su un presunzione assoluta circa la sussistenza e la durata dell’illecito, di per sé compressiva del diritto di difesa, giacché comportava la possibilità di irrogare sanzioni ingiuste e non proporzionate alle effettive modalità di svolgimento del rapporto di lavoro ritenuto irregolare. Tale trattamento in altri termini era suscettibile di generare gravi e irragionevoli situazioni discriminatorie. Infatti l’accertamento effettuato in un tempo vicino all’inizio dell’anno veniva assoggettato a un regime sanzionatorio più mite rispetto a un’altra verifica che, per il solo fatto di essere intervenuta alla fine dell’anno, comportava una sanzione ben maggiore: e ciò anche qualora tali rapporti fossero cominciati il medesimo giorno.

Per tali ragioni la disposizione è stata sottoposta al sindacato del Giudice delle Leggi che con sentenza n. 144/2005 ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non ammetteva “la possibilità di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione”. In tal senso la Corte Costituzionale non ha escluso che l’accertamento sulla durata del rapporto di lavoro irregolare possa essere fondato sulla presunzione, ma ha precisato che quest’ultimo criterio dimostrativo debba avere carattere non assoluto, bensì relativo, nel senso di garantire al soggetto sanzionato la facoltà di fornire la prova contraria rispetto a quanto contenuto nel verbale di contestazione.

L’art. 36 bis comma 7, del D.L. n. 223/2006, conv. in L. n. 248/2006, ha riscritto la fattispecie normativa riguardante l’illecito per lavoro nero, il cui trattamento sanzionatorio è stato questa volta agganciato a parametri tendenzialmente oggettivi e quantomeno non discriminatori. A tal fine è stata prevista una sanzione fissa per la sola occupazione irregolare del lavoratore (dipendente o autonomo), e una sanzione variabile corrispondente alle giornate di “effettivo” svolgimento di lavoro in nero.

A giudizio degli scriventi il Legislatore del 2006 pare abbia fatto un passo in avanti rispetto alla linea espressa dalla Corte Costituzionale in quanto l’aggettivo “effettivo”, posposto alla locuzione “ciascuna giornata di lavoro”, denoterebbe la volontà di eliminare dal sistema di accertamento dell’illecito il metodo dimostrativo fondato su presunzioni assolute o relative. E ciò in favore di un procedimento probatorio scevro da impostazioni pregiudiziali e preconcette e volto piuttosto ad acquisire la conoscenza “neutrale” dei fatti. In tal modo si ritiene che sia stata anche “ripristinata” la corretta ripartizione degli oneri probatori nel senso di porre in capo all’amministrazione il compito di riscontrare i fatti attestanti l’esistenza dell’illecito e di fornirne una prova che attenga alla “effettiva” durata del rapporto ritenuto irregolare. Tale assunto, oltretutto, si pone anche in armonia con i principi generali in materia di riparto dell'onere della prova, per i quali la sussistenza dei fatti e quindi degli elementi costitutivi dell’illecito, non può che gravare sull’organo che esercita la pretesa sanzionatoria. Di contro al soggetto sanzionato spetta di dimostrare la sussistenza di fatti impeditivi o estintivi, oppure la circostanza di avere agito senza dolo e/o colpa.

Le modifiche operate dal “Collegato Lavoro”

Non sorprende dunque che la recente L. n. 183/10, nel riformare nuovamente la fattispecie e il regime sanzionatorio previsto per il lavoro nero, abbia lasciato invariato proprio il criterio per commisurare l’entità della sanzione rispetto alla durata dell’illecito, basato infatti sulle “effettive” giornate di lavoro irregolare.

Ciò premesso deve rilevarsi che, a seguito dell’opera di semplificazione attuata dall’art. 4 della L. n. 183 cit., le maggiori difficoltà connesse al riscontro dei rapporti di lavoro in nero riguardano ormai proprio la determinazione delle “effettive” giornate di irregolare occupazione, la cui dimostrazione, pare il caso di precisare, potrà eventualmente essere fornita dall’organo ispettivo se del caso mediante l’ausilio delle presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c. e sempre che le stesse, ovviamente, siano gravi precise e concordanti.


Le dichiarazioni dei lavoratori quale strumento per la dimostrazione del rapporto di lavoro in nero

Il più delle volte la durata del rapporto di lavoro in nero viene dimostrata dall’organo ispettivo tramite l’impiego di dichiarazioni rese dai lavoratori o da soggetti terzi, in occasione e nel corso dell’accertamento.

Occorre premettere che mediante tale atto il dichiarante riferisce all’ispettore, e sotto la propria responsabilità, circa l’accadimento di fatti rilevanti per l’accertamento ispettivo.

Va premesso che rimane ferma in ogni caso l’efficacia fidefacente di cui all’art. 2700 c.c., cioè fino a querela di falso, del verbale di constatazione relativamente:

  • alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato;

  • alle dichiarazioni al medesimo rese;

  • agli altri fatti dallo stesso compiuti o che questi attesti essere avvenuti in sua presenza.

Quanto invece all’intrinseca veridicità delle dichiarazioni le stesse non sono munite della medesima efficacia probatoria: sul punto si registrano due orientamenti giurisprudenziali.

Secondo il primo e minoritario orientamento la veridicità di tali dichiarazioni, proprio in quanto contenute in un atto pubblico, avrebbe pur sempre un'attendibilità intrinseca nel senso che è munita di presunzione relativa di fondatezza tale da essere inficiata solo da una specifica prova contraria, che il soggetto sanzionato è tenuto a fornire. Alla stregua di tale indirizzo pertanto anche il contenuto di una sola dichiarazione potrebbe sorreggere di per sé l’accertamento e giustificare un eventuale provvedimento sanzionatorio. Al trasgressore e/o obbligato solidale incombe l’onere di allegare e provare, in sede di contestazione della sanzione, fatti contrari rispetto a quelli rappresentati nella dichiarazione e posti a base della sanzione.

Secondo altro e prevalente orientamento, fatto proprio dalle Sezioni Unite della Cassazione, il contenuto di tali dichiarazioni non avrebbe tale efficacia, ma costituirebbe semplice materiale indiziario soggetto a libero apprezzamento, nella prospettiva di valutarne l'importanza ai fini della prova e senza che ad esso possa mai attribuirsi il valore di vero e proprio accertamento. Tale indirizzo si pone in linea con i principi espressi, in ambito di accertamento finanziario, dalla Corte Costituzionale e che per stretta similitudine possono essere trasposti anche nella materia de qua.

Segnatamente il Giudice delle Leggi ritiene che “il valore probatorio delle dichiarazioni raccolte dall'amministrazione finanziaria nella fase dell'accertamento è, infatti, solamente quello proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione”. Resta da rilevare che tale indirizzo è stato poi sostanzialmente recepito anche da recenti pronunce rese dalla Suprema Corte, per la quale “le dichiarazioni rilasciate dai lavoratori agli ispettori dell'autorità che espleta funzioni di vigilanza e controllo non hanno di per sé un valore probatorio precostituito ed il giudice non può porre il verbale a fondamento della decisione, considerandolo come fonte esclusiva del proprio convincimento. Vanno, infatti, liberamente apprezzate dal giudice, nell'ambito di tutto il materiale raccolto, le circostanze che l'ispettore riferisce di avere appreso da dichiarazioni di terzi quali i lavoratori o che sono frutto di sue deduzioni”.


L’orientamento ministeriale in tema di dichiarazioni dei lavoratori

La prospettazione sopra riportata è senz’altro da condividere poiché il procedimento amministrativo in sede istruttoria implica l’acquisizione di molteplici atti e la complessiva e conclusiva valutazione deve tener conto, in modo equilibrato ed esaustivo, di tutte le circostanze di fatto emerse nel corso dell’accertamento. A ciò si aggiunga che tale impostazione appare aderente al testo normativo che disciplina la struttura oggettiva dell’illecito per lavoro nero, in cui non si ritiene prevista alcuna presunzione, né relativa, né assoluta (ferma comunque la possibilità di utilizzare le presunzioni semplici come sopra specificato).

Tale indirizzo è stato condiviso anche dal Ministero del Lavoro.

Infatti con nota ministeriale del 12/06/2009 sono state dettate le linee guida circa le modalità di accertamento ispettivo, con le quali è stata richiamata “puntuale applicazione del Codice di comportamento unitario, relativamente alla fase dell'accertamento, con specifico riguardo all'acquisizione delle dichiarazioni dei lavoratori e all'idoneità e sufficienza degli elementi probatori posti a fondamento dell'accertamento”.

L’art. 12 comma 10 del Codice, in materia di efficacia probatoria delle dichiarazioni, ha stabilito che “le dichiarazioni acquisite in sede ispettiva vanno riscontrate con elementi oggettivi risultanti dalla documentazione esaminata o da altre dichiarazioni rese da prestatori di lavoro o da terzi”.

Siffatti criteri manifestano in sostanza la necessità che le dichiarazioni acquisite in sede ispettiva siano il più possibile circostanziate e puntuali e, soprattutto, trovino effettivo riscontro o con l’esame di eventuale documentazione reperibile in atti e pertinente al contenuto delle dichiarazioni medesime, oppure attraverso una comparazione delle dichiarazioni rese da altri prestatori di lavoro o da soggetti terzi.

Conformemente lo stesso Direttore Generale dell'organo apicale del Ministero del Lavoro ha rilevato, sebbene in via non ufficiale, che “assolutamente fondamentale è poi il richiamo alla necessità di riscontrare le dichiarazioni rilasciate dal personale con elementi obiettivi sia di natura documentale che testimoniale. Ciò che va assolutamente evitato, quindi, è l'adozione di provvedimenti basati esclusivamente sulla sola dichiarazione del lavoratore priva di qualsiasi riscontro probatorio [...].

Il portato di quest’ultima affermazione è di adamantina chiarezza e si pone in perfetta armonia con le indicazioni espresse dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e prima ancora dalla Corte Costituzionale. Solo l’esame comparato di plurime dichiarazioni analitiche e puntuali può formare materiale istruttorio idoneo e funzionale a esprimere una valutazione univoca che sorregga l’adozione di provvedimenti sanzionatori o alternativamente l’archiviazione del procedimento.

Sotto il profilo della trasparenza si rileva che secondo gli artt. 33 comma 4 della L. n. 183/10 e 14 comma 2 del Codice di comportamento degli ispettori, il verbale conclusivo deve contenere una congrua motivazione rispetto a ciò che è avvenuto nel procedimento e a come si è formata la volontà dell'amministrazione. L'applicazione di tale criterio deve in altri termini consentire ai soggetti coinvolti nel procedimento ispettivo ogni opportuna verifica, giacché ad essi l'ordinamento garantisce l'inviolabile diritto di conoscere se siano state o meno osservate le regole del giusto procedimento, tra cui, in primis, il principio di legalità.

Analisi del caso concreto

Alla luce di tali premesse deve rilevarsi che, per ciò che riguarda il caso di specie, gli ispettori del lavoro in occasione dell’accesso ispettivo effettuato presso l’officina dell’Impresa Alfa, hanno acquisito dapprima la dichiarazione di Tizio e poi quella di Caio. Ciascuno dei due lavoratori ha riferito di lavorare per la predetta Impresa rispettivamente da 20 e 25 giorni. Gli ispettori si sono limitati a prendere atto di tali asserzioni, senza riscontrarne reciprocamente la fondatezza e hanno verificato che nella comunicazione UNILAV l’inizio di decorrenza di tali rapporti di lavoro era stata fatta decorrere il giorno antecedente all’accesso ispettivo. Sulla base di tali elementi gli ispettori hanno irrogato maxisanzione per lavoro nero, maggiorata delle giornate di occupazione indicate da Tizio e Caio nelle rispettive dichiarazioni.

Sennonché gli scriventi ritengono che tale verbale è stato adottato senza tenere nella dovuta considerazione le disposizioni normative e le stesse indicazioni del Ministero del Lavoro sopra richiamate in quanto fondato su dichiarazioni prive di ogni minimo riscontro.

E infatti gli ispettori non hanno verificato se vi fossero o meno eventuali documenti atti a corroborare le circostanze fattuali riferite da Tizio e da Caio. Ma soprattutto le asserzioni dei due lavoratori non sono state acquisite con modalità incrociate, nel senso che non sono stati reciprocamente confrontati e comparati i contenuti di tali dichiarazioni, onde saggiarne l’intrinseca convergenza. Né sotto altro aspetto sono stati escussi ulteriori soggetti che fossero in grado di riferire elementi atti a valutare l’attendibilità dei fatti posti a base dei provvedimenti sanzionatori.

In sostanza si ritiene che gli elementi istruttori acquisiti non possano costituire accertamento in senso proprio e per l’effetto appaiono inidonei a giustificare l’irrogazione degli atti sanzionatori, avverso i quali l’impresa Alfa potrà esperire gli opportuni mezzi di difesa, a cominciare dal ricorso previsto dall’art. 17 del D.lgs. n. 124/04.


NOTE

i In base al significato della dicitura normativa “non risultante dalle scritture o altra documentazione obbligatoria” era considerato irregolare il lavoratore il cui rapporto non era stato debitamente formalizzato per l’inosservanza di tutti i seguenti adempimenti:

  • comunicazione di assunzione al Centro per l’Impiego (da eseguire entro cinque giorni dall'instaurazione del rapporto);

  • consegna al lavoratore della dichiarazione di assunzione;

  • comunicazione alla sede Inail competente del codice fiscale del lavoratore stesso;

  • iscrizione nei regolamentari libri matricola e paga;

  • apertura di posizione previdenziale e assicurativa;

ii Per i nuovi tratti della c.d. “nuova” maxisanzione cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 29/2006 e nota del Ministero del Lavoro n. 25 del 4 luglio 2007.

iii Eccettuati i lavoratori autonomi ex art. 2222 c.c.

iv Sul punto va evidenziato che il Legislatore del 2006, diversamente da quanto previsto dalla L. n. 183/10, qualificava non sanabile la violazione in questione e, pertanto, escludeva in maniera espressa l’applicazione della procedura di diffida di cui all’art. 13 del D.lgs. n. 124/2004.

v Le presunzioni quali mezzi di prova critici o indiziari si dividono in tre categorie: presunzioni assolute (o iuris et de iure), presunzioni legali semplici (o iuris tantum) e infine presunzioni non stabilite dalla legge (o hominis).

  1. Le presunzioni assolute sono disciplinate dall’art. 2728 II comma c.c. e contro di esse non è ammessa prova contraria, salvo che questa sia consentita dalla legge (es. presunzione stabilita dall’art. 599 c.c. in materia di capacità a ricevere per testamento);

  2. le presunzioni legali o relative disciplinate anch’esse dall’art. 2728 I comma c.c. e utilizzate per lo più dalla legislazione tributaria e fiscale, operano un’inversione dell’onere probatorio, giacché al verificarsi del presupposto previsto dalla norma si danno per accertatati gli elementi costituivi della fattispecie, mentre spetta alla controparte provare il fatto contrario. E ciò per l’appunto è quanto aveva stabilito la Corte Costituzionale con sentenza n. 144/2005 in materia di lavoro nero, in cui l’amministrazione una volta riscontrato l’illecito de quo era esentata dal dimostrare concretamente e nel dettaglio anche la durata del rapporto di lavoro essendo invece rimesso alla parte datoriale l’onere di dimostrare che il rapporto non avesse avuto la durata temporale indicata nel verbale;

  3. le presunzioni semplici e non stabilite dalla legge sono disciplinate dall’art. 2727 c.c. e rappresentano il ponte logico che collega il fatto noto al fatto ignoto. Oggetto della prova è un fatto di per sé irrilevante che tuttavia attraverso il ragionamento presuntivo consente di affermare l’esistenza o l’inesistenza di un fatto rilevante. Il tutto nel presupposto di una regolarità nella successione dei fatti svoltesi nel contesto temporale di riferimento. L’efficacia delle prove presuntiva sta nella forza che dell’inferenza (ad es. l’alibi) che lega il fatto noto a quello ignoto.

vi Cfr. Cass. civ. Sez. II, 03/03/2011, n. 5122; Cass. civ. Sez. lavoro, 20/01/2005, n. 1124; Trib. Nocera Inferiore Sez. I, 26/01/2011; Trib. Roma Sez. II Sent., 02/11/2009; Trib. Cassino, 19/10/2007.

vii Cfr. Cons. Stato Sez. VI, 19/04/2011, n. 2422.

viii L’art. 4, comma 1, lett. a), b) e c) della L. n. 183/10 (Collegato Lavoro) è intervenuto rispettivamente sui commi 3, 4 e 5 dell’art. 3 del D.L. n. 12/2002, conv. in L. n. 73/2002 apportando sostanziali modifiche all'aspetto strutturale dell'illecito. Per non affaticare il lettore con un decalogo analitico delle modifiche apportate all’impianto normativo si rinvia alla circolare del Ministero del Lavoro n. 38/2010. Per i fini della presente esposizione ci si limita a evidenziare che la sanzione è stata circoscritta all’impiego irregolare dei soli lavoratori subordinati, il cui rapporto di lavoro non sia stato comunicato preventivamente al Centro per l’Impiego competente. Inoltre il regime sanzionatorio tradizionale è stato arricchito di un’ulteriore ipotesi c.d affievolita, ricorrente laddove il rapporto di lavoro sia cominciato in nero e sia stato solo successivamente pubblicizzato, sia pur con una data differente da quella di effettiva instaurazione. Nessuna modifica invece è stata apportata ai criteri di base per la determinazione del quantum della sanzione, articolati come sopra descritto in una sanzione fissa prevista per il solo fatto dell’occupazione in nero del lavoratore e in una sanzione variabile relazionata alle effettive giornate di lavoro in nero.

ix In materia di presunzioni semplici la Suprema Corte di Cassazione ha osservato che “l'esistenza di una presunzione sulla quale sia possibile fondare la decisione di una causa può validamente desumersi in presenza di una pluralità di elementi di valutazione gravi precisi e concordanti, nei quali il requisito della gravità è ravvisabile per il grado di convincimento che ciascuno di essi è idoneo a produrre a fronte di un fatto ignoto, la cui esistenza deve poter essere dimostrata in termini di ragionevole certezza, il requisito della precisione impone che i fatti noti e l'iter logico del ragionamento probabilistico ben determinati nella loro realtà storica, ed il requisito unificante della concordanza richiede che il fatto ignoto sia di regola desunto da una pluralità di fatti noti gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, mentre la sommatoria di una serie di dati in sé insignificanti e privi di precisione e gravità non può assumere rilevanza” (cfr. Cass. civ. Sez. II, 24/02/2004, n. 3646).

x Cfr. Cass. civ. Sez. III Sent., 09/09/2008, n. 22662; Cass. civ. Sez. II, 20/03/2007, n. 6565; Cfr. in motivazione Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 06/06/2008, n. 15073; per la giurisprudenza di merito cfr. Trib. Monza Sez. lavoro Sent., 03/02/2009; Trib. Sciacca, 09/04/2008.

xi Cfr. Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/01/2008, n. 577.

xii Cfr. Corte Costituzionale n. 18 del 2000.

xiii Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-04-2010, n. 9251; ex multis Cfr. Cass. civ. Sez. V, 09/11/2011, n. 23397; Cass. civ. Sez. III, 25/06/2003, n. 10128; Trib. Perugia Sez. I, 02/09/2010.

xiv Avere un’istruttoria procedimentale ricca e variegata assume valenza decisiva per l’amministrazione che abbia adottato atti sanzionatori. Ove infatti il provvedimento sanzionatorio viene contestato in giudizio e l’istruttoria che lo sorregge è scarna l’amministrazione corre il serio rischio di rimanere sfornita di mezzi di prova e di non avvalersi neppure della prova testimoniale del lavoratore. E infatti, secondo un orientamento della giurisprudenza, quando l'addebito che ha dato luogo alla sanzione attenga ad elementi che riguardano il rapporto di lavoro di colui che depone come teste, non potendosi escludere a priori l'esistenza d'un interesse che legittimi la sua partecipazione al giudizio, il lavoratore sarebbe incapace di testimoniare. Segnatamente, sebbene la controversia penda tra datore di lavoro e DTL e la stessa attenga ad elementi del rapporto di lavoro d'uno specifico dipendente, quali ad esempio la sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato, è ben facile ipotizzare, in via generale, il diretto interesse in giudizio del dipendente ex art. 246 c.p.c., e la sua conseguente incapacità a testimoniare (cfr. Cass. 9 maggio 2007, n. 10545; Cass. 29 maggio 2006, n. 12739; Cass. 8 giugno 2000, n. 7835; analogamente per il pagamento dei contributi previdenziali Cass. civ. Sez. lavoro, 14/06/2010, n. 14197). D’altro canto laddove l'oggettiva natura della violazione commessa (ad esempio il tardivo inoltro della comunicazione UNILAV di cessazione del rapporto) non consenta al lavoratore il conseguimento di specifici diritti connessi all'oggetto della causa, allora si ritiene che quest’ultimo abbia capacità di testimoniare in causa (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, Sent. 03-03-2009, n. 5074). Contrariamente è stato osservato che, ferma la possibilità di interrogare liberamente il lavoratore ai sensi dell'art. 421 c.p.c., l'incapacità a testimoniare è correlabile soltanto ad un diretto coinvolgimento della persona chiamata a deporre nel rapporto controverso, tale da legittimare una sua assunzione della qualità di parte in senso sostanziale o processuale nel giudizio, e non già alla ravvisata sussistenza di un qualche interesse di detta persona in relazione a situazioni ed a rapporti diversi da quello oggetto della vertenza, anche in qualche modo connessi (cfr. per tutte Cass. 10 maggio 2010, n, 11314).

xv Per vero residua ancora una parte minoritaria e riottosa della giurisprudenza di merito che non curante degli indirizzi nomofilattici continua ad attribuire un’attendibilità “privilegiata” alle dichiarazioni acquisite in sede di accesso ispettivo ritenute di per sé degne di fondare un accertamento. (Cfr. Tribunale Milano 14 aprile 2009; Trib. Monza Sez. lavoro Sent., 03/02/2009).

xvi Prot. 25/SEGR/0008716 - Linee guida in ordine alla procedimentalizzazione dell'attività ispettiva

xvii Cfr. Paolo Pennesi - Inserto di Diritto e pratica del lavoro n. 17/2006.

xviii Cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 41 del 2010.

xix Tale diritto assume una valenza ancor più significativa ove, come nel caso di specie, vengano notificati accertamenti con motivazione sintetizzata nel solo fatto descritto dalle norme sanzionatorie, oltreché risalente nel tempo, fattore quest’ultimo che richiedeva, invece, una motivazione ancor più trasparente e esaustiva. (Cfr. principi generali in T.A.R. Campania, sez. V, n. 649/07; analogamente TA.R. Campania Napoli Sez. II n. 8715/09).


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