La diffida accertativa può essere adottata nei confronti dell’impresa fallita?

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Il personale ispettivo della DTL effettua un controllo nei confronti di Alfa S.r.l. per l’accertamento dei crediti retributivi dei dipendenti di tale società. Nelle more della verifica, Alfa S.r.l. viene dichiarata fallita. Al termine dell’accertamento gli ispettori redigono il verbale conclusivo e adottano i provvedimenti di diffida accertativa nei confronti di Alfa S.r.l. in fallimento. Sono legittime le diffide accertative?



Premessa

Con l'entrata in vigore del D.lgs. n. 124/04 e delle successive modifiche apportate dalla L. n. 183/10 (c.d. Collegato Lavoro) sembra ormai superata l'annosa questione della natura procedimentale dell'ispezione. E invero, da un lato l'art. 11 comma 4 del D.lgs. n. 124 cit. introduce il concetto di “procedimento ispettivo”, dall’altro lato l’art. 33 della L. n. 183 cit. dedica un’analitica disciplina sia alla fase di ”accesso ispettivo” sia al momento della redazione del verbale conclusivo degli accertamenti.

Peraltro la dottrina già da tempo sostiene la natura procedimentale dell’ispezione che, in quanto preordinata a garantire l’osservanza di tutte le leggi in materia di lavoro e di legislazione sociale, postula il conferimento al personale ispettivo di vere e proprie potestà di controllo, che culminano con provvedimenti di natura dichiarativa.

L’autonomia del procedimento ispettivo


La natura pubblicistica degli interessi, giustificativi dell'attribuzione della potestà ispettiva, e il principio di autonomia dell’azione amministrativa, rendono tale procedimento, in via generale, scevro da vincoli di pregiudizialità rispetto a un procedimento giurisdizionale pendente tra datore di lavoro e lavoratore e avente ad oggetto posizioni soggettive disponibili e di natura privatistica.

In via esemplificativa, ove penda innanzi a un organo giurisdizionale una controversia tra lavoratore e datore di lavoro, e la controversia abbia ad oggetto l'esistenza e/o la qualificazione di un rapporto di lavoro, tale giudizio non costituisce affatto un presupposto pregiudiziale, ovvero un antecedente logico-giuridico dal quale fare dipendere l'avvio e la naturale definizione di un procedimento ispettivo volto a verificare se le parti in causa abbiano o meno osservato le leggi pubbliche in materia di lavoro.

E infatti, al di là della speciale ipotesi di cui all'art. 24 della L. n. 689/81, nessuna norma di legge stabilisce un vincolo di pregiudizialità giuridica in favore della sede giurisdizionale. Ciò in quanto l'organo ispettivo, nell'esercizio delle proprie attribuzioni, e con differenti funzioni e modalità d'azione, è chiamato a formulare un giudizio sull’osservanza o meno di norme imperative e/o inderogabili che regolano il rapporto di lavoro, il cui sindacato infatti, qualora consista in valutazioni che culminino in atti accertativi, non può ritenersi prerogativa dell’organo giurisdizionale.

La diffida accertativa
ex art. 12 D.lgs. n. 124 cit.

Per vero una “compressione funzionale”, e non già una sospensione o un arresto del procedimento ispettivo, è configurabile, oltre all’ipotesi di cui all’art. 24 della L. n. 689/81
, allorché il personale ispettivo abbia accertato in favore del lavoratore la sussistenza di un credito patrimoniale e questo sia al tempo stesso oggetto di controversia giurisdizionale.

In via sommaria vale ricordare che, qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo, ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. n. 124 cit., può diffidare il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.

La diffida accertativa costituisce così un provvedimento autoritativo a tutela di un credito di natura privatistica che può acquisire efficacia di titolo esecutivo, ove, nel termine perentorio di 30 giorni dalla notifica dell’atto, le parti non trovino, innanzi alla DTL, un’intesa conciliativa sul credito, ovvero nell’ipotesi in cui il datore di lavoro decida di non corrispondere affatto al lavoratore quanto diffidato dal personale ispettivo. In entrambe le ipotesi l’art. 12 comma III del D.lgs. n. 124 cit. prevede che la diffida accertativa “acquista valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo, con apposito provvedimento del Direttore della DTL.

La competenza esclusiva del Tribunale fallimentare per l’accertamento dei crediti


La compressione della funzione ispettiva in favore dell’esercizio giurisdizionale del credito, compressione che si traduce nella devoluzione al Giudice dell’attività di accertamento degli emolumenti patrimoniali disponibili del lavoratore, emerge con evidenza allorché la parte datoriale nelle more del procedimento ispettivo, o prima ancora di esso, sia sottoposta a procedura concorsuale.

Al riguardo l’art. 24 del R.D. n. 267/1942 e succ. mod. stabilisce che “il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore”.

La vis attractiva concursus, disciplinata dall’art. 24 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 e succ. mod. e integr. (c.d. Legge Fallimentare, di seguito per brevità L. Fall.) e costituente una sorta di derivazione dall’art. 23 L. Fall., attribuisce al Tribunale che abbia dichiarato il fallimento una competenza speciale - avocativa di tutte le controversie che nascano dal fallimento - all’evidente scopo di assicurare il massimo di coerenza ed unità ad una procedura, quale quella concorsuale, destinata ad intrecciarsi con molteplici vicende amministrative giudiziarie.

Segnatamente per “azioni derivanti dal fallimento”, ai sensi dell’art. 24 della L. Fall. devono intendersi quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di un successivo provvedimento, volto, in particolare, a sorreggere l’azione esecutiva.

E infatti l’art. 51 della L. Fall. stabilisce la regola che dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale o esecutiva può essere iniziata o proseguita dai creditori i quali, ai sensi dell’art. 2741 c.c. concorreranno in sede di riparto in eguale misura, fatte salve ovviamente le cause legittime di prelazione.

Ne segue che ogni posizione creditoria vantata dai dipendenti dell’impresa fallita, per effetto dell’intervenuta procedura concorsuale, deve trovare la propria sede naturale di riconoscimento, mediante insinuazione nello stato passivo, dinanzi al Tribunale fallimentare. L’atto di accertamento del Tribunale Fallimentare, infatti, costituisce, in attuazione della par condicio creditorum, l’unico titolo idoneo per l’eventuale soddisfazione delle pretese creditorie.

La carenza di potere del personale ispettivo ad adottare il provvedimento di diffida accertativa del credito


In altre parole, tale procedura speciale deroga alle regole generali di accertamento del credito, la cui sussistenza e quantificazione non può essere rimessa a organi diversi rispetto al Tribunale fallimentare. In tale modo anche il personale ispettivo viene spogliato del potere di adottare provvedimenti di diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124 cit. in favore dei lavoratori dipendenti, il cui credito, benché privilegiato ai sensi dell’art. 2777 c.c., dovrà comunque sottostare alla regola della concorrenzialità.

Ne segue che un eventuale provvedimento di diffida accertativa adottato nelle more della procedura fallimentare violerebbe macroscopicamente l’inderogabile principio della par condicio creditorum: con tale atto, infatti, il personale ispettivo intimerebbe illegittimamente alla curatela fallimentare di dedurre le somme retributive accertate dalle regole di formazione dello stato passivo e del piano di riparto, per assegnarle in via prioritaria a una “casta” di creditori, e cioè i lavoratori, di fatto dispensandoli indebitamente dalla regola della concorrenzialità.

Il diverso orientamento espresso dal Comitato Regionale per i rapporti di lavoro dell’Umbria


Sul punto va evidenziato un diverso orientamento espresso dal Comitato Regionale per i rapporti di lavoro dell’Umbria che, in pendenza di procedura concorsuale, ha ritenuto comunque di confermare in capo al personale ispettivo il potere accertativo del credito riconosciuto dall’art. 12 del D.lgs. n. 124 cit.

Tale prospettazione ritiene che il provvedimento di diffida emesso dagli ispettori non avrebbe valenza di titolo esecutivo nell’ambito della procedura concorsuale ma manterrebbe comunque valore giuridico di accertamento tecnico in grado di coadiuvare l’Autorità Giudiziaria alla determinazione dei crediti.

Criticità


Senza l’intenzione di voler confutare il provvedimento del Comitato Regionale per i rapporti di lavoro dell’Umbria e con la sola finalità speculativa volta a individuare eventuali percorsi alternativi, a giudizio degli scriventi appare però difficile ipotizzare la sussistenza di un potere di accertamento privato della sua funzione tipica (volta alla formazione di un titolo esecutivo), che riesca comunque a surrogare il sindacato dell’Autorità giurisdizionale.

Le argomentazioni sopra esposte in ordine alla speciale competenza del Tribunale Fallimentare per l’accertamento del credito evidenziano una criticità che emerge al cospetto dei princìpi di nominatività e tipicità degli atti amministrativi. Tali enunciati comportano una connessione tra i vari elementi dell'atto (fissata dalle norme), e una predeterminazione, sempre normativa, degli effetti che esso può produrre. In sintesi: i provvedimenti amministrativi sono solo quelli previsti dall’ordinamento (tipicità) e ad ogni pubblico interesse da realizzare corrisponde un tipo di atto definito dalla legge (nominatività).

In tal senso l'amministrazione è tenuta ad adottare atti aventi le finalità previste dalla disposizione attributiva del potere, sicché, quando tale convergenza viene meno, l'atto posto in essere sconta un palese vizio di illegittimità, suscettibile di determinarne la caducazione.

Nel caso di specie, pertanto, risulta problematico ritenere che il provvedimento di diffida accertativa non può avere natura, causa ed effetti diversi da quelli predeterminati dall’art. 12 D.lgs. n. 124 cit. e che riconoscono all’atto de quo, una volta validato dal direttore della DTL, valenza di titolo esecutivo. E siccome tale valenza, per effetto del disposto di cui all’art. 2741 c.c. e art. 24 della L. Fall., è esclusa nell’ambito della procedura concorsuale, ne seguirebbe l’impossibilità da parte degli ispettori di adottare provvedimenti a contenuto promiscuo o atipico.

Il caso concreto


Le regole sopra esposte forniscono i criteri per la soluzione del caso di specie nel quale Alfa S.r.l., una volta dichiarata fallita, ha subito un accertamento ispettivo da parte degli ispettori della DTL. All’esito della verifica, gli ispettori hanno redatto il verbale conclusivo e hanno adottato i provvedimenti di diffida accertativa per crediti patrimoniali vantati dai lavoratori di Alfa S.r.l. in fallimento, alla quale è stato intimato il pagamento dei crediti accertati. Pare evidente che la dichiarazione di fallimento di Alfa S.r.l. non si pone come ostativa all’esercizio delle funzioni ispettive, preordinate a verificare la corretta osservanza della disciplina inderogabile che conforma i rapporti di lavoro; ma proprio la procedura concorsuale precluderebbe semmai al personale ispettivo la facoltà di adottare provvedimenti ingerenti su posizioni giuridiche (accertamento dei crediti della massa) che sono appannaggio esclusivo del Tribunale fallimentare e che confliggono con il divieto di cui all’art. 51 della L. Fall. Le diffide accertative emesse nei confronti della società fallita e in favore dei lavoratori, costituiscono per questi ultimi, salve le cause legittime di prelazione, un indebito titolo preferenziale rispetto alla massa, poiché mediante tali atti la curatela fallimentare subisce l’intimazione di corrispondere, in spregio alla regola concorsuale, i crediti retributivi indicati nel titolo, alterando di fatto il principio della par condicio creditorum. Sennonché proprio il carattere inderogabile di tale principio, voluto dal legislatore per esigenze di parità sostanziale e per svolgere una funzione riequilibratrice a tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, porta a ritenere l’illegittimità delle diffide adottate nel caso di specie dal personale ispettivo.


NOTE

i Appare utile sottolineare la natura composita della disciplina procedimentale, costituta prevalentemente (salve le implicazioni di natura penale) dalla L. n. 689/81, dalla L. n. 124/04, e anche dalla L. n. 241/90, norme comunque tutte volte a garantire la trasparenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa.

ii Cfr. Tenore “L'ispezione amministrativa e il suo procedimento”, Milano 1995, 61.

iii Cfr. L. n. 628/61 i cui contenuti sono stati riprodotti dal D.lgs. n. 124 cit.

iv Giannini “Diritto amministrativo”, I Milano, 1993, 362.

v Procedimento destinato a sfociare, ove vengano riscontrate irregolarità, in atti prevalentemente sanzionatori a carattere ripristinatorio (diffida, disposizione) ovvero repressivi (illecito).

vi L’art. 24 comma I recita: “qualora l'esistenza di un reato dipenda dall'accertamento di una violazione non costituente reato, e per questa non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il giudice penale competente a conoscere del reato è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di condanna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa.” La norma disciplina l’ipotesi della connessione obiettiva tra illecito amministrativo e reato, nel senso di radicare la competenza del giudice penale all’irrogazione della sanzione amministrativa laddove l’accertamento di quest’ultima sia pregiudiziale all’accertamento dell’illecito penale. Al contrario, non è prevista alcuna deroga alla competenza dell’autorità amministrativa quando l’accertamento dell’illecito amministrativo sia dipendente dall’accertamento di un reato. E infatti la giurisprudenza è unanime nel ritenere che “la connessione obiettiva dell'illecito amministrativo con un reato, ai sensi dell'art. 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, rileva esclusivamente, determinando lo spostamento della competenza all'applicazione della sanzione dall'organo amministrativo al giudice penale, nel caso in cui l'accertamento del primo costituisca l'antecedente logico necessario per l'esistenza dell'altro, mentre, in difetto di tale rapporto di pregiudizialità, la pendenza del procedimento penale non fa venir meno detta competenza all'irrogazione della sanzione amministrativa” (cfr. Cass. civ. Sez. I n. 23925/06; ex multis Cass. civ. Sez. lavoro n. 8530/06; Cass. civ. Sez. I, n. 2630/05). Sul punto è stato precisato che “la connessione oggettiva di cui all'art 24 della legge n. 689 del 1981, richiesta per radicare la competenza del giudice penale nell'accertamento della responsabilità per l'illecito amministrativo, non consiste nella mera identità, totale o parziale, della condotta integrante le fattispecie amministrativa e penale, occorrendo, invece, che l'"esistenza" del reato dipenda dall'accertamento della violazione amministrativa” (cfr. Cass. civ. Sez. V, n. 5242/08). Alla luce di tali premesse, deve ritenersi che in presenza della speciale ipotesi descritta dall’art. 24 della L. n. 689 cit., incombe sul personale ispettivo, in armonia con le attribuzioni assegnate dall’art. 55 c.p.p., l’obbligo, non già di arrestare o sospendere il procedimento di verifica, ma, piuttosto, di portare a conclusione tale procedimento, adottando di tutti gli atti conclusivi d’indagine. Ai sensi dell’art. 24 comma II L. n. 689 cit., tali atti poi, in difetto di pagamento, da parte degli obbligati, delle sanzioni irrogate in misura ridotta, dovranno essere trasmessi, unitamente al rapporto di cui all’art. 17 all’autorità giudiziaria competente per l’accertamento del reato, affinché quest’ultima disponga la notifica degli estremi della violazione amministrativa.

viii Cfr. Cass. civ. Sez. III, 08/08/2007, n. 1738.

ix La norma testualmente rubricata “Divieto di azioni esecutive e cautelari individuali” dispone che “salvo diversa disposizione della legge dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento”.

x In giurisprudenza è stato stabilito che “il sistema concorsuale, proprio della procedura fallimentare, è informato a due fondamentali principi: quello della universalità oggettiva, derivante dall'art. 42 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), e quello della universalità soggettiva, derivante dagli artt. 51 e 52 della stessa legge. Il primo principio comporta la privazione integrale del debitore dalla disponibilità del suo patrimonio; il secondo la soggezione dei suoi creditori alle norme specifiche sulla formazione dello stato passivo e l'esclusione della possibilità di azioni autonome sui beni del fallito nonché della possibilità di proseguire o iniziare azioni volte alla conservazione del patrimonio del fallito” (cfr. Cass. civ. Sez. III, 19/08/2003, n. 12114).

xi Cfr. Cons. Stato Sez. IV, 16/10/2009, n. 6355. In altra precedente occasione la giurisprudenza amministrativa ha osservato che “il principio di legalità e di conseguente tipicità dei provvedimenti amministrativi esclude che possano essere inseriti nella sequenza procedimentale provvedimenti non espressione di poteri tipici previsti dalla legge” (cfr. Cons. Stato Sez. V, 22/02/2007, n. 948).

xiiPer il principio di tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi, ciascuno di essi è caratterizzato dal particolare contenuto e dalla funzione peculiare assegnatagli dalla P.A. in relazione allo schema tipico tassativo previsto dall'ordinamento. Pertanto, se è vero che per la loro esatta identificazione è consentito utilizzare alcune delle norme giuridiche sull'interpretazione dei contratti, è del pari certo che il procedimento interpretativo non è invocabile per modificarne l'effettivo "nomen iuris", neppure quando la specifica funzione istituzionale intesa con esso perseguire avrebbe richiesto altra tipologia di atto, ovvero, più semplicemente, quando quest'ultima si sarebbe rivelata più appropriata ed opportuna al fine di realizzare lo specifico interesse pubblico perseguito. Le deviazioni del provvedimento dalle sue finalità istituzionali devono essere fatte valere necessariamente attraverso la giurisdizione generale di legittimità e soltanto la caducazione dell'atto da parte del giudice amministrativo o degli organi amministrativi a ciò qualificati può farne cessare l'operatività” (Cass. civ. Sez. I, 02/09/2005, n. 17697).

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