Comodato casa familiare oltre la crisi

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Comodato casa familiare oltre la crisi

La casa coniugale di proprietà dei genitori di uno dei due coniugi, concessa in comodato al fine di soddisfare le esigenze abitative familiari, rimane all’ex coniuge affidatario dei figli, anche dopo la separazione.

Difatti, il comodato di immobile che sia stato pattuito per la destinazione di esso a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario - da intendersi anche nelle sue potenzialità di espansione - può essere soggetto a restituzione immediata solo in caso di sopravvenienza di urgente e imprevisto bisogno del comodante.

Comodato “non precario”

Si rientra, in tale ipotesi, nella fattispecie di cui all’articolo 1809, secondo comma, del Codice civile, di comodato “non precario”, sorto per un uso determinato e, dunque, per un tempo determinabile per relationem, che può essere individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.

Questo rapporto è destinato, pertanto, a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari.

E’ quanto enunciato dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 1666, depositata il 29 gennaio 2016, con la quale sono stati richiamati alcuni dei principi già espressi dalle Sezioni Unite Civili, con la decisione n. 20448/2014.

Vincolo di destinazione 

In altra recentissima pronuncia di analogo tenore – Corte di Cassazione, sentenza n. 24618/2015 – è stato, altresì, sottolineato come per effetto della concorde volontà delle parti venga impresso all'immobile un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza la possibilità di farne dipendere la cessazione esclusivamente dalla volontà ad nutum del comodante. 

In detto contesto, è stato confermato come la casa coniugale di proprietà delle cognate resti in comodato alla ex moglie affidataria dei figli, nonostante il marito, in sede di separazione, abbia dato il proprio consenso al rilascio.

Motivi che legittimano la restituzione dell’immobile

Come sancito dalle Sezioni Unite Civili nella pronuncia sopra richiamata, la restituzione dell’immobile concesso in comodato e adibito a residenza della famiglia è possibile solo nell’ipotesi di necessità di uso diretto e di imprevisto sopravvenuto deterioramento della condizione economica del comodante.

Questa situazione, infatti, giustifica il recupero del bene anche ai fini della vendita o di una redditizia locazione del medesimo.

La destinazione a casa familiare, tuttavia, con maggiore intensità di ogni altra, implica che il giudice presti la massima attenzione nel controllo di proporzionalità e adeguatezza che gli spetta, nel momento in cui valuta il bisogno fatto valere con la domanda di restituzione e lo compara con l'interesse del comodatario. Sono, infatti, in gioco i valori della persona e le esigenze di tutela della prole.

Il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene – continua la Corte - non deve essere grave ma, comunque, imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente.

Giustificazioni, queste, non riscontrate dalla Corte d’appello di Napoli (sentenza n. 3526/2015) in una vicenda in cui il comodante aveva chiesto la riconsegna del bene precedentemente concesso in comodato esclusivamente sulla base della propria situazione di invalidità.

Regime probatorio 

Onere per chi si oppone alla restituzione 

Secondo la pronuncia di Cassazione sopra richiamata n. 1666/2016, inoltre, per quel che concerne il regime probatorio, spetta al coniuge separato, convivente con la prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente ed assegnatario dell'abitazione già attribuita in comodato, che intenda opporsi alla richiesta di rilascio del comodante, dimostrare che la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento derivi da un comodato di casa familiare con scadenza non prefissata.

Ciò “anche mediante le inferenze probatorie desumibili da ogni utile fatto secondario allegato e dimostrato”.

Si tratta di un problema di prova, risolvibile grazie al prudente apprezzamento del giudice di merito in relazione agli elementi (epoca dell’insorgenza della nuova situazione, comportamenti e dichiarazioni delle parti, rapporti intrattenuti, tempo trascorso etc.) che sono sottoponibili al suo giudizio.

Dimostrazione, questa, non riscontrata dalla Suprema corte alle prese con altra vicenda esaminata nella sentenza n. 2506/2016, nell’ambito della quale è stato accertato che l’appartamento di cui il comodante aveva richiesto la restituzione era stato concesso ai coniugi “per il tempo necessario a trovare un altro alloggio” e, dunque, non per soddisfare stabilmente le loro esigenze di vita familiare.

Parimenti, il Tribunale di Roma – sentenza n. 18678/2015 – ha giudicato che detta prova non fosse stata raggiunta in un caso in cui la casa era stata concessa in comodato all’ex marito per uso personale e già prima delle nozze; per i giudici di merito, infatti, in assenza della comune e inequivoca volontà di destinare l’appartamento ad abitazione della famiglia, la detenzione dell’alloggio da parte della ex moglie separata era da ritenere senza titolo.

Prova a carico del comodante 

Spetta, invece, a chi invoca la cessazione del comodato per il raggiungimento del termine prefissato, dimostrare il relativo presupposto e, dunque, l'eventuale avvenuto dissolversi delle esigenze connesse all'uso familiare (Cass. Civ. n. 1666/2016).

Ed in tale senso, in una vicenda sottoposta all’attenzione della Corte di cassazione e fatta oggetto della sentenza n. 23978/2015, è stato ritenuto che il rapporto di comodato tra le parti fosse venuto meno in considerazione dalla accertata risoluzione del medesimo, dopo la separazione. La casa, ossia, andava restituita ai comodanti essendo cessate le esigenze familiari che ne avevano determinato l’assegnazione.

 

Quadro Normativo

Articolo 1809, secondo comma, Codice civile

Corte di Cassazione - sentenza n. 1666/2016

Corte di Cassazione - sentenza n. 2506/2016

Corte di Cassazione, sentenza n. 24618/2015

Corte d’appello di Napoli - sentenza n. 3526/2015

Tribunale di Roma – sentenza n. 18678/2015

Corte di Cassazione - sentenza n. 23978/2015

Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili - sentenza n. 20448/2014

 

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