Strumenti di tutela avverso il provvedimento di disposizione

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A seguito della violazione di disposizioni contenute in un accordo collettivo il personale ispettivo adotta un provvedimento di disposizione che impone al datore di lavoro la specifica osservanza degli obblighi contrattuali. Il datore di lavoro decide di impugnare la disposizione. Quali strumenti di tutela soccorrono al fine?



Il provvedimento di disposizione ex art. 14 D.lgs. n.124/04

La disposizione costituisce un provvedimento avente efficacia esecutiva che, ai sensi dell’art. 14 del D.lgs. n. 124/04, può essere adottato dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale “nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive”. Si tratta di un provvedimento amministrativo che impone al datore di lavoro un obbligo che specifica la regola generale contenuta nel precetto legislativo o contrattuale. Segnatamente, attraverso la disposizione il personale ispettivo integra e/o specifica in funzione della concreta realtà aziendale ispezionata, il precetto normativo o contrattuale disatteso dalla parte datoriale. In tal senso l’adozione di tale provvedimento appare giustificabile anche e soprattutto quando l’ispettore riscontri la violazione o la disapplicazione di precetti contenenti clausole generali (es. buon costume, ordine pubblico, buona fede) che, come noto, svolgono il ruolo di “valvole di sicurezza” dell’ordinamento, giacché consentono il continuo adattamento di quest’ultimo alle nuove esigenze, economico-sociali, di cui il legislatore non può tempestivamente tener conto.

Tale prospettiva è stata evidenziata dallo stesso Ministero del Lavoro, che con circolare n. 24 del 2004 ha delineato i tratti differenziali rispetto al provvedimento diffida ex art. 13 D.lgs. 124 cit.. A tal fine il Dicastero ha rilevato che “a differenza della diffida, la disposizione impone al datore di lavoro un obbligo nuovo, che viene a specificare quello genericamente previsto dalla legge, specie laddove essa non regolamenta fin nei dettagli la singola fattispecie considerata”.

Differenze tra diffida e disposizione

Sicché, mentre la diffida concretandosi nel richiamo rivolto al datore di lavoro all’osservanza dell’obbligo giuridico violato (con invito a procedere alla regolarizzazione nel termine fissato), presuppone la violazione di una puntuale disposizione legislativa e pertanto non integra un atto di tipo discrezionale; al contrario la disposizione postula l’esercizio di discrezionalità amministrativa, in quanto definisce il più delle volte il contenuto di obblighi formulati in termini generali, individuando le modalità comportamentali che il datore di lavoro deve tenere ai fini del rispetto della normativa di lavoro.

Altra differenziazione importante, a cui non sembra sia stato dato debito risalto, consiste nel fatto che la diffida è sempre accompagnata da una sanzione amministrativa di importo pari al minimo edittale. Invece la disposizione non comporta automaticamente l’irrogazione di una sanzione amministrativa, la quale piuttosto scatterà esclusivamente laddove il datore di lavoro non esegua l’ordine impartito dall’ispettore del lavoro.

Gli strumenti di tutela

Ulteriori elementi di differenziazione si rinvengono negli strumenti di tutela a disposizione dei destinatari dei provvedimenti.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza ritiene che la diffida intimata dagli ispettori del lavoro ai responsabili di aziende perché regolarizzino, entro un dato termine, le violazione riscontrate (in quanto atto con funzione meramente ricognitiva di obblighi imposti per legge) non riveste carattere immediatamente lesivo e pertanto non è impugnabile in sede giurisdizionale, ma semmai in sede amministrativa. Nel caso in cui l’interessato intenda contestare la fondatezza degli addebiti mossigli con diffida, deve limitarsi a non ottemperare al provvedimento, con condotta che determina esclusivamente la prosecuzione del procedimento amministrativo, sino all’emissione dell’ordinanza ingiunzione, unico atto impugnabile con ricorso giurisdizionale.

La disposizione invece, quale atto a contenuto discrezionale, soggiace a un duplice regime di tutela: amministrativa nei termini stabiliti dall’art. 14 comma 2 del D.lgs. n. 124 cit. ovvero giurisdizionale, quest’ultima azionabile direttamente anche senza il previo esperimento del ricorso amministrativo. Ben si intende che la tutela giurisdizionale non può essere azionata cumulativamente con il rimedio amministrativo (electa una via, non datur recursus ad alteram), mentre sarà semmai percorribile solo successivamente e cioè avverso il provvedimento del Direttore della DTL che decide in senso negativo il ricorso amministrativo.

Stante l’impugnabilità in sede giurisdizionale del provvedimento di disposizione si pone l’individuazione dell’autorità giurisdizionale competente: Giudice ordinario o Giudice amministrativo.

La giurisprudenza sul punto pare consolidata nel ritenere che i provvedimenti volti ad impartire disposizioni esecutive, per il loro contenuto discrezionale integrativo della disciplina legislativa incidono su posizioni di interesse legittimo dei destinatari, con la conseguenza che le relative controversie risultano attratte nella giurisdizione del giudice amministrativo in sede di legittimità. Pertanto ove il datore di lavoro decida di contestare il provvedimento di disposizione in sede giurisdizionale, il relativo ricorso andrà promosso innanzi al TAR. La questione a prima vista sembra di pronta soluzione.

Sennonché le dinamiche assumono connotati curiosi nell’eventualità in cui il datore di lavoro, soccombente in sede giurisdizionale (cioè davanti al TAR), decida comunque di non osservare il provvedimento di disposizione impartito dagli ispettori. In tale eventualità infatti l’inadempimento determinerà l’irrogazione, da parte del personale ispettivo, di apposita sanzione amministrativa applicata ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 14 D.lgs. n. 124 cit. e art. 11 comma 1 D.P.R. n. 1955/520, come modificato dall’art. 11 del D.lgs. n. 758/94. La sanzione sarà irrogata secondo il procedimento stabilito dalla L. n. 689/81, che culminerà con l’adozione dell’ordinanza ingiunzione. Orbene avverso tale atto la competenza funzionale a sindacarne la legittimità è appannaggio del Giudice ordinario e non del Giudice amministrativo. Evidente pertanto è la discrasia: da un lato la disposizione risulta sottoposta al sindacato di legittimità del Giudice amministrativo, dall’altro lato la sanzione irrogata per inadempimento del citato atto di disposizione è sottoposta al sindacato di merito del Giudice ordinario.

Il caso concreto

Venendo ora al caso che occupa risulta che a seguito della violazione di disposizioni contenute in un accordo collettivo il personale ispettivo ha adottato un provvedimento di disposizione ex art. 14 D.lgs. n. 124 cit., imponendo al datore di lavoro la specifica osservanza degli obblighi contrattuali. Il datore di lavoro ha deciso di impugnare il provvedimento. All’uopo può percorrere le seguenti strade:

  1. Ricorso davanti al Direttore della DTL nel termine di 15 giorni dalla notifica;

  2. (Alternativamente) ricorso giurisdizionale al TAR territorialmente competente.

Vale sottolineare che il ricorso non sospende l’efficacia del provvedimento, pertanto in difetto di misura cautelare il datore di lavoro deve comunque tenere la condotta ordinata dall’ispettore nel termine assegnato, giacché diversamente scatterà l’applicazione della sanzione amministrativa, se del caso contestabile in sede giurisdizionale con ricorso in opposizione a ordinanza ingiunzione di competenza del Giudice ordinario.


NOTE

i Sulla distinzione tra diffide e disposizione in giurisprudenza cfr. Cons. Stato Sez. VI, 30/11/1993, n. 944; Cass. civ. Sez. Unite, 09/07/1991, n. 7547; T.A.R. Campania Napoli, 14/01/1981, n. 18.

ii T.A.R. Piemonte, 03/06/1980, n. 414.

iii Cass. civ. Sez. lavoro, 12-07-2010, n. 16319; Trib. Trieste Sez. lavoro, 19/07/2011; Trib. Bologna Sez. lavoro, 20/09/2011.

iv T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, 20/03/2009, n. 494; Cons. Stato Sez. VI, 05/03/1985, n. 82.

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