Si presume non genuina l’associazione in partecipazione se il lavoratore non è qualificato
Pubblicato il 30 novembre 2012
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Tizio è titolare di un negozio di abbigliamento al cui interno lavora Caio, alla sua prima esperienza lavorativa, assunto con contratto di associazione in partecipazione. Il contratto viene concluso sotto la vigenza della legge 92/12 c.d. riforma Fornero. Il contratto riconosce a Caio un compenso minimo per l’attività prestata, oltre a una quota di partecipazione agli utili di esercizio in misura doppia rispetto alla percentuale di partecipazione alle perdite. Nei termini convenuti Tizio corrisponde all’associato il compenso fisso per l’apporto reso e ciò in attesa di procedere alla rendicontazione economica ai fini della quantificazione degli utili o delle eventuali perdite di esercizio. Caio non convinto della genuinità del contratto, per il carattere standardizzato delle proprie mansioni, rappresenta i fatti alla DTL, chiedendo espressamente che venisse garantita totale e assoluta riservatezza sulle proprie generalità. In occasione delle verifiche gli ispettori constatano che l’apporto lavorativo di Caio ha per oggetto operazioni di routine, quali la vendita di capi di abbigliamento, la pulizia del locale e la sistemazione del magazzino e che l’associato non possiede un percorso formativo di qualificazione alle spalle. Sulla base di tali aspetti il contratto di associazione in partecipazione viene convertito in contratto subordinato a tempo indeterminato, con la conseguente riqualificazione del rapporto di lavoro e con il recupero delle spettanze retributive e degli oneri contributivi e assicurativi. È corretto l’operato degli ispettori?
Premessa
Il contratto di associazione in partecipazione è stato oggetto di significativi interventi restrittivi da parte della L n. 92/12. Appare verosimile che le restrizioni normative affondano le ragioni nell’esigenza di porre un freno all’utilizzo improprio che di tale contratto è stato fatto da parte degli operatori economici, spinti più che altro da non meritevoli interessi volti a conseguire, in elusione al regime normativo applicabile allo schema della subordinazione, indebiti risparmi sul costo del lavoro. Prima di illustrare sinteticamente gli aspetti salienti della riforma, appare utile, per la soluzione del caso in esame, soffermarsi brevemente sugli elementi strutturali che caratterizzano l’associazione in partecipazione.
I requisiti essenziali del contratto di associazione in partecipazione
Anzitutto l’associazione in partecipazione è definita dall’art. 2549 I comma c.c. come il contratto mediante il quale “[…] l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto”. Si tratta di un contratto sinallagmatico, aleatorio ad effetti obbligatori, in cui le parti del rapporto sono:
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l’associante, che è il titolare dell’impresa e nei confronti del quale i terzi, ai sensi dell’art. 2551 c.c., acquisiscono diritti e assumo obblighi;
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l’associato, vale a dire il soggetto che, mediante il proprio apporto patrimoniale o personale e in cambio di un’utilità finanziaria, contribuisce alla realizzazione di uno o più affari, ovvero, e più in generale, degli scopi di impresa.
Il contratto non è sottoposto a vincoli di forma e pertanto può essere concluso anche oralmente.
Sotto il profilo della durata, secondo il Ministero del Lavoro “la disciplina non fornisce alcuna specifica indicazione lasciando, conseguentemente, all’autonomia delle parti l’eventuale previsione di un termine finale”.
I rapporti interni tra associante e associato sono regolati dall’art. 2552 c.c..
In particolare la gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante, mentre all’associato è attribuito, nella misura stabilita dal regolamento negoziale, un potere di controllo sull’andamento dell’attività in oggetto. Tale potere evidenzia come la causa tipica del contratto di associazione sia rappresentata dall’assunzione di un rischio d’impresa in capo all’associato; tutto ciò rientra nella natura aleatoria del contratto, in ragione della quale l’associato partecipa agli utili e alle eventuali perdite di esercizio. La rendicontazione deve essere portata a conoscenza dell’associato medesimo mediante consegna di idoneo prospetto contabile.
Il recente arresto della Suprema Corte di Cassazione
Tali aspetti sono stati recentemente rimarcati dalla Corte di Cassazione, la quale ha osservato che i tratti che tipizzano l’associazione in partecipazione, con apporto di lavoro dell’associato, e che al tempo stesso la distinguono dal lavoro subordinato, non consistono principalmente nelle modalità di espletamento della prestazione di lavoro, poiché tali rapporti possono avere contenuti simili, specie laddove l’associante garantisca comunque un compenso fisso all’associato e l’attività di quest’ultimo venga conformata dall’esercizio di poteri direttivi e di controllo.
In realtà, ove si riscontrino difficoltà nel distinguere le due tipologie di rapporti, l’opera di qualificazione si concentra necessariamente sulla genuinità del contratto di associazione in partecipazione e quindi:
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sul riconoscimento in capo all’associato del rischio di impresa, la cui autenticità non rende ammissibile un patto di esclusione totale da eventuali perdite di esercizio;
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sull’effettivo esercizio da parte dell’associato del potere di controllo dell’impresa o dell’affare;
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sull’adempimento, da parte dell’associante, all’obbligo del rendiconto.
Le modifiche apportate con L. n. 92/12
I criteri sopra esposti costituiscono una guida nell’attività di accertamento sulla natura del rapporto, la quale postula sempre una disamina concreta sulle modalità fattuali di svolgimento della prestazione lavorativa dell’associato. Il Legislatore della riforma invece, nell’obiettivo di contrastare fenomeni elusivi, ha modellato il proprio intervento, non già mediante un piano razionale di rafforzamento delle azioni di controllo, bensì introducendo sistemi di verifica basati essenzialmente su regimi probatori di natura presuntiva, relativa e assoluta. In particolare la presunzione assoluta, per giurisprudenza costituzionale, non è compatibile con il principio dell’indisponibilità del tipo negoziale, secondo il quale la natura autonoma o subordinata del rapporto non può essere stabilita in modo categorico e senza possibilità di prova contraria dal legislatore, ma dipende dalle concrete modalità fattuali di svolgimento della prestazione. Va segnalato ancora che, contrariamente alle novità introdotte per il contratto intermittente, il Legislatore non ha previsto un regime transitorio per tutti i contratti di associazione in partecipazione in essere alla data del 18 luglio 2012, ma solo per quelli che siano stati sottoposti alla procedura di certificazione, i quali, invero, e ai sensi dell’art. 1 comma 29 della L. n. 92 cit. continueranno ad esplicare effetti fino al termine naturale di scadenza.
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Presunzione assoluta
In primo luogo, appare poco comprensibile (in quanto avulsa quadro normativo sopra descritto), l’aggiunta, da parte dell’art. 1 comma 28 della L. n. 92 cit., di un comma ulteriore all’articolo 2549 del c.c.., con il quale è stata introdotta una presunzione assoluta di subordinazione nel caso in cui il numero degli associati con apporto non esclusivo di lavoro e impegnati in una medesima attività sia superiore a tre. Se si considera che l’art. 2550 c.c. pone carico dell’associante, salvo patto contrario, la necessità di acquisire il consenso dell’associato laddove voglia concludere ulteriori contratti di associazione rispetto al primo, la misura repressiva sopra descritta non trova alcuna adeguata spiegazione, se non quella di un’implicita ammissione di impossibilità nel garantire controlli volti a ostacolare forme di abuso dello schema negoziale de quo.
Dal computo dei contratti sono stati esclusi gli associati legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo. Ciò al fine di sollecitare i titolari di imprese individuali o soci di società di persone ad instaurare con i propri familiari o persino conviventi un rapporto lavorativo di natura collaborativa diverso dal modello dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c..
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Presunzione relativa
Più ragionevole, perché in consonanza con la causa tipica del contratto di associazione in partecipazione, appare invece la presunzione relativa di subordinazione prevista dall’art. 1 comma 30, la quale opera nel caso in cui i rapporti di associazione in partecipazione siano instaurati o attuati, alternativamente e non cumulativamente:
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senza una effettiva partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare;
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senza la consegna del rendiconto previsto dall’articolo 2552 del c.c.;
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ove l’apporto di lavoro non presenti i requisiti di cui al nuovo articolo 69-bis, comma 2, lett. a) del D.lgs. n. 276/03 ossia sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell'esercizio concreto di attività.
Il riferimento a quest’ultimo parametro porta a ritenere che la prestazione di lavoro svolta in maniera schematica e ciclica e contrassegnata da mansioni esecutive e non di concetto, non appare di per sé compatibile con lo schema dell’associazione in partecipazione, con la conseguenza che deve essere considerata presuntivamente di natura subordinata, con possibilità per l’associante di provare l’esatto contrario e cioè la possibile riconducibilità del rapporto nell’alveo dell’autonomia.
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Abrogazione dell’art. 86 comma 2 del D.lgs. n. 276/03
Con l’art. 1 comma 29 della L. n. 92 cit. il Legislatore ha abrogato invece l’art. 86 comma 2 del D.lgs. n. 276/03 che prevedeva una presunzione relativa in favore del lavoro subordinato allorché non fossero state riscontrate “effettiva partecipazione” e “adeguata retribuzione” nell’attività resa dell’associato. Il parametro della “retribuzione adeguata” in un contratto aleatorio come quello in esame era, a giudizio degli scriventi, del tutto fuori luogo. Resta solo l’indice dell’effettiva partecipazione agli utili dell’impresa e dell’affare, la cui portata si riassume nell’assunzione di un rischio effettivo da parte dell’associato che abbia apportato la propria prestazione personale e relativa inammissibilità, secondo il recente arresto della giurisprudenza di legittimità, di patti che garantiscano a costui la totale esclusione dalle perdite di esercizio.
Il caso concreto
Dopo aver riassunto gli aspetti fondamentali della riforma, non resta che valutare la loro portata applicativa al caso di specie.
Nei fatti risulta che Tizio è titolare di un negozio di abbigliamento al cui interno lavora Caio, alla sua prima esperienza lavorativa, assunto con contratto di associazione in partecipazione. Il contratto è stato concluso sotto la vigenza della legge 92/12 c.d. riforma Fornero. Dal testo contrattuale risulta che Caio percepisce un compenso minimo per l’attività prestata, oltre a una quota di partecipazione agli utili di esercizio in misura doppia rispetto alla percentuale di partecipazione alle perdite. Nei termini convenuti Tizio ha corrisposto all’associato il compenso per l’apporto reso e ciò in attesa di procedere alla rendicontazione economica ai fini della quantificazione degli utili o delle eventuali perdite di esercizio. Caio, insospettito dalla natura standardizzata della propria attività consistente nella vendita di capi di abbigliamento, nella pulizia del locale e nella sistemazione del magazzino, ha rappresentato i fatti alla DTL, chiedendo espressamente che venisse garantita totale e assoluta riservatezza sulle proprie generalità. Gli ispettori hanno effettuato gli accertamenti di competenza e hanno constatato la fondatezza di quanto esposto da Caio, al quale invero è stata riconosciuta correttamente una partecipazione agli utili e alle perdite dell'impresa, ma l’apporto reso da costui si è svolto in netto contrasto con quanto previsto dall’art. 1 comma 30 lett. c) della L. n. 92 cit., perché avente a oggetto mansioni esecutive ordinariamente tipiche del lavoro dipendente e che contrassegnano l’attività di coloro che come Caio sono alla prima esperienza di lavoro e privi di specifici e rilevanti percorsi formativi.
Sulla base di tali aspetti, gli ispettori, in applicazione del meccanismo presuntivo, hanno giustamente convertito il contratto di associazione in partecipazione in contratto subordinato a tempo indeterminato, riqualificando conseguentemente il rapporto di lavoro di Caio, in favore del quale sono stati effettuati anche i recuperi retributivi, contributivi e assicurativi.
Spetterà ora a Tizio fornire, in sede di ricorso amministrativo ex art. 17 D.lgs. n. 124/04 ovvero avanti all’organo giurisdizionale, la dimostrazione circa la natura autonoma del rapporto di lavoro.
NOTE
i È sorprendente e clamoroso il caso di una nota azienda, leader nel mercato della calzetteria femminile italiana, che in limine all’entrata in vigore della L. n. 92 cit., ha concluso, con le principali associazioni sindacali di settore, un discutibile contratto aziendale di prossimità ex art. 8 D.L. n. 138/2011, conv. in L. n. 148/2011, per regolare la stabilizzazione di tutti coloro che erano stati assunti con contratto di associazione in partecipazione.
ii Quindi unico creditore e debitore nei rapporti con i terzi rimane l’associante.
iii Cfr. Cass. Civ. n. 15175/2000. L’apporto può consistere nel versamento di una somma di denaro ovvero nel conferimento di altro bene nello svolgimento di una prestazione lavorativa.
iv L’associazione in partecipazione si differenzia dal contratto di società per la mancanza di un autonomo patrimonio comune e per l’assenza di una gestione comune dell’impresa che infatti viene esercitata con piena responsabilità verso i terzi dall’associante. Cfr. Cass. Civ. n. 5518/81; Cass. Civ. n. 958/76.
v Sotto il profilo degli adempimenti amministrativi si evidenzia che qualora l’associato non sia iscritto in albi professionali e renda il proprio apporto con prestazione di lavoro, anche in maniera non esclusiva, l’associante è tenuto a comunicare l’instaurazione del rapporto mediante modello UNILAV, il giorno antecedente all’inizio della prestazione. In tal senso cfr. Note Ministero del Lavoro n. 0000440 del 4 gennaio 2007 e Prot. 13 / SEGR / 0004746 del 14/02/2007. il rapporto di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro o con apporto misto, cioè di lavoro e capitale, è soggetto alla registrazione nel LUL. In tal senso cfr. circolare Ministero del Lavoro n. 20 del 2008. Per gli associati in partecipazione che conferiscano prestazioni lavorative ed i cui compensi siano classificati come redditi da lavoro autonomo, è previsto l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata Inps di cui all’articolo 2, comma 26, della Legge 335/1995.
vi La libertà di forma deve essere rapportata alla tipologia dell’apporto reso dall’associato, giacché ove quest’ultimo conferisca un bene immobile è necessario che l’atto venga redatto per iscritto.
vii Cfr. Ministero del Lavoro risposta a interpello n. 67 del 2009. La risposta precisa altresì che “l’eventuale proroga di un contratto di associazione in partecipazione a tempo determinato con apporto di lavoro da parte dell’associato, dovrà essere necessariamente comunicata dall’associante al Servizio competente (attualmente per via telematica) entro i cinque giorni successivi alla scadenza del termine originariamente fissato”.
viii Cfr. Cass. Civ. n. 2496/12. Altro e pregresso orientamento attribuisce rilevanza alle modalità di esercizio del potere direttivo, cfr. Cass. Civ. n. 19352/03.
ix L’associato non può comunque sopportare perdite di entità superiore al valore dell’apporto reso. Altra giurisprudenza ritiene ammissibile il contratto di cointeressenza c.d. impropria, giacché ove l’impresa non consegua utili l’apporto dell’associato, è comunque destinato a rimanere privo di compenso. Cfr. Cass. Civ. n. 3894/09.
x Cfr. caso pratico de "L'Ispezione del Lavoro", del 24 febbraio 2012, "Contratto di collaborazione con progetto genrico: vige la presunzione di subordinazione senza ulteriori accertamenti" e cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 121/93 e sentenza n. 115/94.
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