Controlli investigativi sul lavoro: la Cassazione chiarisce quando sono legittimi

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Controlli investigativi sul lavoro: la Cassazione chiarisce quando sono legittimi

Controllo mediante agenzia investigativa: cosa dice la Cassazione

I controlli da parte del datore di lavoro tramite agenzie investigative sono ammessi per verificare condotte penalmente rilevanti o fraudolente che possano arrecare danno all'azienda. Non sono consentiti, per contro, se finalizzati esclusivamente a monitorare l'adempimento dell'obbligazione contrattuale, in conformità agli articoli 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori.

Il ricorso a tali strumenti investigativi è giustificato in presenza del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.

La relazione investigativa, supportata da testimonianze dirette e da un complessivo quadro probatorio coerente, costituisce prova valida.

I principi sono stati richiamati dalla Corte di cassazione in due recenti ordinanze, pronunciate in riferimento ad altrettante vicende di licenziamento disciplinare.

Condotta fraudolenta, sì a controlli investigativi

Nel caso trattato con ordinanza n. 2565 del 3 febbraio 2025, la Sezione lavoro della Cassazione si è occupata del licenziamento di un lavoratore, a cui era stati contestati comportamenti fraudolenti, quale quello di essersi dedicato ad altre attività durante l'orario di lavoro, pur risultando timbrato il cartellino.

La violazione era stata accertata in seguito a un'indagine investigativa.

La Corte d'Appello aveva confermato la legittimità del recesso, ribaltando la decisione del Tribunale di primo grado, che invece aveva disposto la reintegra del dipendente.

Il dipendente aveva quindi impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando diversi motivi di ricorso.

Tra le doglianze sollevate, il ricorrente contestava il ricorso all’agenzia investigativa, sostenendo che i controlli sarebbero stati effettuati unicamente per verificare l’adempimento della prestazione lavorativa, in violazione degli articoli 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori.

Inoltre, il lavoratore si doleva dell’utilizzo della relazione investigativa come fonte di prova del licenziamento per giusta causa, sostenendo che non fosse corroborata da prove testimoniali sufficienti.

Decisione della Corte di Cassazione  

La Cassazione, nel rigettare il ricorso del dipendente, ha confermato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla liceità dei controlli investigativi in ambito lavorativo, chiarendo che essi sono legittimi solo se mirati all’accertamento di condotte illecite e non al semplice monitoraggio dell’adempimento contrattuale.

Legittimità dei controlli investigativi e validità della prova

Per la Corte, "i controlli investigativi posti in essere dal datore di lavoro tramite agenzie investigative non sono vietati, purché siano finalizzati a verificare comportamenti del dipendente che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o attività fraudolente, fonti di danno per il datore di lavoro, mentre non possono essere diretti a verificare esclusivamente il corretto adempimento dell’obbligazione contrattuale, in ossequio al divieto sancito dagli articoli 2 e 3 dello Statuto dei Lavoratori".

Il ricorso a tali strumenti investigativi - ha continuato la Cassazione - è giustificato "in presenza del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione".

Nel caso in esame, il controllo investigativo non mirava a verificare il mero adempimento della prestazione lavorativa, ma a rilevare condotte fraudolente, come la falsa timbratura del cartellino da parte dei dipendenti. Tale comportamento, oltre a costituire una violazione disciplinare, integrava una possibile ipotesi di truffa aggravata, legittimando così il ricorso all’agenzia investigativa.

In tale contesto, gli Ermellini hanno confermato la validità della relazione investigativa, sottolineando che essa era stata supportata da una testimonianza diretta e da un quadro probatorio coerente.

Il procedimento disciplinare, in definitiva, si era svolto nel rispetto delle garanzie previste dalla normativa e il licenziamento comminato doveva ritenersi legittimo.

Uso improprio del mezzo aziendale? Indagini difensive lecite

Con l'altra ordinanza, la n. 3607 del 13 febbraio 2025, la Corte di cassazione si è pronunciata rispetto a licenziamento per giusta causa di un lavoratore, dipendente di una società consortile per il trattamento delle acque reflue, con mansioni di responsabile collettore.

Il licenziamento, nella specie, era stato disposto in seguito a un’indagine investigativa che aveva accertato l’uso improprio del mezzo aziendale per fini personali durante l’orario di lavoro, con conseguente riduzione fraudolenta della prestazione lavorativa e falsa attestazione della presenza.

La Corte d'Appello aveva confermato la decisione di primo grado, rigettando il ricorso del lavoratore. Quest’ultimo aveva quindi presentato ricorso in Cassazione.

Tra i motivi di ricorso l'uomo aveva contestato, pure in questo caso, la legittimità dell'attività investigativa e l'utilizzo della relazione investigativa come prova.

La decisione della Cassazione

Le doglianze del ricorrente, tuttavia, sono state giudicante infondate dalla Sezione lavoro della Corte.

Anche nel caso in esame, infatti, il controllo investigativo non mirava a verificare l’adempimento della prestazione lavorativa, ma a individuare una condotta fraudolenta, consistita nell’assenza ingiustificata dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge.

Inoltre, non era rilevabile alcuna violazione della privacy, poiché il monitoraggio era avvenuto in luoghi pubblici.

L’illecito si era sostanziato nella falsa attestazione della presenza in servizio e nell’uso personale del mezzo aziendale, autorizzato solo per esigenze lavorative.

In tale contesto, la relazione investigativa, corroborata da altri elementi probatori, era da ritenere idonea a dimostrare i fatti contestati.

Nella decisione, la Cassazione ha ribadito il principio enunciato dalla giurisprudenza secondo cui: "I controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l'adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, in ragione del divieto di cui agli artt. 2 e 3 St. lav.".

Tabella di sintesi delle decisioni

Sentenza Sintesi del caso Questione dibattuta Soluzione della Corte di Cassazione
Ordinanza n. 2565/2025 Licenziamento di un lavoratore per comportamenti fraudolenti (falsa timbratura del cartellino e svolgimento di altre attività durante l’orario di lavoro). Legittimità del controllo investigativo, validità della relazione investigativa come prova, proporzionalità del licenziamento. Confermata la legittimità del controllo investigativo, in quanto mirato a rilevare condotte fraudolente e non la semplice esecuzione della prestazione lavorativa. La relazione investigativa è prova valida, supportata da testimonianze. Il licenziamento è stato ritenuto legittimo.
Ordinanza n. 3607/2025 Licenziamento di un dipendente per uso improprio del mezzo aziendale per fini personali, con falsa attestazione della presenza in servizio. Liceità dell’attività investigativa, utilizzo della relazione investigativa come fonte di prova, correttezza della sanzione disciplinare. Il controllo investigativo è stato ritenuto lecito poiché volto ad accertare un comportamento fraudolento. Nessuna violazione della privacy è stata rilevata. La relazione investigativa è stata confermata come prova idonea. Il licenziamento è stato considerato giustificato.
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