Consulta: sì al ricorso cautelare per impugnare gli atti datoriali
Pubblicato il 14 ottobre 2020
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Idoneità del ricorso cautelare contro il trasferimento o altri atti del datore di lavoro - licenziamento compreso - a impedire, se proposto entro 180 giorni, la decadenza dall’impugnativa del provvedimento datoriale, al pari del ricorso ordinario e della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.
La Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 6, secondo comma, della Legge n. 604/1966 (Norme sui licenziamenti individuali), come sostituito dall’art. 32, comma 1, della Legge n. 183/2010.
Questo con riferimento alla parte in cui la disposizione in esame non prevede che l’impugnazione sia inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, oltre che dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, anche dal deposito del ricorso cautelare anteriore alla causa ai sensi degli artt. 669-bis, 669-ter e 700 del Codice di procedura civile.
La Consulta, con sentenza n. 212 del 14 ottobre 2020, ha così accolto la questione di legittimità costituzionale della norma in oggetto, sollevata dal Tribunale di Catania, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo anche in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
La disposizione era stata censurata per come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, ossia nel senso di ritenere non ricompreso nel termine “ricorso” idoneo a impedire il maturare della decadenza, contemplata dalla stessa norma, anche il ricorso per provvedimento d’urgenza ante causam.
Ricorso cautelare idoneo a impedire decadenza da impugnazione
I giudici costituzionali, dopo una ricostruzione del quadro normativo di riferimento, hanno ritenuto che la questione sollevata fosse fondata con riguardo alla denunciata violazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza: per la Corte, la mancata previsione anche del ricorso per provvedimento d’urgenza, quale atto idoneo a impedire, se proposto nel termine di decadenza, l’inefficacia dell’impugnazione stragiudiziale, sarebbe incostituzionale.
La Consulta ha in proposito spiegato che se l’effetto di precludere la perdita di efficacia dell’impugnazione dell’atto datoriale consegue alla circostanza che la doglianza del lavoratore è portata innanzi a una commissione di conciliazione o a un collegio arbitrale, ove il datore di lavoro accetti l’espletamento della procedura, “analogo effetto non può disconoscersi, senza che sia leso il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), alla più pregnante iniziativa del lavoratore che proponga la sua impugnazione direttamente alla cognizione di un giudice, sia esso anche il giudice della tutela cautelare, iniziativa alla quale – diversamente dal procedimento di conciliazione e arbitrato – il datore di lavoro non può sottrarsi”.
La tutela cautelare, infatti, in quanto riconducibile all’esercizio della giurisdizione e alla garanzia del giusto processo, non può avere un trattamento deteriore rispetto ai sistemi alternativi di composizione della lite, qual è l’inidoneità, prevista dalla disposizione censurata, a precludere l’inefficacia dell’impugnazione dell’atto datoriale.
Rispetto allo scopo perseguito dal legislatore ordinario – ossia quello di far emergere tempestivamente il contenzioso avente ad oggetto l’impugnativa dell’atto datoriale - la menzionata inidoneità costituirebbe inoltre una conseguenza sproporzionata, nonché irragionevole.
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