Visto leggero? Il professionista che non controlla rischia la condanna
Pubblicato il 12 aprile 2024
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Il rilascio, da parte di un professionista abilitato, del cosiddetto visto leggero di conformità, in difetto dei presupposti necessari, può contribuire all'integrazione dei reati tributari di dichiarazione Iva fraudolenta e di indebita compensazione di crediti inesistenti.
Nelle predette ipotesi, perché il professionista possa riconoscersi colpevole, è sufficiente che rilasci il visto leggero di conformità della dichiarazione Iva omettendo consapevolmente di compiere i controlli dovuti e accettando il rischio di agevolare la presentazione di una dichiarazione fraudolenta.
Responsabilità penale per il commercialista che appone il visto leggero
Lo ha puntualizzato la Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 14954 dell'11 aprile 2024, pronunciata sulla vicenda di un commercialista, ritenuto penalmente responsabile, in concorso con altri soggetti, in ordine ai reati tributari di dichiarazione Iva fraudolenta e di indebita compensazione.
Il caso esaminato
Il professionista, nella sua qualità di coadiutore del gestore di fatto di una Srl, era stato ritenuto responsabile per aver apposto il visto leggero e trasmesso la dichiarazione annuale Iva nella quale erano indicate fatture per operazioni oggettivamente inesistenti e per aver concorso nell'utilizzare in compensazione i predetti crediti inesistenti, per un importo superiore alla soglia di punibilità.
Lo stesso consulente aveva impugnato la decisione di condanna davanti alla Suprema corte, contestando l'affermazione della sussistenza del dolo in ordine ai reati contestatigli e deducendo di aver effettuato tutti i controlli richiesti per il rilascio del visto di conformità leggero.
Le relative doglianze, tuttavia, sono state giudicate inammissibili dalla Terza sezione penale della Cassazione.
Dichiarazione fraudolenta e indebita compensazione: sì al concorso nei reati
Nella decisione di merito - ha osservato la Corte - erano rinvenibili numerosi elementi dai quali desumere la totale inesistenza delle operazioni riportate nelle fatture utilizzate per la dichiarazione annuale Iva della società, alla quale il consulente aveva apposto il visto leggero.
Con particolare riferimento agli obblighi di verifica da adempiere per il rilascio del visto di conformità leggero, la Cassazione ha richiamato i principi espressi in un precedente arresto di legittimità (Cassazione n. 19672/2019) relativo ad un caso del tutto analogo.
Ebbene, il professionista è tenuto a riscontrare la corrispondenza dei dati esposti nella dichiarazione con le risultanze della relativa documentazione, oltreché la conformità degli stessi alle disposizioni che disciplinano gli oneri deducibili e detraibili, le detrazioni e i crediti d'imposta, nonché lo scomputo delle ritenute d'acconto, a norma di quanto previsto dall'articolo 2 del DM del MEF n. 164/1999.
Nella vicenda in esame, erano presenti molteplici indici da cui desumere la malafede dell'imputato o, quantomeno, la sua piena consapevolezza dell'elevatissimo rischio che i dati contabili inviatigli ai fini della compensazione dei crediti Iva fossero - come poi accertato - del tutto falsi, attesa l'integrale inesistenza delle operazioni portate nelle relative fatture.
Secondo quanto accertato, infatti, il professionista:
- era stato chiamato ad apporre il visto leggero nonostante la società fosse assistita da vari studi di commercialisti esperti;
- era stato contattato da quello che era risultato l'autore delle false fatture della società;
- aveva attestato la conformità della dichiarazione Iva sette giorni dopo aver ricevuto le fatture, nonostante fossero numerose, per importi milionari ed emesse per periodi particolarmente brevi;
- non aveva effettuato alcun controllo sulle società da cui provenivano le fatture medesime né sull'amministratore formale della Srl;
- non aveva constatato l'identità della veste grafica di tutte le fatture ricevute dalle diverse società;
- si era limitato a far correggere il codice ATECO della società, relativo all'edilizia, nonostante le fatture, per ingentissimi importi, erano relative alla vendita di capi di abbigliamento.
Tutto ciò considerato, le conclusioni della sentenza di merito sono state ritenuto immuni da vizi dalla Suprema corte.
La condotta del professionista che rilascia il visto leggero di conformità della dichiarazione Iva, in assenza dei presupposti necessari, configura un contributo rilevante in relazione ai reati tributari contestati.
Tale condotta, nel dettaglio:
- rispetto al reato di dichiarazione fraudolenta, offre un contributo che, quanto meno, agevola e rafforza il proposito criminoso;
- con riguardo al reato di indebita compensazione, costituisce contributo causale, in quanto presupposto formale necessario per effettuare le compensazione di crediti Iva.
Visto leggero: i controlli da effettuare
La Cassazione, a seguire, si è soffermata sui tipi di controllo che il professionista abilitato è tenuto a compiere al fine del rilascio della certificazione.
A tal proposito, ha fatto riferimento al richiamato articolo 2 del DM n. 164/1999, appunto sul visto di conformità leggero e pesante.
Per quanto concerne il visto leggero, in particolare, gli Ermellini hanno evidenziato come sia doveroso, da parte del professionista abilitato, procedere con la verifica dei documenti relativi ai dati esposti in dichiarazione.
Va escluso che tale verifica possa considerarsi ridotta a un semplice controllo aritmetico di corrispondenza tra il dato numerico riportato nelle fatture e quello indicato in dichiarazione.
E va escluso anche che possa prescindersi da accertamenti formali di immediata effettuazione o, addirittura, da verifiche sulla documentazione strettamente correlata alle operazioni indicate in fattura e nella disponibilità del dichiarante.
Nel caso in esame, erano stati omessi accertamenti formali di immediata fattibilità ed era mancata l'effettuazione di qualunque approfondimento nonostante il rilievo di evidenti incongruenze.
Erano numerose, in altri termini, le omissioni addebitabili al professionista in ordine a controlli doverosi, visti anche gli specifici elementi indicati in sentenza, dai quali il medesimo avrebbe dovuto inferire la irregolarità dei documenti sottoposti al suo esame.
Da qui la conferma della penale responsabilità del commercialista con conseguente rigetto delle relative doglianze.
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