Plusvalenza su immobile ricevuto con sentenza di separazione: quando è tassabile
Pubblicato il 12 giugno 2025
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Con la risposta a interpello n. 153 dell’11 giugno 2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti in merito alla tassazione delle plusvalenze immobiliari nei casi di cessione infraquinquennale di beni acquisiti in sede di separazione personale o divorzio.
In particolare, l’Amministrazione ha precisato che se l’ex coniuge, già titolare del 50% di un immobile da oltre 20 anni, diviene proprietario dell’intero bene a seguito dell’assegnazione del residuo 50% in sede di separazione e lo vende prima del decorso di cinque anni dalla sentenza, si genera una plusvalenza imponibile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b) del TUIR.
Vediamo le circostanze che hanno portato l’Agenzia delle Entrate ad esprimersi in questo modo.
Il caso
Nel caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, l’Istante ha rappresentato di aver acquistato, nel 2003, un immobile in regime di separazione dei beni, insieme alla moglie, diventando proprietario della quota del 50%. A seguito della crisi coniugale, nel dicembre 2023, l’altra metà dell’immobile gli è stata attribuita in attuazione della sentenza di separazione, quale regolazione patrimoniale degli accordi tra i coniugi, senza alcun trasferimento di denaro. L’Istante è così divenuto unico proprietario dell’immobile, acquisendo la piena proprietà per effetto della separazione personale omologata dal tribunale.
Intendendo procedere alla vendita dell’intero immobile prima che siano trascorsi cinque anni dal trasferimento della quota ricevuta in sede di separazione, egli ha chiesto se tale operazione possa generare plusvalenze imponibili ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera b) del TUIR, in particolare in relazione alla quota del 50% acquisita nel 2023.
Il dubbio nasce dal fatto che tale trasferimento non è avvenuto mediante un’ordinaria compravendita, ma come parte dell’assetto patrimoniale definito in sede di separazione, senza corrispettivo in denaro, e l’Istante riteneva che tale modalità potesse escludere la configurabilità di una cessione a titolo oneroso ai fini fiscali.
NOTA BENE: Infatti, lo stesso ritiene che la plusvalenza non sia tassabile, poiché l’acquisizione del 50% dell’immobile, avvenuta in sede di separazione, rientra nel riassetto patrimoniale e non ha natura speculativa. Inoltre, chiede conferma che l’imponibilità dovrebbe riguardare solo la quota acquisita nel 2023 e che, per il calcolo, si debba considerare il valore d’acquisto del 2003, escludendo quello indicato in sentenza e quello catastale.
Disciplina fiscale delle plusvalenze immobiliari: normativa e criteri applicativi
La tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di immobili da parte di persone fisiche è disciplinata dall’art. 67, comma 1, lettera b), del TUIR. Tale disposizione prevede che costituiscono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, con due importanti eccezioni:
- gli immobili acquisiti per successione,
- le abitazioni che siano state adibite a residenza principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo tra acquisto e vendita.
La ratio della norma, come chiarito nella circolare n. 23/E del 29 luglio 2020, è quella di colpire le operazioni immobiliari a carattere speculativo, presumendo tale intento quando l’intervallo tra l’acquisto (o costruzione) e la cessione è inferiore a cinque anni.
La stessa disposizione distingue inoltre una seconda ipotesi di imponibilità, relativa alla cessione di terreni edificabili, per i quali la plusvalenza è sempre imponibile, indipendentemente dal periodo di possesso.
Ai fini del calcolo della plusvalenza imponibile, l’art. 68 del TUIR stabilisce che essa è costituita dalla differenza tra il corrispettivo di cessione percepito e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione, aumentato di ogni altro costo inerente sostenuto per il bene.
Nel contesto delle separazioni e dei divorzi, assume particolare rilievo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui il trasferimento immobiliare tra coniugi disposto con sentenza di separazione o divorzio è da considerarsi a titolo oneroso, come affermato anche nella risoluzione n. 22 del 17 ottobre 1984. Tale trasferimento trova il proprio fondamento nella regolazione economica tra le parti stabilita dal giudice e nella rinuncia reciproca a pretese economiche, rendendolo rilevante ai fini fiscali e facendo decorrere da quel momento il quinquennio utile per la verifica della tassabilità della plusvalenza in caso di successiva cessione dell’immobile.
Separazione e divorzio come atti a titolo oneroso: rilevanza fiscale del trasferimento immobiliare
Nel contesto dell’interpello n. 153/2025, dunqe, l’Agenzia delle Entrate ha confermato un principio di particolare rilievo: il trasferimento immobiliare avvenuto in sede di separazione o divorzio tra coniugi è da considerarsi un atto a titolo oneroso ai fini fiscali. In particolare, è stato ribadito che l’assegnazione del 50% dell’immobile al coniuge, avvenuta nel 2023 in attuazione della sentenza di separazione, non costituisce una mera attribuzione gratuita, ma integra un trasferimento patrimoniale con causa onerosa, in quanto frutto di un equilibrio tra le parti nell’ambito della definizione degli assetti economici conseguenti alla crisi coniugale.
La natura onerosa di tale trasferimento non si basa sull’esistenza di un corrispettivo monetario, ma sulla controprestazione implicita rappresentata dalla rinuncia reciproca a pretese economiche, come previsto dagli accordi omologati dal giudice. Tale interpretazione è coerente con quanto affermato nella storica risoluzione n. 22 del 17 ottobre 1984, secondo cui il trasferimento immobiliare fra ex coniugi costituisce un’operazione con effetti economici simili a una compravendita, in quanto legata a un accordo compensativo patrimoniale.
Alla luce di ciò, l’Agenzia ritiene che l’attribuzione della quota di immobile in sede di separazione debba essere considerata un nuovo atto di acquisto rilevante ai fini dell’art. 67 del TUIR. Di conseguenza, la decorrenza del quinquennio utile per escludere l’imponibilità della plusvalenza non può essere fatta risalire all’acquisto originario del bene, ma deve prendere avvio dalla data della sentenza di separazione o divorzio che ha disposto il trasferimento. Questo orientamento comporta che, in caso di rivendita infraquinquennale, la cessione della quota acquisita in tale sede può generare una plusvalenza imponibile, anche se l’altro 50% era stato detenuto per oltre vent’anni.
Entrate, tassazione delle plusvalenze post-divorzio
Pertanto, con la risposta n. 153/2025, si delineano con chiarezza i criteri applicabili alla cessione di immobili acquisiti in sede di separazione o divorzio, con particolare riferimento al profilo temporale e alla natura onerosa del trasferimento.
In sintesi, i principali punti chiariti sono:
- la plusvalenza è imponibile limitatamente al 50% dell’immobile acquisito in sede di divorzio, poiché la cessione è avvenuta entro cinque anni dalla data del trasferimento disposto dalla sentenza;
- non è imponibile la plusvalenza relativa all’altro 50%, già detenuto dal contribuente fin dal 2003, in quanto è decorso il quinquennio previsto dalla normativa;
- il valore di carico da assumere ai fini del calcolo della plusvalenza è quello indicato nella sentenza di separazione (nell’esempio, 30.000 euro), aumentato di eventuali costi inerenti sostenuti dal contribuente per il bene.
L’Agenzia ha inoltre precisato che, sebbene il trasferimento immobiliare disposto con sentenza di separazione o divorzio sia esente da imposte dirette ai sensi dell’art. 19 della L. 74/1987, tale esenzione non si estende alla successiva cessione del bene. Pertanto, la vendita effettuata entro il quinquennio genera una plusvalenza imponibile, riflettendo l’intento antielusivo della disciplina e la presunzione di intento speculativo sottesa all’art. 67, comma 1, lett. b), del TUIR.
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