Occultamento e distruzione dei documenti contabili
Pubblicato il 01 settembre 2016
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Necessario un comportamento attivo e commissivo
Nel corso di una verifica fiscale il mancato rinvenimento delle scritture contabili del contribuente comporta conseguenze sia sul piano tributario che su quello penale, in particolare è noto che la mancata tenuta delle scritture contabili consente all’ufficio accertatore di procedere alla ricostruzione induttiva del reddito.
Affinchè si configuri una fattispecie penalmente rilevante non è sufficiente “occultare” e comunque “distruggere” le scritture contabili, se le stesse sono tuttavia facilmente reperibili oppure, ancorché distrutte, sostituibili con gli elementi desumibili da altri appunti rinvenuti, occorre che la condotta del soggetto agente sia cosciente, volontaria e abbia caratteristiche strutturali tali da poter essere considerata “impeditiva” della ricostruzione e comunque deve essere volta al fine di evadere le imposte.
Occultamento e distruzione
L’occultamento e la distruzione delle scritture contabili costituiscono delle fattispecie distinte che configurano violazioni penalmente rilevanti in presenza del dolo specifico di evasione fiscale da parte del contribuente. La giurisprudenza ha stabilito che la possibilità di ricostruire il volume d’affari o i redditi del soggetto verificato non fa venir meno la condotta incriminata, sottolineando che deve essere lo stesso contribuente a consentire l'esame della propria posizione contabile attraverso l’esibizione delle scritture contabili obbligatorie o di altri documenti idonei allo scopo.
L’occultamento si ha in particolare con la temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione contabile o fiscale da parte degli organi verificatori, e si realizza con il nascondere materialmente il documento.
Il reato di distruzione e occultamento della contabilità è previsto nel nostro ordinamento dall’art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 che punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a 6 anni (prima della modifica era prevista la reclusione da sei mesi a cinque anni) chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva, o di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti fiscali di cui è obbligatoria la conservazione, per non consentire di conseguenza la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari.
La norma è rimasta immutata nella sua impostazione originaria ad esclusione dell'innalzamento della pena che si ispira a criteri di equilibrio del regime sanzionatorio da correlarsi ad un ridotto numero di fattispecie, di natura delittuosa, imperniate sul dolo specifico e sul rilevante pregiudizio nei confronti dell’Erario.
Il principale problema è quello della possibilità di ricostruire o meno il reddito e il volume di affari, aspetti sui quali la giurisprudenza si è nel tempo pronunciata. La condotta relativa alla distruzione ovvero all’ occultamento delle scritture contabili è penalmente rilevante allorquando non è possibile ricostruire i redditi o il volume degli affari.
Caratterizzazione del reato
Il citato art. 10 richiede per la sussistenza del reato, che la condotta del contribuente non si sia limitata a creare difficoltà ai verificatori nella ricostruzione della contabilità della sua impresa, ma questa sia stata di tale portata da non consentire la ricostruzione del volume complessivo degli affari conclusi o dei redditi percepiti.
Come rilevato anche dalla giurisprudenza di legittimità, la norma sarebbe sostanzialmente improduttiva di effetti, se si attribuisse alla capacità degli accertatori di reperire elementi di prova, una sorta di efficacia sanante dell’illecita condotta dell’imprenditore. Sarebbe un paradosso che una elevata capacità investigativa degli accertatori determinasse la non punibilità del contribuente. La norma ha invece il compito di responsabilizzare l’imprenditore nel senso che la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari dell’impresa deve poter avvenire con i documenti che lo stesso è tenuto a conservare e che deve esibire agli accertatori.
Perché si configuri il reato in questione non è richiesta un’impossibilità assoluta di ricostruire il volume d’affari o dei redditi, è sufficiente anche un’impossibilità relativa, non esclusa quando a tale ricostruzione si possa pervenire in altro modo.
All'interno della norma vi è distinzione tra le condotte di distruzione e quelle di occultamento di documenti contabili obbligatori, infatti mentre il delitto di distruzione configura un reato istantaneo, perfezionandosi nel momento in cui la documentazione viene eliminata, il delitto di occultamento è un reato permanente e la cessazione della permanenza si verifica per effetto della spontanea interruzione dell’azione criminosa da parte dell'imprenditore reo che esibisce ai verificatori la documentazione, oppure della sopravvenuta impossibilità di portare a compimento l’azione a seguito per esempio della contestazione dell’illecito.
Nel caso di “distruzione” della contabilità la condotta delittuosa si realizza pertanto nel momento in cui avviene il materiale disfacimento dei documenti obbligatori, seppure gli effetti della stessa perdurino fino a quando ciò non venga effettivamente accertato in sede di controllo.
Il reato avviene nel momento dell’eliminazione della documentazione rilevante che può consistere o nella eliminazione del supporto cartaceo, nell’apposizione di abrasioni, o nell’apposizione di cancellature frequenti o particolarmente estese che determinino l’impossibilità di consultare le scritture contabili, o impediscano ai verificatori di risalire al volume d’affari o al reddito del contribuente.
In mancanza di elementi di segno contrario, per il principio del favor rei, il momento consumativo del reato va individuato, se si tratta di scritture contabili, nell’ultimo giorno utile per la sua compilazione.
Quanto all’occultamento, la fattispecie può compiersi nascondendo le scritture nello stesso posto o in altro luogo rispetto a quello in cui tali documenti devono essere conservati, ovvero con il rifiuto di esibirli.
La prescrizione del reato
La distinzione tra distruzione ed occultamento è importante per la determinazione del momento in cui si verifica il reato e conseguentemente per l’individuazione del termine da cui parte la prescrizione.
Relativamente al reato di distruzione il termine di prescrizione decorre dal momento nel quale i documenti sono appunto distrutti (che deve essere individuato), mentre per il reato di occultamento questo decorre dal momento in cui tale condotta viene accertata dai verificatori.
Per la Corte di Cassazione la condotta penale dura fino al momento dell'accertamento fiscale che costituisce il termine da cui inizia a decorrere il termine di prescrizione.
Si ricorda che il suddetto reato si configura qualora la condotta di occultamento o distruzione abbia ad oggetto le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione.
Per integrare la fattispecie ed individuare l’oggetto materiale del reato, è necessario richiamare le norme tributarie che indicano cosa debba intendersi per scritture contabili obbligatorie e documenti di cui è obbligatoria la conservazione.
L’art. 22, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede che le scritture contabili obbligatorie ai sensi del citato decreto, di altre leggi tributarie, del Codice civile o di leggi speciali, devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta.
Non vi è una elencazione precisa dei documenti che rilevano dal punto di vista contabile e fiscale, ma si può richiamare l’art. 2214 del Codice civile il quale, in tema di libri obbligatori e altre scritture contabili, prevede l’obbligatoria conservazione delle scritture richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.
L'innalzamento della pena
Inizialmente la pena prevista era la reclusione da sei mesi a cinque anni, ma l’art. 6, co. 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 ha modificato l’art. 10, D.Lgs. 74/2000, modificando la pena prevista nella reclusione da un anno e mezzo a sei anni.
La norma si applica per le violazioni commesse a decorrere dal 22 ottobre 2015, data della sua entrata in vigore.
Come rilevato anche dal Comando Generale della Guardia di Finanza nella Circolare 10 novembre 2015, n. 331248, l’aumento della pena porta con se la conseguenza che l'Autorità giudiziaria ha ora la possibilità, in presenza degli altri presupposti previsti dal Codice di procedura penale, di utilizzare nei procedimenti penali concernenti tale reato l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di comunicazione.
Reperimento di fatture presso il fornitore
Tra i diversi interventi sull'occultamento o distruzione di documenti contabili quello più recente è dato dalla terza sezione penale della Cassazione con la sentenza del 9 maggio 2016, n. 19106.
Il principio individuato dalla Suprema Corte è che il reato di occultamento o di distruzione di scritture contabili può essere provato anche mediante il reperimento di fatture presso la società fornitrice, anche se l’acquirente non è in grado di esibirle.
Sul tema la Cassazione ha richiamato la propria precedente giurisprudenza e in particolare due orientamenti.
Un primo orientamento afferma che la condotta idonea per integrare il reato previsto dal D.Lgs. 74/2000, art. 10, non sarebbe solamente quella volta all’evasione delle imposte dirette o sul valore aggiunto consistente nell'occultare o distruggere le scritture contabili ovvero la documentazione la cui tenuta è obbligatoria, ma anche la condotta di chi si limiti ad omettere la tenuta della documentazione contabile, essendo sufficiente per l'integrazione del reato anche la sola impossibilità relativa ovvero una semplice difficoltà di ricostruzione del volume degli affari e dei redditi, derivante, appunto, da detta omissione.
Secondo un altro orientamento la condotta del reato richiede un comportamento attivo e commissivo di distruzione o occultamento dei documenti contabili la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per legge.
Secondo quanto riportato in sentenza, la disposizione di cui al D.Lgs. 74/2000, art. 10, prevede una doppia (alternativa) condotta riferita ai documenti contabili ovvero la distruzione e l'occultamento totale o parziale elemento che si manifesta nel dolo specifico di evasione propria o di terzi, e un evento costitutivo rappresentato dalla sopravvenuta impossibilità di ricostruire, mediante i documenti, i redditi o il volume degli affari al fine dell'imposta sul valore aggiunto.
La Corte di Cassazione conferma che la condotta non può sostanziarsi in un mero comportamento omissivo, ovvero il non avere tenuto le scritture in modo tale che sia stato obiettivamente più difficoltosa ancorché non impossibile la ricostruzione ai fini fiscali della situazione contabile, ma richiede un elemento “commissivo con un evento di danno” che consiste nell'occultamento o nella distruzione di tali scritture.
Nel caso trattato dalla sentenza nel corso della verifica fiscale effettuata nei confronti di una società, venivano rinvenute fatture di vendita di prodotti alimentari ad altra azienda, unitamente a documentazione che ne attestava il rapporto intercorso.
I successivi accertamenti svolti presso la società utilizzatrice davano esito negativo relativamente all'esibizione della documentazione fiscale, le società erano prive di struttura, non avevano mai presentato dichiarazioni fiscali e non risultava che la parte avesse fornito alla Guardia di Finanza alcun documento contabile, così che il mancato rinvenimento degli stessi appariva come elemento di prova del loro occultamento o della loro distruzione.
La configurazione del dolo specifico richiesto dalla norma al fine di perfezionare la condotta penalmente rilevante, consiste nel fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto o di consentire l'evasione a terzi.
Un elemento a conferma dell'esistenza del dolo specifico proviene dalla circostanza che l’imputato gestiva società inattive, non solo prive di documentazione, ma anche prive di sede legale, costituite al solo scopo di ricevere merce da immettere sul mercato a costo concorrenziale evadendo evidentemente le imposte.
Quadro normativo |
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 D.Lgs. 74 del 10 marzo 2000 Sentenza 9 maggio 2016, n. 19106 della Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale D.P.R. n. 600 del 29 settembre 1973 Guardia di Finanza Circolare n. 331248 del 10 novembre 2015 |
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