Periodo di comporto: vanno escluse le assenze per COVID-19

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Cassazione: le assenze per la quarantena Covid con sorveglianza attiva vanno scomputate dal periodo di comporto.

Con l’ordinanza n. 22552 del 4 agosto 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, è tornata a esaminare il tema della computabilità delle assenze per COVID-19 nel periodo di comporto, fornendo chiarimenti interpretativi rilevanti sull’art. 26, comma 1, del D.L. n. 18/2020 (cosiddetto Cura Italia).

In particolare, la pronuncia analizza le condizioni in cui le assenze legate alla pandemia possano essere escluse dal calcolo del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, con conseguente illegittimità del licenziamento eventualmente intimato per superamento dello stesso.

Licenziamento e periodo di comporto: il caso oggetto di giudizio  

Il giudizio trae origine dal licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato nel 2022 a un lavoratore, dipendente di una società privata, a causa del protrarsi delle sue assenze per malattia.

Il lavoratore aveva impugnato il recesso, ritenendolo illegittimo, sostenendo che una parte delle assenze computate dalla società era stata dovuta a quarantena per COVID-19, quindi da escludere dal calcolo del comporto in forza della normativa emergenziale.

La Corte d’Appello aveva accolto il ricorso del lavoratore, qualificando quelle assenze come riconducibili a “quarantena con sorveglianza attiva”. In ragione di ciò, la Corte territoriale aveva ritenuto che non potessero essere computate nel comporto ai sensi dell’art. 26, comma 1, Decreto Cura Italia.

Di conseguenza, era stata disposta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, unitamente al riconoscimento del risarcimento del danno e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Motivi del ricorso in Cassazione  

La società datrice di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi principali:

  • in primo luogo, ha contestato l’erronea applicazione dell’art. 26, comma 1, del Decreto legge, ritenendo che il lavoratore non avesse fornito adeguata documentazione sanitaria idonea a dimostrare lo stato di quarantena o un formale provvedimento dell’autorità sanitaria;
  • in secondo luogo, ha denunciato un vizio motivazionale nella sentenza d’appello, per avere il giudice del merito fondato la decisione su presunzioni non sufficientemente motivate né ancorate a elementi oggettivi e riscontrabili.

Valutazioni della Corte di Cassazione  

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati entrambi i motivi prospettati.

Inquadramento normativo  

La Suprema Corte ha innanzitutto richiamato il contenuto dell’art. 26, comma 1, secondo cui le assenze dal lavoro dovute a misure di quarantena con sorveglianza attiva o permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva sono equiparate alla malattia, con espressa esclusione dal computo del periodo di comporto. La finalità della norma è quella di neutralizzare gli effetti sanzionatori in capo al lavoratore colpito da provvedimenti sanitari durante la pandemia.

Secondo i giudici di legittimità, l’efficacia della norma non è subordinata alla trasmissione di specifica documentazione al datore di lavoro, né è condizionata alla prova di un provvedimento formale dell’autorità sanitaria. L’equiparazione alla malattia opera ex lege, qualora sussistano i presupposti fattuali previsti dalla disposizione, che possono essere desunti anche in via indiziaria.

Presunzioni e accertamento probatorio  

La Corte di legittimità ha inoltre precisato che l’accertamento della natura dell’assenza, ai fini dell’esclusione dal computo del comporto, può avvenire mediante presunzioni semplici, purché queste siano caratterizzate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dall’art. 2729 c.c.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva considerato, tra gli elementi rilevanti, la sintomatologia manifestata dal lavoratore (febbre e tosse), la durata dell’assenza, il periodo storico di riferimento (emergenza pandemica in atto) e le prassi aziendali. La valutazione congiunta di tali circostanze era stata ritenuta idonea a fondare la presunzione della riconducibilità dell’assenza a una situazione di quarantena tutelata.

Di conseguenza, la decisione impugnata non risultava viziata né da errori giuridici né da un’insufficiente motivazione sul piano logico.

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