La religione non può legittimare il porto di armi idonee all'offesa

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La religione non può legittimare il porto di armi idonee all'offesa

Nessun credo religioso può legittimare il porto, in luogo pubblico, di armi o di oggetti atti ad offendere.

E’ quanto sostenuto dalla Corte di cassazione, sezione prima penale, nel confermare la sanzione dell’ammenda comminata dal Tribunale nei confronti di un uomo che era stato trovato dalla polizia locale, senza giustificato motivo, in possesso di un coltello portato alla cintura, della lunghezza di 18 cm circa ed idoneo, per le sue caratteristiche, all’offesa.

L’uomo, in particolare, aveva rifiutato di consegnare il coltello alle forze dell’ordine riferendo che il comportamento contestatogli si conformava ai precetti della sua religione, in quanto era un indiano “Sikh”.

Le usanze religiose – aveva sostenuto il giudice di primo grado – integravano la mera consuetudine della cultura di appartenenza e non potevano avere l’effetto abrogativo di una norma penale come quella contestata, dettata ai fini della pubblica sicurezza.

L’imputato aveva quindi presentato ricorso in sede di legittimità per chiedere l’annullamento della decisione, asserendo che il porto del coltello, il cosiddetto “Kirpan”, fosse giustificato dalla sua religione e trovasse tutela nell’articolo 19 della Costituzione, costituendo adempimento di un dovere religioso.

Nessun giustificato motivo

Ragioni, queste, non condivise dalla Suprema corte – sentenza n. 24084 del 15 maggio 2017 - secondo cui le ragioni in base alle quali il ricorrente portava il coltello non costituivano un “giustificato motivo” che potesse escludere il reato contestato, punito anche a titolo di colpa.

Difatti, il giustificato motivo di cui all’articolo 4, comma 2, della Legge n. 110/1975, ricorre quando le esigenze dell’agente siano corrispondenti a regole relazionali lecite, rapportate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento e alla normale funzione dell’oggetto.

Ad esempio – spiegano gli Ermellini – è giustificato il porto di un coltello da chi si stia recando in un giardino per potare alberi, o di un bisturi da parte del medico chirurgo nel corso delle visite. Lo stesso comportamento, però, posto in essere dagli stessi soggetti in contesti non lavorativi non è giustificato ed integra il reato.

Orbene, nel caso in esame, l’imputato, al momento del controllo, si trovava in strada e teneva il coltello nella cintola; questo, senza un giustificato motivo del trasporto in quanto – ha sottolineato la Corte – il simbolismo legato a tale condotta non poteva integrare, di per sé, la scriminante prevista dalla legge.

Convivenza, obbligo di conformare i propri valori

Per la Cassazione, la convivenza tra soggetti di etnia diversa, in una società multietnica, “richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere”.

Così, se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione costituzionale che valorizza il pluralismo sociale, “il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante”.

E’ da ritenere, quindi, “essenziale” l’obbligo per l’immigratodi conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi la liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina”.

Limiti a libertà religiosa per tutelare la sicurezza e l’ordine pubblico

Non è, in definitiva, tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante.

La libertà religiosa incontra, infatti, dei limiti, stabiliti dall’ordinamento per la tutela di altre esigenze, quali quella della pacifica convivenza e della sicurezza, ed ossia, dell’ordine pubblico.

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