Inidoneità sopravvenuta al lavoro con obbligo di adottare soluzioni ragionevoli

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Inidoneità sopravvenuta al lavoro con obbligo di adottare soluzioni ragionevoli

In caso di inidoneità sopravvenuta al lavoro, intesa come incapacità permanente e totale del lavoratore ad esercitare le proprie mansioni abituali, la cessazione del rapporto di lavoro non è automatica, essendo richiesto che l'azienda adotti soluzioni ragionevoli per consentire la prosecuzione del contratto con il dipendente diventato disabile.

La Corte di giustizia Ue ha quindi confermato, nella sentenza resa nella causa C-631/22 pubblicata in gazzetta il 18 gennaio 2024, un principio consolidatosi nella giurisprudenza europea e nazionale ormai da tempo, dando però un’innovativa interpretazione dell’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE che, appunto, sancisce il concetto di “soluzione ragionevole”.

Vediamo di che si tratta, non prima di fare un breve excursus sugli obblighi del datore di lavoro relativi alla necessità di assumere gli adattamenti organizzativi nei luoghi di lavoro in caso di inidoneità sopravvenuta del dipendente.

Inidoneità sopravvenuta nella normativa nazionale ed europea

Nel nostro ordinamento il più importante provvedimento volto all’inserimento e all’integrazione dei disabili nel mondo del lavoro ed alla conservazione del posto è rappresentato dalla legge n. 68/99; in particolare, all’articolo 10, si prevede una tutela rafforzata per il licenziamento del lavoratore affetto da inidoneità sopravvenuta alla mansione per aggravamento dell’handicap, dovendosi obbligatoriamente verificare da parte dell’azienda se lo stesso possa proseguire la propria attività lavorativa in altro modo.

Si tratta delle cosiddette soluzioni ragionevoli che il datore di lavoro deve adottare per rendere effettiva la parità di trattamento, principio cardine dell’intero impianto normativo, e che trovano il suggello europeo con l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE, recepita nel nostro ordinamento solo nel 2013.

Ma come intendere il concetto di “soluzione ragionevole”?

Quale la portata cogente dell’art. 5 della direttiva 2000/78/CE nei confronti di una normativa nazionale che preveda come causa automatica della cessazione del rapporto di lavoro la sopravvenuta disabilità del lavoratore senza che l’impresa debba adottare le soluzioni ragionevoli?

Queste le domande cui risponde la sentenza resa nella causa C-631/22, che andiamo ad analizzare.

Rapporto tra norma nazionale e direttiva europea

Le questioni pregiudiziali sottoposte al giudice europeo riguardano, in particolare, la compatibilità della legislazione spagnola con il citato articolo 5.

In sostanza si chiede se tale articolo osti o meno all’applicazione di una norma nazionale, quella spagnola appunto, che preveda la cessazione del rapporto di lavoro quale conseguenza automatica della sopravvenuta inidoneità permanente e totale del lavoratore a svolgere le proprie mansioni, senza avere adempiuto all’obbligo di adottare le soluzioni ragionevoli contemplate dalla normativa europea.

Nel caso di specie, la sopravvenuta inidoneità si riferisce ad un conducente di automezzi per la raccolta dei rifiuti divenuto inabile alla mansione per frattura aperta del calcagno destro.

Soluzione ragionevole come obbligo inderogabile: le conclusioni della Corte Ue

La Corte, richiamando precedenti orientamenti degli scorsi anni, ha ribadito che secondo l’art. 5 il datore di lavoro deve adottare i provvedimenti necessari e specifici per il singolo lavoratore divenuto disabile che possano consentire ad esempio una sua ricollocazione in diversa mansione fornendo anche, se necessario, la relativa formazione: tutto ciò, però, a patto che tali soluzioni non comportino un onere troppo gravoso (da qui il termine soluzioni ragionevoli) in termini organizzativi ed economici (cosa che, peraltro, l’azienda inadempiente dovrebbe provare in modo inequivocabile).

In linea di principio, quindi, la normativa nazionale spagnola si pone in contrasto non solo con l’articolo 5 (in quanto prevede che la risoluzione del rapporto opera in modo automatico) ma anche con gli articoli 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali Ue e gli articoli 2 e 27 della Convenzione Onu sui diritti dei disabili.

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