Immobili con uso diverso, non servono le autorizzazioni per l'accesso alle abitazioni

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Immobili con uso diverso, non servono le autorizzazioni per l'accesso alle abitazioni

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19811 del 2017, dirime la questione relativa all'accesso eseguito da funzionari dell'Amministrazione finanziaria presso un immobile, dove oltre ad esserci la sede di una società vi risiedono anche persone fisiche alle quali la società aveva concesso in comodato l'uso degli stessi locali.

Nel primo grado di giudizio, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l'appello di una contribuente, ritenendo illegittima l'attività di verifica, in quanto eseguita in carenza delle autorizzazioni prescritte dalla legge per tale ipotesi, e degli atti successivi.

Motivazioni dell'Agenzia delle Entrate

Contro la sentenza di primo grado l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione, perché la Ctr Lazio aveva ritenuto applicabile la disciplina di garanzia prevista dalle norme di specie, anche se di fatto l'accesso era stato eseguito presso la sede sociale e il soggetto che abitava parte dei locali non era il contribuente, ma un terzo, in forza di contratto di comodato concluso con la stessa società.

L'Agenzia ribadiva, poi, il fatto che la Ctr avesse ragionato come se si fosse trattato di un locale unico utilizzato promiscuamente, senza considerare, invece, che la conformazione del luoghi non consentiva tale conclusione.

Conclusioni della Cassazione

Con la sentenza n. 19811, la Corte di Cassazione precisa che nel caso di accesso in un immobile nel quale, oltre a esservi la sede della società, risiedono anche persone fisiche a cui la società abbia concesso in comodato l'uso dei locali, non sono richieste le autorizzazioni prescritte dalla legge per l'accesso nei locali adibiti ad abitazione.

La decisione presa dalla Ctr – secondo gli Ermellini – “si era fondata esclusivamente sul dato formale dell'esistenza del contratto di comodato, laddove, ai fini di verificare se fosse necessaria l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria, occorreva invece valutare se, al di là dal dato formale, i medesimi ambienti fossero realmente e contestualmente utilizzati per la vita familiare e l'attività professionale, con la precisazione che tale evenienza, secondo la giurisprudenza di questa suprema Corte, si deve ravvisare non solo nella ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e l'attività professionale, ma ogni qual volta l'agevole comunicazione interna consenta il trasferimento di materiale dal locale lavorativo a quello personale (Cass. n. 16570/2011).”

Precisamente, invece, la sede della società era ubicata in una porzione dell'immobile completamente separata da quella destinata alle abitazioni private, e i verificatori non avevano chiesto di accedere, né avevano rilevato prove presso locali adibiti ad abitazione e ufficio, né ad uso abitativo esclusivo.

Pertanto - secondo la Suprema Corte – non essendo sufficiente il dato formale dell'esistenza di un contratto di comodato - nel caso di specie, non sono richieste le autorizzazioni prescritte dalla legge per l'accesso nei locali adibiti ad abitazione.

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