Il rifiuto a rapporti intimi con il coniuge porta all’addebito
Autore: Eleonora Pergolari
Pubblicato il 07 novembre 2012
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Con la sentenza n. 19112 depositata il 6 novembre 2012, la Corte di cassazione ha reso definitiva la decisione con cui i giudici di merito, intervenendo in un procedimento per separazione giudiziale di due coniugi, avevano disposto l’addebito a carico della moglie in considerazione del suo persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge.
Detta condotta – secondo la Suprema Corte – provocando frustrazione e disagio nonché irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, “costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner”. Ne deriva la configurazione ed integrazione della violazione del dovere di assistenza morale sancito dall'articolo 143 del Codice civile, con riferimento a tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale.
Per i giudici di Cassazione, in definitiva, il persistente rifiuto della donna legittimerebbe pienamente l'addebitamento della separazione, rendendo “impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali” nonché l'esplicarsi della comunione di vita sottesa al matrimonio.
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