Fatture elettroniche e imposta di soggiorno: chiarimenti a Telefisco 2025

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Fatture elettroniche e imposta di soggiorno: chiarimenti a Telefisco 2025

Le fatture elettroniche emesse tra la fine di un anno e l'inizio del successivo producono conseguenze diverse per quanto riguarda l'Iva e le imposte dirette, in particolare per i contribuenti che adottano il regime di contabilità semplificata.

Precisazioni sul regime sanzionatorio della dichiarazione prevista ai fini dell’imposta di soggiorno.

Sono due dei temi affrontati durante Telefisco 2025, l’appuntamento in cui Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza offrono chiarimenti sui temi più caldi della materia tributaria.

Fatture a cavallo d’anno: imputazione dei ricavi in contabilità semplificata

La risposta delle Entrate nasce da un quesito in cui si ipotizza che vi sia una fattura datata 29 dicembre 2023 e poi trasmessa al Sistema di Interscambio (Sdi) l'8 gennaio 2024. Dato che l'emissione ricade tra due anni diversi, si chiedeva se, ai fini della corretta attribuzione del ricavo per il calcolo del reddito, il contribuente potesse scegliere di registrare la fattura sia nell'anno 2023 che nel 2024.

L’Agenzia delle Entrate, facendo riferimento alla normativa su imposte dirette e Iva, ha evidenziato che l’articolo 21 del decreto Iva (DPR n. 633/1972) stabilisce l’emissione della fattura elettronica entro 12 giorni dalla data in cui l’operazione è considerata effettuata, come definito dall’articolo 6 dello stesso DPR 633/72. Di conseguenza, nel passaggio da un anno all’altro, il contribuente potrebbe trovarsi nella situazione descritta nel quesito.

Regime di contabilità semplificata: registrazione delle fatture

Per i contribuenti che adottano il regime di contabilità semplificata per opzione e seguono il criterio del registrato, la gestione contabile è semplificata, permettendo di determinare costi e ricavi sulla base della registrazione delle fatture, senza l’obbligo di annotare separatamente incassi e pagamenti. La registrazione delle fatture, in conformità con la normativa Iva (articolo 23 del Dpr 633/1972), deve essere effettuata entro il 15° giorno del mese successivo a quello in cui si è realizzata l’operazione (o, nel caso di fatture differite, entro il 15° giorno del mese successivo a quello di emissione, ma con riferimento al mese in cui l’operazione è stata effettuata). 

Questi contribuenti possono tenere i registri Iva senza dover annotare specificamente gli incassi e i pagamenti e, per semplificazione, si assume che la data di registrazione delle fatture coincida con quella dell’effettivo incasso o pagamento. Tale meccanismo consente di evitare una doppia registrazione a fini contabili e fiscali, utilizzando unicamente i registri Iva per la determinazione del reddito. Di conseguenza, questi soggetti possono considerare i ricavi incassati e i costi sostenuti nel momento in cui la fattura viene registrata ai fini Iva.

Fattura emessa quando trasmessa al Sdi

Nel caso specifico analizzato nel quesito, dato che una fattura si considera emessa nel momento in cui viene trasmessa al Sistema di Interscambio (Sdi), una fattura con data 29 dicembre 2023, ma inviata l’8 gennaio 2024, si ritiene emessa in quest’ultima data. 

L’Agenzia delle Entrate chiarisce che tale fattura dovrà essere registrata nel registro Iva delle vendite a partire dall’8 gennaio 2024 e, poiché l’incasso si considera avvenuto al momento della registrazione, i relativi ricavi dovranno essere imputati al periodo d’imposta 2024

Tuttavia, ai fini della liquidazione periodica dell’Iva a debito, la registrazione del documento rileva per il periodo in cui l’operazione è stata effettuata. Di conseguenza, l’Iva relativa alla fattura con data 29 dicembre 2023 doveva essere versata:

  • in riferimento al mese di dicembre, con scadenza entro il 16 gennaio 2024 per i contribuenti con liquidazione mensile,
  • nel quarto trimestre 2023 per coloro che adottano la liquidazione trimestrale.

Imposta di soggiorno: dichiarazione

Durante Telefisco 2025 è stato posto un quesito al Ministero delle Finanze attinente il regime sanzionatorio relativo alla dichiarazione richiesta per l’imposta di soggiorno.

L’articolo 180 del Decreto Legge n. 34/2020 ha apportato modifiche significative alla normativa, attribuendo ai gestori delle strutture ricettive il ruolo di responsabili d’imposta. Di conseguenza, essi possono essere soggetti alla sanzione prevista dall’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 471/1997 in caso di mancato versamento del tributo, indipendentemente dal fatto che l’importo sia stato effettivamente incassato dal turista. 

Non solo: è stato introdotto l’obbligo per i gestori di presentare una dichiarazione annuale entro il 30 giugno, utilizzando i modelli predisposti a livello ministeriale.

Questa dichiarazione ha carattere cumulativo e include tutte le strutture situate all’interno dello stesso Comune. Si ricorda, inoltre, che termini e modalità di versamento dell’imposta di soggiorno sono disciplinati dai regolamenti comunali.

La normativa prevede che, in caso di omessa o errata dichiarazione, venga applicata una sanzione variabile tra il 100% e il 200% dell’imposta dovuta.

Pagamento dell’imposta ma dichiarazione omessa. Quale sanzione?

Il Ministero delle Finanze è stato interpellato in merito alla sanzione applicabile al gestore di una struttura ricettiva che, pur avendo versato regolarmente l’imposta di soggiorno, non ha presentato la relativa dichiarazione.

Il dubbio nasce dal fatto che non è chiaro su quale base calcolare la sanzione prevista dalla normativa. Per risolvere la questione, è stata avanzata la proposta di applicare la sanzione minima di 50 euro, prevista per altri tributi locali come l’IMU.

Tuttavia, le Finanze hanno precisato che tale sanzione minima non è espressamente prevista per l’imposta di soggiorno.

La soluzione indicata consiste nell’interpretare il concetto di "imposta dovuta" come il totale dell’imposta risultante dalla dichiarazione, anche se il versamento è stato effettuato nei termini. Di conseguenza, la sanzione deve essere proporzionata a questo importo.

Tuttavia, nel caso in cui il gestore dimostri un atteggiamento collaborativo, è stato sottolineato che, in applicazione del principio di proporzionalità, la sanzione può essere ridotta a un quarto, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 7, comma 4, del Decreto Legislativo n. 472/1997.

Detta soluzione, si rileva, è conforme a quanto sostenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 46/2023.

In questa pronuncia, la Corte Costituzionale ha ribadito che l’omissione della dichiarazione non può mai essere considerata una mera irregolarità formale, poiché, in un sistema basato sull’autoliquidazione dei tributi, la dichiarazione costituisce un adempimento fondamentale per permettere i controlli da parte dell’amministrazione fiscale. 

La sentenza evidenzia inoltre che, qualora il comportamento del contribuente non risulti particolarmente grave, l’ente impositore è tenuto a ridurre la sanzione applicata, in conformità con il principio di proporzionalità (articolo 7, comma 4, del Dlgs n. 472/1997).

Tuttavia, le Finanze ricordano che la riduzione a un quarto è applicabile esclusivamente alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024. Per quelle avvenute in precedenza, la riduzione massima consentita resta fissata alla metà.

Di conseguenza, la sanzione minima per l’omessa dichiarazione sarà pari al 50% dell’imposta risultante dalla dichiarazione, con la possibilità di ridurla ulteriormente a un quarto nel caso di adesione spontanea da parte del contribuente.

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