Rifugiato pericoloso non può essere espulso se a rischio persecuzione
Pubblicato il 15 maggio 2019
In questo articolo:
- Revoca o rifiuto dello status in caso di fondato timore di persecuzioni
- Interpretazione Direttiva sui rifugiati
- La persona non è privata dello status di rifugiato né dei diritti fondamentali
- Decisione della Corte di giustizia Ue
- Persona pericolosa o condannata? Revoca riconoscimento ma niente respingimento
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La Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito i termini delle disposizioni della direttiva 2011/95/UE sui rifugiati, in tema di revoca e rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato per motivi collegati alla protezione della sicurezza o della comunità dello Stato membro ospitante.
Revoca o rifiuto dello status in caso di fondato timore di persecuzioni
I giudici europei, in particolare, hanno confermato la validità delle previsioni contenute nell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della citata direttiva, accogliendo, rispetto alle stesse, un’interpretazione che garantisce il riconoscimento del livello di protezione minimo previsto dalla Convenzione di Ginevra, come imposto dall’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dall’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Ai sensi di questa lettura, la revoca e il rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato non hanno l’effetto di privare una persona, che abbia un fondato timore di essere perseguitata nel suo paese di origine, né dello status di rifugiato né dei diritti che la Convenzione di Ginevra ricollega a tale status.
Interpretazione Direttiva sui rifugiati
E’ quanto si legge nel testo della sentenza della Corte Ue, depositata, il 14 maggio 2019, con riferimento alle cause riunite C-391/16, C-77/17 e C-78/17.
La decisione è stata resa rispetto a tre domande di pronuncia pregiudiziale proposte, la prima, dalla Corte suprema amministrativa della Repubblica ceca e, le altre due, dal Consiglio per il contenzioso degli stranieri del Belgio.
La persona non è privata dello status di rifugiato né dei diritti fondamentali
Le questioni, nel dettaglio, vertevano sull’interpretazione nonché sulla validità dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95/UE, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.
Sostanzialmente, con esse è stato chiesto di accertare se il detto articolo 14, paragrafi 4 e 5, produca l’effetto di privare il cittadino di un paese terzo o l’apolide interessato, in presenza delle condizioni materiali previste dall’articolo 2, lettera d), di detta direttiva - ovvero se la persona costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato, un pericolo per la comunità dello Stato, ovvero se fosse stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità - della qualità di rifugiato, violando, di conseguenza, l’articolo 1 della Convenzione di Ginevra.
Decisione della Corte di giustizia Ue
Orbene, secondo la Corte di giustizia non sussisterebbero elementi tali da incidere sulla validità delle menzionate disposizioni alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Così, mentre, in applicazione della Convenzione di Ginevra, le persone che rientrino in una delle ipotesi descritte possono essere colpite, in forza dell’articolo 33, paragrafo 2, di detta convenzione, da una misura di respingimento o di espulsione verso il loro paese di origine (e questo anche quando la loro vita o la loro libertà siano ivi minacciate), dette stesse persone non possono viceversa costituire oggetto di un respingimento qualora quest’ultima misura faccia loro correre il rischio che siano violati i diritti fondamentali.
Certamente – si legge nella sentenza - queste persone possono essere destinatarie, nello Stato membro interessato, di una decisione di revoca dello status di rifugiato o di rifiuto di concessione di tale status; tuttavia, l’adozione di queste decisioni “non può incidere sulla loro qualità di rifugiato”.
Persona pericolosa o condannata? Revoca riconoscimento ma niente respingimento
In definitiva, la revoca dello status di rifugiato o il diniego del riconoscimento disposti da parte di uno Stato membro non hanno l’effetto di far perdere lo status di rifugiato a una persona che abbia un timore fondato di essere perseguitata nel suo paese d’origine.
Detta persona, se anche, a seguito della revoca o del diniego, non possa godere del complesso dei diritti e dei benefici che la direttiva riserva ai titolari dello status di rifugiato, gode o continua a godere dei diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra ai quali la direttiva fa espresso riferimento.
E il godimento di detti diritti, in particolare, “esige non una residenza regolare, bensì la semplice presenza fisica del rifugiato nel territorio dello Stato ospitante”.
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