Cndcec su tributaristi e apertura verso il visto di conformità. Protesta dei sindacati
Pubblicato il 07 febbraio 2024
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Si ricorda che con la pronuncia del 31 gennaio 2024, il Consiglio di Stato ha definito incostituzionali le norme che limitano l’apposizione del visto di conformità alla categoria dei tributaristi, rinviando il giudizio alla Corte Costituzionale.
Con l’ordinanza n. 995/2024, infatti, è stata ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’Associazione nazionale tributaristi Lapet nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che aveva negato ad una iscritta a tale associazione l’abilitazione al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni.
Il Consiglio di Stato, considerata l’evoluzione del quadro giuridico ad opera soprattutto della Legge n. 4/2013, che “introduce elementi di assimilazione” tra professioni ordinistiche e associazioni professionali, ritiene che non vi sarebbe più alcuna ragione per prevedere una riserva di attività a favore delle prime in questo specifico ambito.
Per un approfondimento della pronuncia si rinvia al post: “Visto di conformità ai tributaristi: parola alla Consulta”.
Commercialisti sulla decisione del Consiglio di Stato: al momento nessun visto
A pochi giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza che, a prima vista, poteva sembrare rivoluzionaria per i tributaristi è sceso in campo Elbano de Nuccio, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili.
L’intervento del Presidente Cndcec è servito per precisare quanto segue: “il Consiglio di Stato non ha accolto il ricorso dell’Associazione nazionale tributaristi – Lapet sul visto di conformità, ma si è limitata a sospendere il giudizio in corso ed ha ordinato la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Un punto questo sul quale è importante essere chiari e precisi per evitare che sulla questione si generi inutilmente confusione”.
Si tratta, dunque, di una “sospensione” del giudizio, in quanto – come ribadito dal CdS - la pretesa avanzata dai tributaristi può trovare riconoscimento solo attraverso una declaratoria di incostituzionalità della norma primaria contenente il precetto normativo che preclude ai ricorrenti il rilascio del visto di conformità e cioè l’art. 35, comma 3, del D.lgs. 241/1997 nella parte in cui abilita al rilascio del visto di conformità:
- i soli professionisti indicati nelle lett. a) e b) del comma 3 dell’art. 3, del D.P.R. del 22 luglio 1998, n. 322 (gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro)
- e non anche gli altri soggetti indicati dallo stesso comma 3 e, in particolare, in quelli di cui alla lett. e) tra cui rientrano i tributaristi.
Pertanto, conclude il Cndcec, “allo stato attuale, quindi, i tributaristi non possono appore alcun visto di conformità, e, in ogni caso, il Consiglio nazionale dei commercialisti difenderà strenuamente il ruolo dei propri iscritti e quindi la funzione e le prerogative delle professioni ordinistiche, che non possono essere confuse e in alcun modo equiparate a quelle di associazioni a carattere professionale”.
I sindacati dei commercialisti contro il CdS
L’orientamento espresso dal CdS secondo cui riservare il diritto di apporre i visti di conformità alle sole professioni ordinistiche creerebbe una ingiustificata discriminazione nei confronti dei tributaristi, non ha tardato a far sollevare obiezioni anche da parte dei sindacati dei commercialisti.
Le associazioni nazionali di categoria (ovvero le sigle Adc, Aidc, Anc, Andoc, Fiddoc, Unagraco, Sic, Ungdcec e Unico che il 6 febbraio hanno diffuso una nota per commentare l'ordinanza) non possono condividere un simile orientamento e ritengono non sia giustificabile una previsione normativa che regolamenta un adempimento così delicato quale l’apposizione del visto di conformità, adempimento riservato ai soli soggetti professionali, tra i quali i commercialisti e gli esperti contabili, i cui requisiti costituiscono garanzia per la collettività.
Garanzia, che è assicurata: dal superamento dell’esame di abilitazione, dall’assolvimento degli obblighi di formazione continua, dall’assoggettamento al codice deontologico, dal rispetto della normativa antiriciclaggio e dei connessi obblighi di segnalazione delle operazioni sospette, dalla vigilanza che l’ordine esercita sui propri iscritti e da quella che, a sua volta, il Ministero della Giustizia esercita sugli ordini territoriali oltre che sul Consiglio Nazionale.
Pertanto, secondo i sindacati, “è discutibile che, in un contesto che impone crescenti e spesso ingiustificati obblighi di specializzazione alla professione del commercialista, ci siano pronunce che sviliscono la funzione di garanzia della fede pubblica, che è propria delle professioni ordinistiche”.
Le associazioni auspicano, pertanto, che sia riservata una maggiore attenzione all’argomento e che la Corte Costituzionale possa valutare di pronunciarsi sull’importanza della fede pubblica e del ruolo di tutela della stessa che appartiene ai professionisti ordinistici.
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