Violazione segreto al giudice ordinario
Pubblicato il 03 maggio 2016
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E’ competente il giudice ordinario per la violazione del segreto professionale da parte dei verificatori fiscali, se non viene successivamente emesso un atto impositivo.
E’ quanto in sintesi affermato dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, interpellata relativamente ad una vicenda di accertamento fiscale eseguito presso uno studio legale e tributario associato.
Nella presente verifica, in particolare, venivano esaminati, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, anche documenti rispetto ai quali era stato opposto il segreto professionale, in quanto relativi alla corrispondenza con i clienti. Ma detta autorizzazione veniva impugnata dinanzi al giudice amministrativo, che tuttavia declinava la propria giurisdizione.
Senza atto impositivo Impugnazione al giudice ordinario
Secondo le Sezioni unite - chiamate a pronunciarsi per la seconda volta nella presente vicenda - la giurisdizione del giudice tributario ha carattere pieno ed esclusivo e si estende non solo all'impugnazione del provvedimento impositivo, ma anche alla legittimità di tutti gli atti del relativo procedimento, ivi compresa l’autorizzazione di cui si discute. E ciò poiché, sostanzialmente, l’eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità di un atto istruttorio prodromico, può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, dell’atto finale impugnato, con la conseguenza che gli eventuali vizi di atti istruttori prodromici, possono essere fatti valere dinnanzi al giudice tributario soltanto in caso di impugnazione del provvedimento che conclude l’iter di accertamento.
Qualora invece – conferma ancora la Cassazione – l’attività di accertamento non sfoci in un atto impositivo, l’autorizzazione in questione è autonomamente impugnabile dinnanzi al giudice ordinario.
Lesione diritto soggettivo
L’eventuale illegittimità del provvedimento autorizzativo del Procuratore della Repubblica infatti, integra la lesione di un diritto soggettivo del contribuente nei cui confronti sia eseguita la verifica, perché solo quel provvedimento rende legittimo l’esercizio dell’attività accertatrice e fa sorgere, a carico del contribuente – professionista, l’obbligo di soggiacere a detta azione anche in riferimento ai documenti segretati, nonché di fare quanto eventualmente le norme gli impongono per consentire agli inquirenti di svolgere appieno la propria attività.
Pertanto – conclude la Corte con sentenza n. 8587 del 2 maggio 2016 – l’ipotizzabile esito negativo per l’Ufficio dell’attività di accertamento compiuta in forza del provvedimento ritenuto illegittimo, porta inevitabilmente la valutazione di quel fatto nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario, siccome in ipotesi incidente sul diritto soggettivo del contribuente a non subire verifiche fiscali al di fuori dei casi previsti dalle leggi che attribuiscono e circoscrivono l’esercizio del potere di accertamento degli Uffici finanziari.
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