Assoluzione penale, prova critica nel processo fiscale

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Assoluzione penale, prova critica nel processo fiscale

La decisione penale, pur non avendo, nel giudizio tributario, efficacia vincolante ex articolo 654 del Codice di procedura penale, può comunque costituire un elemento di prova critica, sulla base dei fatti accertati nel relativo giudizio.

E’ questo il principio ribadito dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 21966 depositata il 28 ottobre 2015 e sulla cui base è stato respinto il ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione di accoglimento dell’impugnazione di una società contribuente avverso un avviso di accertamento.

Fatture soggettivamente inesistenti e Iva detratta

Quest’ultimo atto era stato emesso per il recupero a tassazione dell’Iva ritenuta indebitamente detratta dalla contribuente per operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere con due Srl ritenute società “cartiere”, interposte rispetto alla società francese, effettivo fornitore delle merci.

I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano aderito alle ragioni della società contribuente, la quale, oltre a lamentare, tra le altre doglianze, la violazione delle regole sulla ripartizione dell’onere probatorio, aveva affermato l’effettività delle operazioni contestate.

Fisco tenuto a dimostrare il dolo o la neligenza del cessionario

La Ctp, in primo luogo, aveva accolto il ricorso della Srl escludendo che gli elementi probatori forniti dall’amministrazione finanziaria consentissero di ritenere provata la connivenza della contribuente con le altre società ritenute responsabili della truffa sull’Iva, conformamente all’esito del procedimento penale parallelamente apertosi a carico dell’amministratore della società medesima.

La Ctr, inoltre, aveva respinto l’appello principale dell’Ufficio finanziario contro quest'ultima decisione rilevando la mancata dimostrazione sia della presenza del dolo, sia del fatto che la società cessionaria avrebbe potuto sapere, utilizzando l’ordinaria diligenza, l’esistenza di un giro fraudolento a monte dei suoi acquisti, e ciò in un contesto in cui esisteva, in atti, sentenza penale di assoluzione dell’amministratore della società contribuente perché i fatti non sussistono”.

Tutti i rilievi sollevati in sede di legittimità dal Fisco sono stati ritenuti inammissibili dalla Suprema corte la quale, a fronte delle specifiche doglianze, ha sottolineato come i giudici regionali, pur escludendo espressamente il valore di giudicato penale della sentenza di assoluzione di riferimento, avevano correttamente precisato che la stessa sentenza poteva essere debitamente tenuta in considerazione quale elemento probante sull’accertamento dei fatti, in un contesto come quello di specie di assenza di prova, all’interno dello stesso processo tributario, dei pretesi profili di dolo o negligenza della società contribuente.

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