Accordi collettivi aziendali per gestire il blocco dei licenziamenti
Pubblicato il 18 marzo 2021
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Con i commi da 309 e ss., art. 1, della Legge di Bilancio 2021, il legislatore ha inteso prorogare il blocco dei licenziamenti, per salvaguardare gli effetti economici negativi derivanti dall'emergenza epidemiologica da Covid-19, precludendo l'avvio delle procedure di cui agli artt. 4, 5 e 24, Legge 23 luglio 1991, n. 223, ed i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3, Legge 15 luglio 1966, n. 604, sino al 31 marzo 2021. Altresì, sino alla medesima data sono sospese le procedure di licenziamento collettivo avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi espressamente previste dalla medesima disposizione normativa.
Il provvedimento, in continuità con le precedenti disposizioni emanate dal governo, consente, ai datori di lavoro, di sottoscrivere accordi in sede di contrattazione aziendale volti alla risoluzione dei rapporti di lavoro per i dipendenti che ne facciano richiesta e che, eccezionalmente alla generale disciplina vigente, potranno accedere, per espressa previsione del comma 311, al trattamento di disoccupazione spettante.
I licenziamenti interessati dal blocco
Come noto, il blocco dei licenziamenti operato sin dal Decreto Cura Italia interessa i soli licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ovvero quelli comminati per ragioni inerenti l'attività produttiva ed organizzativa del datore di lavoro. Rientrano nella predetta ipotesi i licenziamenti sorretti da motivazioni meramente contabili utili a riallineare i costi dell'impresa alla corrispondente riduzione di attività ovvero di opportunità, intesi quelli sostenuti dalla necessità di diverse qualità professionali, dal maggior profitto dell'impresa o da riorganizzazione dei processi aziendali ed operativi.
Per quanto concerne le imprese con più di quindici dipendenti sono sospese le procedure previste dall'art. 7, Legge 15 luglio 1966, n. 604.
Il blocco previsto dalla Legge 30 dicembre 2020, n. 178, in continuità con le precedenti disposizioni normative, si applica, altresì, alle procedure di licenziamento collettivo ivi intese quelle di informazione, consultazione ed esame congiunto.
Le procedure di licenziamento di cui agli artt. 4, 5 e 24, Legge 23 luglio 1991, n. 223, già avviate restano, invece, sospese qualora iniziate antecedentemente al 23 febbraio 2020.
Si rammenta che sono, dunque, esclusi dalla fattispecie:
- i licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo;
- i licenziamenti per superamento del periodo di comporto ex art. 2110, Cod. Civile;
- i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età;
- i licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova (art. 2096, Cod. Civile);
- i recessi al termine del periodo formativo nei rapporti di apprendistato professionalizzante;
- i licenziamenti del personale domestico.
Ai sensi del comma 309, sono esclusi dalla preclusione citata i lavoratori interessati da recesso e riassunti a seguito di subentro di un nuovo appaltatore in forza di disposizioni legislative, di contratto collettivo nazionale o di clausola del contratto di appalto.
Il successivo comma 311, fa salvi, infine, i licenziamenti motivati da cessazione definitiva dell'attività d'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri un trasferimento d'azienda o di un ramo d'azienda ai sensi dell'art. 2112, Cod. Civile, o nelle ipotesi in cui venga stipulato un accordo collettivo aziendale, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro e limitatamente ai lavoratori che vi aderiscono, i licenziamenti intimati in caso di fallimento - quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa.
Ancorché la disciplina preveda - tra le ulteriori ipotesi - il blocco dei licenziamenti per i recessi sorretti da giustificato motivo oggettivo ex art. 3, Legge 15 luglio 1966, n. 604, notoriamente non applicabili al recesso della categoria dirigenziale, si segnala che, nella recente ordinanza 26 febbraio 2021, il Tribunale di Roma ha disposto la reintegrazione di un dirigente licenziato per motivi organizzativi.
Secondo la decisione del giudice di prime cure, gli effetti dell'art. 46, Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77, sono applicabili anche a detta categoria di lavoratori sul presupposto che la limitazione al recesso datoriale per motivi economici trova rispondenza nell'esigenza di ordine pubblico e che, diversamente, la sussistenza delle difficoltà economiche accusate e generalizzate nel contesto della crisi da Covid-19 potevano facilmente legittimare i recesso per i motivi addotti.
Tra le limitazioni, si noti che rientra nel predetto divieto di licenziamento anche il recesso operato per sopravvenuta inidoneità psicofisica alla mansione come indicato dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro nella nota 24 giugno 2020, n. 298.
L'accordo collettivo aziendale
Nei termini sopradetti, in deroga al divieto di licenziamento, i datori di lavoro possono sottoscrivere accordi collettivi aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. I lavoratori che aderiscono potranno accedere, in deroga alle disposizioni generali, al trattamento di disoccupazione previsto dall'art. 1, Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22.
Dal tenore letterale della disposizione, il datore di lavoro può raggiungere l'accordo esclusivamente con le rappresentanze dotate della maggiore rappresentatività comparata nello specifico settore e non già con le rappresentanze sindacali unitarie o aziendali che, diversamente, potranno sottoscrivere esclusivamente per presa partecipazione. Inoltre, diversamente da quanto appurato in altre disposizioni legislative, come nel caso dell'art. 8, comma 1, Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, il legislatore utilizza impropriamente la locuzione dalle in luogo di da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Come noto, la predetta differenza appare fondamentale nel momento in cui per la validità dell'accordo la sottoscrizione è subordinata ad una pluralità di organizzazioni sindacali e non già da una sola delle predette organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
In soccorso alla svista del legislatore, con il Messaggio INPS 17 febbraio 2021, l'Istituto previdenziale ha chiarito che ai fini della stipula dell'accordo collettivo aziendale previsto per la risoluzione dei rapporti di lavoro, in deroga al divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente che l'accordo venga sottoscritto anche da una sola delle predette organizzazioni sindacali.
Naturalmente, in ossequio al dettato normativo, la stipula dell'accordo con incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro consta di una successiva fase di accettazione e, in particolare, dell'adesione del lavoratore all'accordo.
Sotto il profilo meramente applicativo, non prevedendo elementi minimi espressamente prescritti, l'accordo dovrà - così come in altre procedure di esubero o incentivazione all'esodo - contenere, perlomeno, le indicazioni circa i termini temporali di adesione e la somma proposta a titolo di incentivo economico alla risoluzione, eventualmente parametrata all'anzianità di servizio o alla qualifica del prestatore di lavoro.
In tal senso, il lavoratore aderente alla risoluzione del rapporto di lavoro potrà beneficiare, oltreché del trattamento fiscale agevolato proprio del regime di tassazione separata e della mancata applicazione della contribuzione previdenziale sulle somme riconosciute a titolo di incentivo all'esodo, del riconoscimento dell'indennità di disoccupazione NASpI.
Come da prassi, il diritto del lavoratore alla predetta prestazione previdenziale fa sorgere in capo al datore di lavoro, in applicazione dell'art. 2, comma 31, Legge 28 giugno 2012, n. 92, l'onere del versamento del ticket di licenziamento.
Altresì, ancorché la volontà del lavoratore di recedere dal rapporto di lavoro in essere non è subordinata all'espressione della stessa in una delle c.d. sedi protette, appare consigliabile, per il datore di lavoro, richiedere che l'adesione all'accordo avvenga in una delle citate sedi, nelle forme previste dagli artt. 410 e 411, Cod. Proc. Civile, potendo, dunque, definire in modo completo ed esaustivo ogni possibile ragione di liti, presente o futura, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2113, comma 4, Codice Civile.
Si rammenta che, nel caso in cui la risoluzione del rapporto di lavoro intervenga in una delle sedi protette, il lavoratore non dovrà nemmeno confermare - attraverso la procedura telematica ministeriale - la volontà espressa in quella sede.
Flusso Uniemens e indicazione della risoluzione
Con il Messaggio INPS 5 febbraio 2021, n. 528, l'Istituto previdenziale ha comunicato che le interruzioni intervenute a seguito di risoluzione consensuale sin dall'emanazione del Decreto Agosto dovranno essere comunicate all'interno del flusso Uniemens con il nuovo codice Tipo cessazione "2A" avente il significato di "interruzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro".
In ragione del ritardo nell'indicazione delle anzidette indicazioni di prassi amministrativa, i datori di lavoro che abbiano utilizzato un codice diverso dovranno procedere alla variazione del dato fornito.
Qualora la cessazione sia intervenuta antecedentemente alla pubblicazione del predetto Messaggio, il contributo per l'accesso all'indennità di disoccupazione dovrà essere versato, senza applicazione di ulteriori oneri, entro la denuncia del mese di marzo 2021.
QUADRO NORMATIVO Legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Legge di Bilancio 2021) |
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