Stipendio in banca o posta
Pubblicato il 06 febbraio 2017
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E’ all’esame della Commissione lavoro della Camera in sede referente un disegno di legge sulle modalità di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori.
Al fine di evitare che i datori di lavoro, minacciando il licenziamento o la non assunzione, corrispondano ai lavoratori una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva, pur facendo loro firmare una busta paga dalla quale risulti una retribuzione regolare, la proposta di legge prevede che la retribuzione venga pagata attraverso un istituto bancario o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:
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accredito diretto sul conto corrente del lavoratore;
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pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale;
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emissione di un assegno da parte dell'istituto bancario o dell'ufficio postale consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, ad un suo delegato.
Diventerebbe, quindi, vietato corrispondere la retribuzione per mezzo di assegni o di somme contanti di denaro, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato.
Inoltre verrebbe stabilito, una volta per tutte, che la firma della busta paga apposta dal lavoratore non costituisce prova dell'avvenuto pagamento della retribuzione.
I datori di lavoro dovrebbero inserire nella comunicazione obbligatoria, fatta al Centro per l'Impiego competente per territorio, gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale che provvederebbe al pagamento della retribuzione, ovvero una dichiarazione di tale istituto o ufficio che attesti l'attivazione del canale di pagamento a favore del lavoratore.
Qualora il datore di lavoro non pagasse il lavoratore attraverso un istituto bancario o un ufficio postale sarebbe passibile di una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 5.000 euro a 50.000 euro.
Inoltre, al datore di lavoro che non comunicasse al Centro per l'Impiego gli estremi dell'istituto bancario o dell'ufficio postale sarebbe applicabile una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 500 euro.
Sarebbero esclusi dall’applicazione delle nuove norme i datori di lavoro domestico e quelli che non sono titolari di partita IVA.
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