Si alla modifica della pena in appello, se cambia il dato normativo
Autore: Eleonora Mattioli
Pubblicato il 15 aprile 2015
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I giudici dell’appello non devono necessariamente essere vincolati alla valutazione, in ordine alla quantificazione della pena, operata da quelli di primo grado, quando il dato normativo che si trovano di fronte è differente.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 15247 depositata il 14 aprile 2015, rigettando il ricorso presentato da due imputati, condannati per i reati di detenzione e spaccio di hashish.
Lamentavano i ricorrenti, tra le altre censure, come i giudici del gravame avessero modificato la pena loro inflitta in primo grado – senza tra l’altro darne adeguato conto in motivazione – in violazione del principio di reformatio in peius, in assenza di appello della parte pubblica.
Riferivano infatti i ricorrenti che, mentre il giudice di prime cure aveva irrogato una pena molto vicina ai minimi edittali previsti (secondo l’art. 73 Dpr 309/90 prima della pronuncia della Corte Costituzionale n. 32/2014) indifferentemente per le droghe pesanti e leggere, la Corte territoriale – chiamata a confrontarsi con la nuova reviviscente forbice edittale della Legge Iervolino-Vassalli per le sole droghe leggere – aveva invece irrogato una pena finale vicino al massimo.
Sul punto la Cassazione, respingendo le argomentazioni di parte ricorrente, ha stabilito come i giudici del gravame abbiano, nel caso di specie, correttamente ritenuto di dover rimodulare d’ufficio la sanzione precedentemente irrogata, in base alla nuova disciplina che viene fuori dalla citata pronuncia di incostituzionalità (n. 32/2014), pur senza specifica richiesta neppure dagli imputati.
Infatti – ha proseguito la Corte - i giudici di secondo grado hanno in tal caso una piena cognitio in ordine alla quantificazione della pena (in vista della modifica del dato normativo), pur tuttavia nel rispetto di doppio limite: obbligo di applicare la normativa per le droghe c.d. leggere (che rivive dopo la menzionata pronuncia di incostituzionalità) e divieto di reformatio in peius in assenza di impugnazione della parte pubblica, da intendersi nel senso di non poter irrogare una pena complessivamente superiore nel quantum finale rispetto a quella inflitta in primo grado.
- Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, p. 44 -Droga, giudice «libero» in appello - Negri
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