Reddito di cittadinanza: stranieri discriminati, sanzioni penali illegittime

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Reddito di cittadinanza: stranieri discriminati, sanzioni penali illegittime

Il requisito della residenza di dieci anni, compresi gli ultimi due continuativi, per l'accesso al Reddito di cittadinanza (Rdc) costituisce una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini stranieri.

Inoltre, la previsione di sanzioni penali per false dichiarazioni relative al requisito di residenza, è incompatibile con il diritto dell'Unione europea.

E' quanto ha stabilito la Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) nel pronunciarsi - con sentenza depositata il 29 luglio 2024, cause riunite C-112/22 e C-223/22 - sulla normativa italiana in materia di reddito di cittadinanza, per come contenuta nel Decreto legge n. 4/2019.

La CGUE sul Reddito di cittadinanza: discriminazione indiretta dei cittadini stranieri

Il caso esaminato dalla Corte Ue

La Corte Ue si è espressa sulle domande di pronuncia pregiudiziale sollevate dal Tribunale di Napoli.

Le domande vertevano sull'interpretazione di vari articoli del diritto dell'Unione, in particolare l'articolo 11, paragrafo 1, lettera d) della direttiva 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

Tale articolo stabilisce che il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale.

Le dette domande erano state presentate nell’ambito di procedimenti penali promossi a carico di due cittadine di paesi terzi, soggiornanti di lungo periodo in Italia, per false dichiarazioni relative ai requisiti di accesso al reddito di cittadinanza.

Le domande di pronuncia pregiudiziale

I dubbi del Tribunale di Napoli riguardano la conformità del requisito di residenza di dieci anni, con gli ultimi due in modo continuativo, per l'accesso al Rdc, con il diritto dell'Unione.

Secondo il giudice nazionale, la normativa nazionale italiana determinerebbe un trattamento sfavorevole nei confronti dei cittadini di paesi terzi, ivi compresi coloro i quali sono titolari di permessi di soggiorno di lungo periodo, rispetto al trattamento riservato ai cittadini nazionali.

Il giudice del rinvio, in sostanza, chiedeva se l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109, letto alla luce dell’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dovesse essere interpretato nel senso che esso ostasse alla normativa di uno Stato membro come quella in esame.

La decisione della Corte di giustizia Ue

Reddito di cittadinanza come prestazione sociale

In primo luogo, rispetto alla definizione di reddito di cittadinanza, i giudici europei hanno fatto riferimento a quanto indicato dal Tribunale di Napoli, secondo cui il Rdc costituisce una prestazione di assistenza sociale volta a garantire un livello minimo di sussistenza, rientrando, quindi, nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109.

Questo, nonostante il Governo italiano avesse contestato l'interpretazione del diritto nazionale adottata dal giudice del rinvio.

La Corte Ue, sul punto, ha precisato come, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali, se debba prendere in considerazione il contesto materiale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali così come definito dalla decisione di rinvio.

Poiché, infatti, sia l’articolo 34 della Carta che l’articolo 11 richiamato, rinviano al diritto nazionale, spetta al giudice del rinvio verificare se il “reddito di cittadinanza” di cui al procedimento principale costituisca una prestazione sociale rientrante tra quelli disciplinati da tale direttiva.

Indipendentemente, pertanto, dalle critiche espresse dal Governo italiano, l’esame delle questioni pregiudiziali doveva essere effettuato sulla base di tale interpretazione, non spettando alla Corte Ue verificarne l’esattezza.

Requisito della residenza di dieci anni: discriminazione indiretta

Tornando alla questione principale, la Corte Ue ha ritenuto contrario all'articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003 /109 il requisito della residenza di dieci anni, compresi gli ultimi due anni continuativi.

Secondo i giudici europei, il differente trattamento tra cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e cittadini nazionali, costituisce una discriminazione indiretta.

Questa condizione colpisce soprattutto gli stranieri, compresi i cittadini di paesi terzi, ma anche gli interessi dei cittadini italiani che ritornano in Italia dopo un periodo di residenza in un altro Stato membro.

Si tratta di una discriminazione che non è nemmeno giustificata e viola il principio di parità di trattamento sancito dalla direttiva 2003/109/CE.

Sanzioni penali: incompatibili con norme Ue

Per finire, la CGUE ha ritenuto incompatibile con il diritto dell'Unione anche la disposizione nazionale che prevede sanzioni penali per false dichiarazioni relative al requisito della residenza.

Va escluso - si legge nella decisione della Corte - che un sistema sanzionatorio nazionale possa dirsi compatibile con le disposizioni della direttiva 2003/109/CE quando è imposto per assicurare il rispetto di un obbligo che, a sua volta, non è conforme a tali disposizioni.

L'interpretazione resa dalla Corte Ue

In conclusione, per la Corte di giustizia Ue l’articolo 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE, letto alla luce dell’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che:

"esso osta alla normativa di uno Stato membro che subordina l’accesso dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in detto Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, e che punisce con sanzione penale qualsiasi falsa dichiarazione relativa a tale requisito di residenza".

Effetti della sentenza

La sentenza ha un impatto diretto sulle due cittadine straniere imputate, e potenzialmente su altri cittadini in controversia con l'INPS riguardo al Rdc.

La parola passa ora alla Corte Costituzionale italiana, davanti alla quale è pendente una questione di legittimità costituzionale relativa al requisito dei 10 anni di residenza, questione più volte rinviata proprio in attesa della pronuncia della Corte Ue.

Se la Consulta dovesse confermare l'incostituzionalità del requisito dei dieci anni di residenza, ci sarebbero significativi oneri finanziari per lo Stato italiano.

L'INPS, in proposito, ha valutato che l'eliminazione del requisito dei dieci anni di residenza comporterebbe un aumento significativo dei costi da sostenere, stimati in circa 850 milioni di euro per il periodo 2019-2023.

Tabella di sintesi della decisione

Sintesi del Caso Due cittadine straniere, soggiornanti di lungo periodo in Italia, sono state accusate di false dichiarazioni per ottenere il Reddito di cittadinanza (Rdc), requisito che includeva la residenza in Italia per almeno dieci anni.
Questione Dibattuta La conformità del requisito di residenza di dieci anni, con gli ultimi due continuativi, per l'accesso al Rdc, e la previsione di sanzioni penali per false dichiarazioni relative a tale requisito, con il diritto dell'Unione.
Soluzione della CGUE La Corte di Giustizia UE ha dichiarato che il requisito di residenza di dieci anni costituisce una discriminazione indiretta e che la previsione di sanzioni penali per false dichiarazioni è incompatibile con il diritto dell'UE.
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