No al riscatto della laurea in compensazione delle eccedenze versate a Cassa Forense
Pubblicato il 18 dicembre 2017
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Un avvocato aveva avanzato domanda giudiziale volta ad ottenere l’affermazione del diritto al riscatto degli anni di laurea attraverso la compensazione del relativo debito con la maggiore somma incamerata da Cassa Forense a seguito del ricongiungimento della contribuzione versata presso l’INPS, in virtù di precedente rapporto lavorativo.
Il legale, ossia, in sede di ricongiungimento dei contributi INPS - Cassa Forense, aveva chiesto la compensazione del credito che asseriva derivato dall’eccedenza contributiva versata alla Cassa di previdenza privata con il debito conseguente alla domanda di riscatto degli anni di laurea.
In subordine, lo stesso aveva chiesto di essere indennizzato in considerazione dell’asserito arricchimento senza causa derivato alla Cassa di previdenza privata.
Non sussiste alcun credito da compensare in capo all’avvocato
I giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, avevano rigettato le dette pretese motivando la propria decisione in ragione della rilevata insussistenza di una situazione creditoria in capo all’avvocato che potesse costituire presupposto per la richiesta di compensazione.
Ciò, alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, uniformi nel ritenere che la contribuzione versata fosse dovuta, con affermazione, altresì, del divieto di restituzione delle eventuali eccedenze contributive.
Cassazione: niente restituzione, né compensazione, per contributi legittimamente versati
La Corte di cassazione successivamente investita della controversia ha confermato che, nella specie, non sussistevano i presupposti legali per richiedere la compensazione, mancando, in capo al ricorrente, il credito da opporre in compensazione per l’estinzione del proprio debito.
Difatti – si legge nel testo della sentenza n. 30234 del 15 dicembre 2017 – se non esiste un diritto ad ottenere la restituzione dei contributi eccedenti, non può esistere nemmeno un diritto che consenta di disporre, comunque, delle somme corrispondenti a tale contribuzione eccedente.
Alla luce della giurisprudenza costituzionale e di legittimità ricordate, era altresì corretto ritenere che nella fattispecie esaminata non fosse ravvisabile alcun presupposto in fatto per affermare un indebito arricchimento, con consequenziale ingiustificato impoverimento dell’istante, in quanto i versamenti effettuati non erano indebiti ma contribuzioni dovute.
L’impossibilità per il soggetto iscritto alla Cassa Forense di utilizzare i contributi versati in eccedenza, dunque, non comportava alcun diritto alla loro restituzione nemmeno a titolo di arricchimento senza causa.
Ciò – è stato precisato nella sentenza di legittimità - in conseguenza dell’inesistenza, a causa dei fini solidaristici perseguiti dalle casse o dagli istituti di previdenza e assistenza, di un principio generale di restituzione dei contributi legittimamente versati in relazione ai quali non si siano verificati, o non possono più verificarsi, i presupposti per la maturazione del diritto ad una prestazione previdenziale o assistenziale e, quindi, in conseguenza dell’inesistenza di un giustificato vantaggio della Cassa o dell’istituto di previdenza che ha riscosso i contributi.
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