Meccanismi transfrontalieri e obblighi di notifica: la Corte Ue chiarisce
Pubblicato il 31 luglio 2024
In questo articolo:
- Cooperazione amministrativa nel settore fiscale: confermata la validità di varie disposizioni della direttiva UE
- Il caso in esame
- Le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte Ue
- La decisione della Corte UE
- La CGUE sulla portata dell’articolo 8 bis ter, paragrafo 5
- Solo gli avvocati possono avvalersi del segreto professionale
- Le conclusioni della Corte UE
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La Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE), con la sentenza depositata il 29 luglio 2024, pronunciata relativamente alla causa C-623/22, si è pronunciata in tema di cooperazione amministrativa nel settore fiscale.
Con la decisione, la Corte ha fornito chiarimenti per quanto riguarda l'ambito di applicazione dello scambio automatico obbligatorio di informazioni sui meccanismi transfrontalieri, soggetti all'obbligo di notifica.
Cooperazione amministrativa nel settore fiscale: confermata la validità di varie disposizioni della direttiva UE
La Corte UE era stata chiamata a rispondere a una domanda di pronuncia pregiudiziale che verteva sull'interpretazione dell’articolo 8 bis ter, paragrafi 1, 5, 6 e 7, della direttiva 2011/16/UE, modificata dalla direttiva 2018/822/UE (cosiddetta DAC 6).
Tale direttiva ha istituito un sistema di cooperazione tra le autorità fiscali nazionali degli Stati membri e stabilito le norme e le procedure da applicare nello scambio di informazioni a fini fiscali.
Le relative disposizioni, più volte modificate, prevedono che tutti gli intermediari e, in mancanza di essi, il contribuente, coinvolti in meccanismi fiscali transfrontalieri di pianificazione fiscale potenzialmente aggressiva (che possono, tra l'altro, condurre a evasione e frode fiscali) devono dichiararli alle autorità fiscali competenti (obbligo di dichiarazione).
Il caso in esame
La domanda di pronuncia pregiudiziale era stata sollevata nell’ambito di diverse controversie che vedevano coinvolte diverse organizzazioni di avvocati e fiscalisti nonché ordini professionali, i quali avevano adito la Corte costituzionale belga.
I ricorrenti sostenevano che la legge belga di recepimento dovesse essere annullata in quanto, a loro avviso, la direttiva medesima violava alcune disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell'UE e principi generali del diritto dell'Unione.
Le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte Ue
La Corte costituzionale belga, ciò posto, aveva deciso di sottoporre alla Corte di giustizia dell'Unione europea alcune questioni pregiudiziali.
Il giudice del rinvio, in particolare, aveva chiesto alla Corte di esaminare la validità della direttiva in esame:
- nella misura in cui la stessa non limita l’obbligo di comunicazione all’imposta sulle società, ma lo rende applicabile a tutte le imposte rientranti nel suo ambito di applicazione;
- riguardo alle nozioni utilizzate nel testo, ritenute non sufficientemente chiare e precise;
- con riferimento agli intermediari non avvocati soggetti a un segreto professionale sulla base del diritto nazionale.
La decisione della Corte UE
Secondo la CGUE, in primo luogo, la circostanza che la direttiva non limita l'obbligo di dichiarazione nell'ambito dell'imposta sulle società non pregiudica la validità delle relative disposizioni in relazione ai principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali.
Rispetto al secondo rilievo, la Corte ha escluso che il grado di precisione e chiarezza della terminologia utilizzata nelle disposizioni della direttiva sottoposte al suo esame potesse mettere in discussione la validità di quest'ultima alla luce dei principi certezza del diritto e della legalità in materia penale.
Per i giudici europei, inoltre, l'ingerenza nella vita privata dell'intermediario e del contribuente implicati dall'obbligo di dichiarazione sarebbero sufficientemente definiti riguardo alle informazioni che deve contenere tale dichiarazione.
La CGUE sulla portata dell’articolo 8 bis ter, paragrafo 5
Nell'esaminare l'ulteriore questione sollevata, la Corte di giustizia si è pronunciata su alcune osservazioni della Commissione, relative alla portata dell’articolo 8 bis ter, paragrafo 5.
Questa disposizione, in particolare, prevede che gli Stati membri possono esentare gli intermediari dall'obbligo di comunicazione di informazioni sui meccanismi transfrontalieri se tale obbligo viola il segreto professionale secondo il diritto nazionale.
In questi casi, gli intermediari devono notificare senza indugio tali obblighi a un altro intermediario o, se assente, al contribuente pertinente.
Secondo le osservazioni della Commissione, la facoltà degli Stati membri di sostituire l’obbligo di notifica all’obbligo di comunicazione sarebbe stata istituita non nei confronti di tutti i professionisti soggetti a un obbligo di segreto professionale sulla base del diritto nazionale.
Essa riguarderebbe solo i professionisti assimilabili agli avvocati in quanto investiti, dal diritto nazionale, della legittimazione a rappresentare le parti in giudizio.
Solo gli avvocati possono avvalersi del segreto professionale
Nella decisione, a seguire, viene richiamata la sentenza dell'8 dicembre 2022 - causa C‑694/20, con cui la medesima Corte UE aveva stabilito che l'obbligo imposto all'avvocato, esonerato dall'obbligo di dichiarazione in ragione del suo segreto professionale, di notificare agli altri intermediari coinvolti nel dispositivo fiscale i propri obblighi di segnalazione, violasse il segreto professionale.
Tale sentenza - spiegano i giudici europei - vale solo nei confronti degli avvocati, ai sensi della direttiva volta a facilitare l'esercizio Stato membro in cui è stata acquisita la qualifica, e non nei confronti di altri professionisti eventualmente abilitati ad assicurare la rappresentanza in giudizio.
La riservatezza del rapporto tra l'avvocato e il suo cliente gode di una protezione molto specifica, che deriva dalla posizione singolare che occupa l'avvocato nell'ambito dell'organizzazione giudiziaria degli Stati membri, nonché alla missione fondamentale che gli è affidata e che è riconosciuta da tutti gli Stati membri.
Alla luce, ossia, del particolare ruolo riconosciuto alla professione di avvocato nell’ambito della società e ai fini della buona amministrazione della giustizia, la soluzione elaborata nella sentenza dell’8 dicembre 2022, per quanto riguarda gli avvocati, può estendersi solo alle persone che esercitano le loro attività professionali con uno dei titoli professionali menzionati all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/5.
Pertanto - conclude la Corte "per quanto riguarda gli altri professionisti che, pur essendo eventualmente abilitati dagli Stati membri ad assicurare la rappresentanza in giudizio, non rispondono alle caratteristiche summenzionate, come, ad esempio, i professori universitari in taluni Stati membri, nulla consente di concludere nel senso dell’invalidità dell’articolo 8 bis ter, paragrafo 5, della direttiva 2011/16 modificata, nei confronti dell’articolo 7 della Carta, in quanto l’obbligo di notifica, qualora sia sostituito dallo Stato membro all’obbligo di comunicazione, comporta che l’esistenza del rapporto di consulenza tra l’intermediario notificante e il suo cliente sia portata a conoscenza dell’intermediario notificato e, in definitiva, dell’amministrazione fiscale".
In tali circostanze, l’invalidità dell’articolo 8 bis ter, paragrafo 5, della direttiva 2011/16 modificata, vale soltanto nei confronti delle persone che esercitano le loro attività professionali con uno dei titoli professionali menzionati all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/5.
Le conclusioni della Corte UE
Di seguito le conclusioni rese dalla Corte di giustizia UE:
"1) Dall’esame dell’aspetto su cui verte la prima questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale e che abroga la direttiva 77/799/CEE, come modificata dalla direttiva (UE) 2018/822 del Consiglio, del 25 maggio 2018, alla luce dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione nonché degli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.2) Dall’esame degli aspetti su cui vertono le questioni pregiudiziali seconda e terza non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16, come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce del principio di certezza del diritto, del principio di legalità in materia penale sancito all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali e del diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 7 di tale Carta.3) L’invalidità dell’articolo 8 bis ter, paragrafo 5, della direttiva 2011/16 come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali, pronunciata dalla Corte nella sentenza dell’8 dicembre 2022, Orde van Vlaamse Balies e a. (C‑694/20, EU:C:2022:963), vale soltanto nei confronti delle persone che esercitano le loro attività professionali con uno dei titoli professionali menzionati all’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica.4) Dall’esame degli aspetti su cui verte la quinta questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità della direttiva 2011/16, come modificata dalla direttiva 2018/822, alla luce del diritto al rispetto della vita privata garantito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali".
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