Licenziamento, termini per impugnare in caso di incapacità: la parola alla Consulta
Pubblicato il 06 settembre 2024
In questo articolo:
- Termine per impugnare il licenziamento in caso di incapacità naturale
- Il caso esaminato
- La rimessione alle Sezioni Unite
- La questione di legittimità costituzionale
- I rilievi delle Sezioni Unite: compromessi i diritti del lavoratore in stato di incapacità
- Contrasto con la tutela della salute e discriminazione dei disabili
- Tabella di sintesi dell'ordinanza
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Con ordinanza interlocutoria n. 23874 del 5 settembre 2024, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione hanno ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 3, 4, 32, 35, 11, 117 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della Legge n. 604/1966 in tema di impugnazione del licenziamento.
Termine per impugnare il licenziamento in caso di incapacità naturale
La questione, segnatamente, è relativa alla parte in cui questa disposizione, nel prevedere che "Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale,…", fa decorrere, anche nei casi di incolpevole incapacità naturale del lavoratore licenziato, processualmente accertata e conseguente alle sue condizioni di salute, il termine di decadenza dalla ricezione dell’atto anziché dalla data di cessazione dello stato di incapacità.
Il caso esaminato
I dubbi sono stati sollevati nell'ambito di una controversia relativa a un licenziamento disciplinare. La causa riguardava una lavoratrice che era stata licenziata per assenza ingiustificata dal lavoro.
Il licenziamento era stato impugnato tardivamente dalla lavoratrice, oltre il termine di 60 giorni previsto dall’art. 6 della Legge n. 604/1966.
La dipendente aveva giustificato il ritardo sostenendo di essere stata in uno stato di incapacità naturale dovuto a una grave crisi depressiva che le aveva impedito di comprendere e contrastare il licenziamento.
Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d'Appello avevano respinto l'impugnazione della donna, affermando che il termine per impugnare il licenziamento era decaduto.
La rimessione alle Sezioni Unite
La Sezione Lavoro della Cassazione, successivamente adita dalla lavoratrice, aveva rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, al fine di risolvere la questione inerente alla incidenza dello stato di incapacità naturale, processualmente dimostrato e non contestato, sulla presunzione di conoscenza ex art. 1335 del Codice civile.
L’ordinanza interlocutoria, in particolare, chiedeva alle Sezioni Unite se uno stato di incapacità naturale, processualmente dimostrato e non contestato, sussistente nel momento in cui l’atto sia giunto all’indirizzo, rilevasse ai fini del superamento, da parte del destinatario, della presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. in quanto incidente sulla possibilità di averne notizia, senza sua colpa.
La questione di legittimità costituzionale
A loro volta, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata, decidendo di sottoporla alla Corte costituzionale.
Le SU hanno evidenziato di dubitare della compatibilità della norma richiamata con la Costituzione, in particolare laddove essa non consente eccezioni al termine di decadenza anche nei casi in cui il lavoratore si trovi in uno stato di incapacità naturale (causato da patologie fisiche o psichiche) e, quindi, non possa attivarsi entro il termine stabilito per legge.
I rilievi delle Sezioni Unite: compromessi i diritti del lavoratore in stato di incapacità
Nei casi come quello in esame - nel quale lo stato di incapacità naturale derivante da patologia psichica era stato documentato dalla ricorrente ed avvalorato dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nella fase sommaria del giudizio di primo grado - la rigida applicazione del termine di decadenza tende a favorire unicamente l’interesse del datore di lavoro a consolidare gli effetti del licenziamento.
Ciò, tuttavia, può comportare una compressione eccessiva del diritto di azione del lavoratore, in particolare in situazioni in cui l’inerzia non è dovuta a colpa propria, ma a uno stato di incapacità involontaria.
Tale compressione del diritto del lavoratore è in contrasto con diversi articoli della Costituzione italiana, in particolare:
- art. 24, comma 1, che garantisce il diritto di azione in giudizio per la tutela dei propri diritti;
- art. 4, comma 1, che sancisce il diritto al lavoro;
- art. 35, comma 1, che tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.
Per la Consulta, in sostanza, la norma, così applicata, potrebbe risultare incostituzionale in quanto non bilancia adeguatamente gli interessi tra le parti:
- non solo, il diritto del datore di lavoro a ottenere certezza nei rapporti giuridici;
- ma anche, il diritto del lavoratore a tutelare la propria posizione una volta recuperata la capacità di agire.
La decisione del legislatore - continua la Corte - di non riconoscere una tutela al lavoratore licenziato che non si attivi tempestivamente, nonostante l'impatto significativo dell'atto sulla qualità della vita personale e familiare, appare irragionevole quando viene applicata anche a chi, in stato di incapacità, non abbia impugnato il licenziamento a causa della sua totale e incolpevole incapacità di comprendere e autodeterminarsi.
Contrasto con la tutela della salute e discriminazione dei disabili
Senza contare che l’omessa considerazione dello stato di incapacità naturale derivante da malattia ai fini della individuazione del dies a quo del termine di decadenza, contrasta con la tutela della salute garantita dall'art. 32 della Costituzione e, in caso di disabilità, con gli artt. 117 e 11, creando una discriminazione contro le persone disabili.
Ciò viola gli obblighi della Convenzione ONU del 2006 e della Direttiva 2000/78/CE, che richiedono misure adeguate per garantire l'esercizio dei diritti dei disabili ed evitare disparità rispetto agli altri lavoratori.
La Consulta, in definitiva, è stata chiamata a valutare la compatibilità costituzionale della disciplina sulla decadenza dall'impugnazione del licenziamento in presenza di incapacità naturale del lavoratore e la possibilità di derogare alla presunzione di conoscenza legale degli atti in situazioni simili.
Tabella di sintesi dell'ordinanza
Sintesi del caso | Una lavoratrice licenziata per assenza ingiustificata ha impugnato tardivamente il licenziamento, sostenendo di essere stata incapace di agire tempestivamente a causa di una grave crisi depressiva. Il licenziamento era stato confermato dai giudici di primo e secondo grado, poiché l’impugnazione era tardiva. |
Questione dibattuta | Se il termine di decadenza per impugnare il licenziamento debba decorrere dalla ricezione dell'atto anche nei casi di incapacità naturale del lavoratore, che gli impedisce di comprendere e agire contro il licenziamento entro il termine legale. |
Soluzione della Corte di Cassazione | Le SU della Corte di Cassazione hanno ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della Legge n. 604/1966, rinviando la questione alla Corte Costituzionale per valutare la compatibilità della norma con i diritti costituzionali e tutelare i lavoratori in stato di incapacità naturale. |
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