Legali e Gestione separata INPS: niente iscrizione senza abitualità
Pubblicato il 30 agosto 2021
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La percezione, da parte dell’avvocato, di un reddito annuo inferiore a 5mila euro può rilevare quale indice negativo di abitualità e portare ad escludere l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata INPS.
Il requisito di abitualità, in ogni caso, non può considerarsi pacifico per effetto di un'omessa contestazione.
Così la Corte di cassazione con ordinanza depositata il 27 agosto 2021.
La Cassazione sull’obbligo di iscrizione alla Gestione separata
Risulta determinante, ai fini dell'obbligo di iscrizione alla Gestione separata, il modo in cui è svolta l'attività libero-professionale, se in forma abituale o meno.
Nell'accertamento in fatto del requisito di abitualità possono rilevare le presunzioni ricavabili, ad esempio, dall'iscrizione all'albo, dall'accensione della partita IVA o dall'organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività.
In senso contrario, può rilevare la percezione, da parte del libero professionista, di un reddito annuo di importo inferiore a 5mila euro.
Sono questi i principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità, per come richiamati dalla Suprema corte nel testo dell’ordinanza n. 23530/2021, a conferma delle conclusioni con cui i giudici di merito avevano escluso che un avvocato fosse tenuto all’iscrizione alla Gestione separata.
Nel caso di specie, era stato valorizzato, quale indice negativo di abitualità, la percezione da parte del legale, nei singoli anni in contestazione, di un reddito inferiore al limite dei 5mila euro, nonché l'assenza di elementi probatori di segno diverso della cui deduzione era onerato l'INPS.
Requisito di abitualità implica una valutazione: sottratto al principio di non contestazione
L’Istituto previdenziale si era opposto a tale statuizione facendo leva sul dato pacifico dell'esercizio della professione di avvocato della controparte e sulla mancata contestazione di questi rispetto al requisito di abitualità.
Doglianza giudicata inammissibile dalla Cassazione, non solo per difetto di autosufficienza, ma anche perché - secondo gli Ermellini - il principio di non contestazione era stato invocato in modo improprio, ossia come mancata contestazione della insussistenza del requisito di abitualità.
L'INPS, infatti, pretendeva di considerare pacifico il requisito di abitualità dell'esercizio della professione di avvocato solo per effetto della allegazione in tal senso da esso avanzata nonché della omessa contestazione, sul punto, da parte del professionista.
Un simile risultato, tuttavia, non era perseguibile in base alla corretta applicazione delle norme processuali invocate.
Questo senza contare che l'onere di contestazione riguarda le sole allegazioni in punto di fatto, cioè i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, e non si estende alle circostanze che implicano un'attività di giudizio.
In definitiva, il requisito di abitualità, elemento costitutivo della pretesa avanzata dall'INPS nel caso di specie, non aveva una dimensione meramente fattuale ma implicava un'attività di valutazione e si sottraeva, come tale, all'operare del principio di non contestazione.
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