Lavoro intermittente, quali le novità dopo il Decreto trasparenza?
Pubblicato il 07 settembre 2022
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La Fondazione studi dei consulenti del lavoro ha pubblicato sul proprio sito istituzionale, lo scorso 6 settembre, un importante approfondimento dedicato all’impatto che il D.Lgs n. 104/2022 (Decreto Trasparenza) comporta sulla disciplina del periodo di prova e del lavoro intermittente, in un’ottica di sempre maggiore allineamento di tale tipologia contrattuale alle garanzie e tutele previste per il lavoro subordinato.
Vediamone i punti principali.
Lavoro intermittente: elementi essenziali del contratto
Con le modifiche apportate dall’art. 5, comma 2 lettera a) del decreto, viene ribadita l’applicabilità a questa tipologia contrattuale delle regole generali sugli elementi essenziali del rapporto di lavoro, sulle condizioni di lavoro e sulla relativa tutela.
Nel confermare, infatti, l’obbligo della stipula in forma scritta ad probationem, viene disposto che, oltre alle informazioni di cui all'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 152/97, il contratto di lavoro intermittente debba contenere i seguenti elementi:
- la natura variabile della programmazione del lavoro, la durata del contratto e le ipotesi che ne consentono la stipula;
- il luogo e le modalità di svolgimento dell'eventuale disponibilità del lavoratore;
- il trattamento economico e normativo spettante, con la specifica dell'ammontare delle eventuali ore retribuite garantite e della retribuzione dovuta per il lavoro prestato in aggiunta alle stesse, nonché della relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
- i casi e i modi con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro e del relativo preavviso di chiamata, nonché le modalità di rilevazione della prestazione;
- i modi e i tempi di pagamento della retribuzione e dell’indennità di disponibilità;
- le misure di sicurezza necessarie al tipo di attività oggetto del contratto;
- le eventuali fasce orarie e i giorni di svolgimento delle prestazioni lavorative.
Lavoro intermittente: programmazione del lavoro e ore garantite
La programmazione di lavoro, pur essendo per la natura stessa del lavoro intermittente variabile, deve comunque essere esplicitata con riferimento ai giorni e alle ore di inizio e fine della prestazione di lavoro, costituendo non un mero obbligo informativo ma un vero e proprio elemento contrattuale obbligatorio.
Lo stesso discorso vale per l’indicazione delle eventuali ore retribuite garantite che, per gli altri rapporti di lavoro, fa parte invece dell’informativa da fornire ai lavoratori.
Peraltro, è evidente che il diritto alla retribuzione per le ore garantite sorge al momento della chiamata e della relativa adesione del lavoratore, a prescindere dal raggiungimento delle corrispondenti ore di lavoro prestate.
In caso di superamento del limite di ore garantite, spetterà inoltre la retribuzione ulteriore, la cui misura deve essere necessariamente indicata nel contratto.
Lavoro intermittente: preavviso di chiamata
Un’ulteriore novità è data dall’eliminazione della previsione che obbligava il datore di lavoro ad un preavviso di chiamata di almeno un giorno lavorativo.
Le parti possono, quindi, concordare anche un diverso preavviso di chiamata minimo o considerare legittimo il preavviso dato in giornata festiva, fermo restando che, a norma dell’art. 9, comma 4, del decreto in oggetto, qualora il datore di lavoro revochi una prestazione precedentemente programmata senza un ragionevole preavviso, spetta comunque la retribuzione prevista per la prestazione pattuita o una somma non inferiore al 50% del compenso pattuito per la prestazione annullata.
Lavoro intermittente e le fasce orarie
L’obbligo di indicare nel contratto le eventuali fasce orarie e i giorni predeterminati in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative (elemento necessario del contratto anziché mero obbligo informativo) ha l’evidente scopo di contemperare l'esigenza del lavoratore di cumulare altri impieghi con quella organizzativa del datore di lavoro.
Il datore di lavoro non può, di regola, infatti vietare lo svolgimento di altra attività lavorativa, in orario al di fuori della programmazione concordata, se non per i seguenti motivi:
1. pregiudizio per la salute e la sicurezza del lavoratore, compreso il rispetto della normativa in materia di durata dei riposi;
2. necessità di garantire l’integrità del servizio pubblico;
3. conflitto d'interessi con l'attività principale.
Periodo di prova
Il decreto in esame stabilisce che il periodo di prova non può essere superiore a sei mesi, senza che ciò possa essere oggetto di diverso accordo delle parti e che, nei contratti a tempo determinato, lo stesso è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere; in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere inoltre soggetto ad un nuovo periodo di prova.
Infine, in caso malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell'assenza, ferma restando la possibilità per la contrattazione collettiva di individuare altre ipotesi di sospensione, dovendosi ritenere che gli eventi indicati dal legislatore abbiano carattere esemplificativo.
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