La reperibilità speciale rientra nell’orario di lavoro?

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La reperibilità speciale rientra nell’orario di lavoro?

Ultime precisazioni della Corte di cassazione in tema di orario di lavoroperiodo di riposo e reperibilità.

E' stata definitivamente rigettata la domanda di un lavoratore volta a ottenere il pagamento di differenze retributive e relativa contribuzione previdenziale nonché il risarcimento del danno asseritamente subito a causa della reiterata violazione, da parte del datore, delle disposizioni vigenti in materia di orario di lavoro.

L’uomo lamentava l’omessa concessione di riposi, chiedendo di essere retribuito per le ore di reperibilità speciale prestate nella sua attività di vigilanza di una diga, atteso che durante le stesse gli era precluso di disporre liberamente del proprio tempo di riposo.

Tali ore di reperibilità speciale, secondo la sua prospettazione, dovevano essere intese come ore di attività lavorativa vera e propria.

Diversa la lettura resa dai giudici di merito: la reperibilità costituiva una prestazione strumentale e accessoria, ontologicamente diversa dall’attività lavorativa in quanto limitava ma non escludeva il riposo.

La Corte territoriale aveva così escluso che sussistessero i presupposti per il riconoscimento di un riposo compensativo: il disagio conseguente alla mera reperibilità passiva, senza effettiva chiamata, era già compensato dal CCNL di riferimento e, conseguentemente, sarebbe stato onere del lavoratore dimostrare l’esistenza di un eventuale danno alla salute conseguente alla situazione di attesa, onere che, nella specie non era stato adempiuto.

Il custode si era rivolto alla Suprema corte lamentando, tra gli altri motivi, una non corretta qualificazione dell’attività richiesta durante il servizio di reperibilità.

Reperibilità non esclude il riposo? Non è attività lavorativa

La Sezione lavoro della Cassazione, con sentenza n. 30301 del 27 ottobre 2021, ha ritenuto condividibile la ricostruzione operata dai giudici di seconda istanza: questi avevano verificato, con accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, una compatibilità tra l’espletamento del turno in reperibilità speciale e il riposo del lavoratore, inteso nella sua forma più piena, ossia come recupero delle sue energie lavorative e come sfruttamento del tempo a disposizione in occupazioni di suo gradimento.

Gli Ermellini, a seguire, ai fini dell’inquadramento del servizio di reperibilità speciale e della legittimità della disciplina convenzionale applicata, hanno provveduto a confrontarsi con l’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia Ue sulla nozione di orario di lavoro, per come dettata dalla direttiva 2003/88/Ce.

Nozione di orario di lavoro e di riposo per la Corte Ue 

La giurisprudenza della Corte Ue – ha sottolineato il Collegio di legittimità – appare indirizzata a un’interpretazione funzionale della menzionata direttiva e risulta orientata dall’obiettivo di organizzare l’orario di lavoro e i tempi di riposo in funzione della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Atteso poi che la nozione di riposo si ricava per esclusione dalla definizione dell’orario di lavoro, la necessità di assicurare ai lavoratori un riposo adeguato alla protezione effettiva della loro salute e sicurezza finisce con il condizionare l’ampiezza della nozione di orario di lavoro.

L’interferenza deriva dal rapporto di reciproca esclusione e dal fatto che la direttiva non preveda categorie intermedie.

Risulta decisivo, quindi, il criterio attinente alla possibilità, per i lavoratori, di gestire il loro tempo in modo libero e di dedicarsi ai loro interessi: tale periodo non costituisce orario di lavoro.

Reperibilità non è orario di lavoro se il lavoratore può gestire il tempo libero

Nella causa esaminata, era stato in concreto verificato che il servizio di reperibilità speciale, pur vincolato nei luoghi, lasciava libero il dipendente di riposare e dedicarsi ad attività di suo gradimento, anche in compagnia, senza alcuno specifico obbligo di vigilanza.

Si trattava di un servizio sostanzialmente di attesa, che si sarebbe attivato solo a seguito di allarme e per il quale era prevista un’indennità ed un riposo compensativo. Qualunque prestazione eventualmente richiesta, poi, sarebbe stata retribuita come lavoro straordinario.

Per le sue caratteristiche di reperibilità speciale, in definitiva, quella del ricorrente rientrava tra le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa che non possono essere ricomprese nell’orario di lavoro.

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