Illecita influenza sull’assemblea dei soci

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Illecita influenza sull’assemblea dei soci

Nella governance aziendale, l’assemblea dei soci riveste un ruolo centrale: oltre a favorire momenti di convivialità durante le riunioni, rappresenta l’organo deputato all’assunzione delle decisioni e all’approvazione delle strategie proposte dall’organo amministrativo. A seguito della convocazione dell’assemblea, per lo svolgimento legittimo delle sue funzioni è indispensabile verificare il raggiungimento delle maggioranze previste, sia per la validità dell’insediamento (quorum costitutivo) che per la validità delle deliberazioni (quorum deliberativo).

Una determinazione errata di uno dei due quorum può compromettere la validità delle delibere, ad esempio qualora sia stata decisiva la partecipazione di soggetti non legittimati o un calcolo errato dei votanti nell’approvazione della proposta sottoposta al voto.

In situazioni in cui il quorum costitutivo o deliberativo vengano manipolati intenzionalmente al fine di ottenere un profitto illecito, si configura il reato di illecita influenza sull’assemblea. Tale fattispecie si verifica quando, mediante atti simulati o fraudolenti, si induce artificialmente una maggioranza assembleare con lo scopo di procurare a sé o ad altri un vantaggio ingiusto.

La giurisprudenza penale riconosce inoltre che anche operazioni formalmente lecite possono integrare tale reato se realizzate con l’intento di alterare artificiosamente la composizione della maggioranza assembleare, con tutte le conseguenze pratiche che ne derivano.

L’illecita influenza sull’assemblea

La fattispecie di reato in esame si configura quando, mediante atti simulati o fraudolenti, l’autore intende determinare una maggioranza assembleare alterata, al fine di conseguire per sé o per terzi un vantaggio indebito. Tale condotta è disciplinata dall’articolo 2636 del Codice civile, che sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, attraverso atti simulati o fraudolenti, influenzi la maggioranza assembleare allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.

L’attuale formulazione normativa descrive una condotta fraudolenta caratterizzata da comportamenti artificiosi e da una componente simulatoria idonea a generare inganno. Per la configurabilità del reato è imprescindibile un effettivo ribaltamento dei rapporti tra maggioranza e minoranza, con la formazione di una maggioranza fittizia ottenuta mediante manovre illecite.

Inoltre, qualora dall’accertamento emergano anomalie che incidano in modo evidente sulla delibera adottata ma l’intervento illecito non risulti determinante ai fini della decisione, non sarà possibile procedere con alcuna impugnazione.

La fattispecie penale

Si tratta di una fattispecie di reato disciplinata dal Libro V, Titolo XI del codice civile, che include le disposizioni penali relative a società e consorzi. Si precisa che i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, a seconda che siano puniti rispettivamente con la reclusione e/o multa, oppure con l’arresto e/o ammenda.

Questo illecito penale si configura come reato di evento, poiché per la sua consumazione è necessaria l’effettiva determinazione di una maggioranza assembleare non genuina.

Inoltre, è classificato come reato a forma vincolata, in quanto per il suo perfezionamento è indispensabile il verificarsi di atti simulati o fraudolenti che manifestino una realtà difforme da quella effettiva, ovvero idonei a ingannare e a modificare la volontà assembleare orientandola verso deliberazioni divergenti rispetto a quelle che sarebbero state adottate in assenza della simulazione o frode.

Dal punto di vista psicologico, il reato richiede il dolo specifico: l’autore deve essere consapevole della manipolazione della maggioranza assembleare tramite atti simulati o fraudolenti e agire con l’intento di conseguire per sé o per altri un profitto ingiusto, che non necessariamente deve avere natura patrimoniale.

Bene giuridico tutelato

Il bene giuridico tutelato consiste nel corretto funzionamento dell’organo assembleare, garantito dal rispetto del principio maggioritario, mediante il quale si esprime la volontà assembleare e si persegue l’interesse sociale. In particolare, la disposizione prevista dall’articolo 2636 del Codice civile mira a salvaguardare la trasparenza e la regolarità del processo di formazione della volontà assembleare.

Soggetto attivo del reato

La norma individua quale soggetto attivo del reato “chiunque”, al pari di un qualsiasi reato comune, sebbene difficilmente reati come quello di cui si discute possa essere commesso da soggetti estranei alla società. Difatti, in linea di principio, i soggetti che possono effettivamente determinare la maggioranza in assemblea sono i soci, e, anche se più difficilmente, gli amministratori, i sindaci o anche il notaio in veste di presidente dell'assemblea.

Per cui, è agevole giungere all’individuazione del soggetto attivo del reato che risulta essere in prevalenza legato per un qualsiasi motivo alla società.

La Corte di Cassazione, al fine di fornire una serie di ipotesi in cui possa sicuramente verificarsi la commissione dell’attività illecita, ha previsto che essa si configuri quando:

  • il socio si avvalga di azioni o quote non collocate, cioè quelle non vendute, ovvero quelle per le quali non abbia effettuato nei termini i versamenti dovuti;
  • il socio, occultando la mora nei versamenti, che gli precluderebbero il diritto al voto, tragga in inganno l'assemblea, facendosi apparire come portatore di un diritto di voto, del quale in realtà non è titolare;
  • gli amministratori o terzi diffondono dichiarazioni mendaci o reticenti, con le quali l'assemblea od i singoli soci vengono tratti in inganno sulla portata o la convenienza di una delibera;
  • la realizzazione fraudolente della raccolta (incetta) di deleghe;
  • la sospettosa convocazione di un'assemblea in tempi e luoghi tali da precludere un'effettiva partecipazione dei soci;
  • vengano commessi abusi funzionali della presidenza dell'assemblea quali l'ammissione al voto di soggetti non legittimati o l'esclusione dal voto, con artifici o frode, degli aventi diritto;
  • vi sia la falsificazione della documentazione relativa all'assemblea dei soci.

Dall’analisi delle singole fattispecie sopra illustrate emerge con chiarezza la presenza, tra i soggetti attivi del reato, di individui che intrattengono un rapporto diretto o indiretto con la società.

Pertanto, a parere di chi scrive, è legittimo considerare tale reato come proprio e a forma libera. Infatti, le modalità per predisporre atti simulati o fraudolenti finalizzati a determinare la maggioranza assembleare sono molteplici e variegate.

Verifica della sussistenza del reato

Per accertare la sussistenza dell’illecito previsto dall’art. 2636 c.c., è indispensabile verificare l’esistenza di un nesso causale tra la condotta posta in essere e l’evento verificatosi. In particolare, occorre valutare la rilevanza dei voti acquisiti attraverso atti simulati o fraudolenti.

L’accertamento del rapporto causale tra condotta ed evento dipenderà dall’esito positivo della prova di resistenza; qualora, infatti, si dimostri che i voti contestati non siano stati determinanti ai fini del raggiungimento della maggioranza — che si sarebbe comunque ottenuta — non potrà configurarsi alcuna responsabilità penale, nemmeno a titolo di tentativo, per gli autori degli atti incriminati.

Si precisa anche che, ai fini della consumazione del reato, è imprescindibile l’adozione di una delibera assembleare, quale presupposto necessario della fattispecie: in assenza della deliberazione materiale non possono ravvisarsi le condizioni per la commissione del reato, poiché non risulta plausibile determinare una maggioranza senza una decisione formale dell’assemblea.

Per escludere la configurabilità del reato di illecita influenza sull’assemblea non è sufficiente constatare che l’atto sottoposto a giudizio non costituisca una simulazione o un atto fraudolento.  Al contrario, occorre analizzare l’intera operazione nel suo complesso al fine di accertare se questa abbia rappresentato un artificioso stratagemma volto al conseguimento di un risultato vietato dalla normativa vigente o dallo statuto societario.

La prova sulla maggioranza

Per l’accertamento della sussistenza del reato, si adotta, in via generale, la cosiddetta "prova di resistenza della maggioranza sospetta".

Tale procedura consiste nel sottrarre idealmente dal totale dei voti favorevoli alla delibera effettivamente adottata quelli attribuibili alle condotte illecite contemplate dalla norma, al fine di verificare se, nonostante ciò, la maggioranza si sarebbe comunque raggiunta.

A tal riguardo si consideri il seguente esempio:

TOTALE VOTANTI

120

MAGGIORANZA

61

TOTALE VOTI FAVOREVOLI

100

VOTI ILLECITI

30

VOTI GENUINI

70

È evidente che la prova di resistenza ha dimostrato come l’influenza illecita sull’assemblea non abbia avuto un ruolo determinante nell’approvazione della delibera.

Il reato a titolo di tentativo può essere configurato ogniqualvolta vengano compiuti atti simulati o fraudolenti, idonei e diretti in modo inequivocabile a determinare la maggioranza assembleare: ad esempio, nel caso in cui i soci abbiano posto in essere tutte le azioni necessarie per creare una maggioranza assembleare fittizia, ma tale piano sia fallito perché gli scrutatori, al momento della verifica, hanno rilevato l’assenza di azionisti dichiarati presenti o la falsità di alcune procure. 

Non si potrà invece parlare di tentativo punibile qualora gli atti posti in essere risultino privi del requisito dell’idoneità a determinare l’evento, come nel caso di condotte destinate a influenzare un numero esiguo di voti insufficiente a priori per raggiungere la maggioranza o finalizzate esclusivamente a rafforzare una maggioranza già acquisita.  Anche per il reato a titolo di tentativo valgono le medesime considerazioni precedentemente espresse nel paragrafo “La verifica della sussistenza del reato” riguardo alla consumazione dello stesso.

Responsabilità amministrativa degli enti (D.lgs. 231/2001)

Il decreto legislativo n. 231/2001 ha istituito la responsabilità amministrativa degli enti derivante dalla commissione di reati. In particolare, tale responsabilità di natura amministrativa si configura a carico dell’ente quando un soggetto a esso collegato, direttamente o indirettamente, pone in essere una condotta penalmente illecita.

La configurazione della responsabilità amministrativa degli enti si verifica in seguito alla realizzazione di specifici reati, sia nella forma consumata sia, ove previsto, in quella tentata, comportando l’applicazione delle relative sanzioni previste dalla normativa vigente.

Per il reato di illecita influenza sull’assemblea di cui all’articolo 2636 del Codice civile, si occupa anche l’articolo 25 ter del D.lgs. 231/2001, che alla lettera q), così recita: “per il delitto di illecita influenza sull'assemblea, previsto dall'articolo 2636 del codice civile, la sanzione pecuniaria da trecento a seicentosessanta quote”.

Conclusioni

Nell’ambito delle attività assembleari può verificarsi che alcuni soci, o gruppi di essi, tentino di perseguire obiettivi senza possedere i quorum necessari.
In tali circostanze si genera un disturbo interno all’assemblea finalizzato al raggiungimento degli scopi prefissati. Questo disturbo, ovvero l’illecita influenza nell’assemblea, rappresenta un reato apparentemente semplice da individuare ma caratterizzato da un elevato grado di insidiosità, poiché, qualora non venga scoperto, altera la volontà dei soci e modifica le strategie aziendali, apportando indiscutibili vantaggi agli autori.

Il legislatore, consapevole di tale rischio, ha istituito un sistema sanzionatorio rigoroso ed efficace a fini deterrenti, salvo casi eccezionali, prevedendo l’applicazione di una duplice sanzione quando ne ricorrano i presupposti. Per prevenire o quantomeno contenere questo fenomeno, è auspicabile che anche nelle realtà aziendali di dimensioni ridotte vengano adottati controlli adeguati volti a rilevare tali illeciti.

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