Credito Iva da fatture per operazioni inesistenti: compensazione indebita

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Credito Iva da fatture per operazioni inesistenti: compensazione indebita

Il reato di indebita compensazione può essere commesso quando il credito di imposta utilizzato in compensazione derivi dall'uso di fatture per operazioni inesistenti. A riprova, la procedura di riversamento spontaneo di cui al Dl fiscale 2021.

Con sentenza n. 18085 del 6 maggio 2022, la Corte di cassazione ha definitivamente confermato la penale responsabilità di un imprenditore per i reati fiscali commessi in relazione a tre diverse società.

Allo stesso erano stati contestati più reati di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000, per aver indicato nelle dichiarazioni relative a diversi anni di imposta, elementi passivi fittizi, mediante l'uso di fatture per operazioni inesistenti.

Con riguardo, inoltre, ai crediti fiscali derivanti dall'utilizzo di dette fatture, utilizzati in compensazione, l'imputato era stato condannato anche per il delitto di indebita compensazione ex art. 10-quater del medesimo Decreto legislativo.

L'uomo si era rivolto alla Suprema corte lamentando, tra gli altri motivi, vizio di violazione di legge sulla ritenuta responsabilità anche per tale secondo reato.

Secondo la sua difesa, era errato ritenere che le condotte poste in essere potessero concretizzare entrambe le fattispecie delittuose considerate: tra le due figure di reato, finalizzate a preservare i medesimi beni giuridici dell'interesse alla riscossione dei tributi e della trasparenza fiscale del contribuente, sussisteva "una progressione di illiceità idonea a legittimare un fenomeno di consunzione", con applicazione esclusiva della fattispecie più grave.

Dichiarazione fraudolenta e indebita compensazione: condotte diverse

Doglianza, questa, giudicata infondata dagli Ermellini, per i quali il ricorrente aveva operato "una lettura del tutto parziale della giurisprudenza formatasi sul reato ex art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000".

Il fatto incontestato, fondato sugli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza, era che le società dell'imputato avevano maturato, riportando nelle dichiarazioni annuali Iva gli elementi passivi fittizi costituiti dalle fatture per operazioni inesistenti, crediti Iva inesistenti, perché derivanti dalla commissione dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di false fatture.

Tali crediti erano stati utilizzati, in tutto o in parte, in compensazione, negli anni di imposta immediatamente successivi, per il pagamento, mediante F24, dei debiti tributari Iva gravanti sulle società. 

Da tale ricostruzione del fatto, risultava chiaramente che le due condotte contestate erano ontologicamente e cronologicamente distinte tra loro: erano state commesse in tempi diversi e con modalità del tutto diverse.

Nel dettaglio:

  • la condotta di dichiarazione fraudolenta era stata commessa avvalendosi delle fatture per le operazioni inesistenti, indicando nelle dichiarazioni Iva gli elementi passivi fittizi;
  • la condotta di indebita compensazione era stata commessa, l'anno successivo, compensando il credito inesistente Iva creato nel precedente periodo di imposta con il debito Iva maturato nel periodo di imposta successivo.

Trattandosi, nella specie, di condotte diverse, non vi era alcuna duplicazione dei profili di responsabilità. 

Credito Iva da false fatture: inesistente

Per la Cassazione, del resto, il credito Iva che maturi dall'uso di fatture per operazioni inesistenti, adoperate nella dichiarazione Iva, è da considerare un credito inesistente perché è del tutto privo di giustificazione e dell'elemento costitutivo del credito. 

Riversamento spontaneo: escluso per crediti da condotte fraudolente

A riprova dell'interpretazione sull'inesistenza del credito, la Corte ha richiamato l'art. 5 del Dl n. 146/2021 (cd. Decreto fiscale 2021), il quale, nel dettare disposizioni urgenti in materia fiscale, ha introdotto una speciale causa di non punibilità per il delitto di indebita compensazione, delineando una speciale procedura.

In forza di quest'ultima, i soggetti che, alla data di entrata in vigore del decreto, hanno utilizzato in compensazione il credito d'imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo possono effettuare il riversamento dell'importo del credito indebitamente utilizzato, senza applicazione di sanzioni e interessi.

La procedura di riversamento spontaneo per utilizzo indebito del credito R&S - hanno precisato i giudici di Piazza Cavour - "è riservata ai soggetti che, nei periodi d'imposta indicati, abbiano realmente svolto, sostenendo le relative spese, attività in tutto o in parte non qualificabili come attività di ricerca e sviluppo ammissibili nell'accezione rilevante ai fini del credito d'imposta".

Tale procedura può essere utilizzata anche dai soggetti che abbiano commesso errori nella quantificazione o nell'individuazione delle spese ammissibili in violazione dei principi di pertinenza e congruità, nonché nella determinazione della media storica di riferimento.

Tuttavia, l'accesso alla stessa è, in ogni caso, "escluso nei casi in cui il credito d'imposta utilizzato in compensazione sia il risultato di condotte fraudolente, di fattispecie oggettivamente o soggettivamente simulate, di false rappresentazioni della realtà basate sull'utilizzo di documenti falsi o di fatture che documentano operazioni inesistenti, nonché nelle ipotesi in cui manchi la documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili al credito d'imposta".

Questo, per la Terza sezione penale di Cassazione, confermerebbe che il reato ex art. 10-quater D. Lgs. n. 74/2000 può essere commesso quando il credito di imposta utilizzato in compensazione derivi dall'uso di fatture per operazioni inesistenti.

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