Gesto violento sul lavoro e danneggiamento: sì al licenziamento
Pubblicato il 03 luglio 2025
In questo articolo:
- Gesto violento sul lavoro: licenziamento legittimo
- Il caso esaminato
- Le ragioni del lavoratore
- La pronuncia di primo grado
- La decisione della Corte di Appello
- Licenziamento valido anche con un solo addebito provato
- Rilevanza contrattuale e giuridica della condotta
- Dispositivo finale
- Valutazione concreta della condotta e rilievo del contratto collettivo
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Recesso legittimo se è provata anche solo una delle condotte addebitate, purché grave e idonea a compromettere il vincolo fiduciario: così la Corte d'appello di Napoli nel confermare il licenziamento in tronco di un lavoratore per comportamento aggressivo e danneggiamento di beni aziendali.
Gesto violento sul lavoro: licenziamento legittimo
Con la sentenza n. 2360 del 5 giugno 2025, la Corte d'appello di Napoli ha confermato la legittimità di un licenziamento per giusta causa irrogato ad un lavoratore per avere sferrato un pugno contro il vetro di una porta degli spogliatoi aziendali, rompendolo e procurandosi una ferita nonché mettendo in pericolo l’incolumità dei colleghi presenti.
Il caso esaminato
Il dipendente, inquadrato come operaio installatore reti TLC, aveva ricevuto una contestazione disciplinare articolata in più episodi, tra cui:
- discussioni ripetute e incompatibilità caratteriale con un collega, documentate da una richiesta formale di separazione in squadra e da un colloquio con i superiori;
- alterco durante una trasferta di lavoro, sfociato nella richiesta di rientro anticipato da parte del collega e nella dissoluzione della squadra;
- comportamento aggressivo all’interno del cantiere di lavoro, dove il lavoratore, in un gesto di rabbia, aveva sferrato volontariamente un pugno al vetro della porta degli spogliatoi, rompendola e ferendosi gravemente alla mano.
Secondo la società, tale condotta integrava violazione dei doveri contrattuali, del Codice Etico aziendale e delle disposizioni del CCNL, determinando anche danni materiali e disagi organizzativi.
Il lavoratore aveva negato la ricostruzione fornita dalla datrice di lavoro, sostenendo di essere scivolato accidentalmente. La contestazione si era conclusa con il licenziamento per giusta causa.
Le ragioni del lavoratore
Il dipendente aveva impugnato il licenziamento sostenendo:
- la genericità della contestazione disciplinare;
- la già intervenuta sanzione (richiamo verbale) per il primo episodio, in violazione del divieto di doppia sanzione disciplinare;
- la mancanza di prova dei fatti contestati;
- l’insussistenza della giusta causa e la sproporzione della sanzione espulsiva, in ragione della condotta complessiva e della sua lunga carriera priva di precedenti;
- l'esistenza di uno stato di turbamento psichico dovuto a una gestione conflittuale dei rapporti in azienda.
Il lavoratore chiedeva, in via principale, la reintegra nel posto di lavoro ex art. 18, comma 4, Statuto dei lavoratori, o in subordine la corresponsione dell’indennità risarcitoria prevista dalla medesima norma.
La pronuncia di primo grado
Il Tribunale di primo grado aveva respinto il ricorso del lavoratore, ritenendo giustificato il licenziamento sulla base del solo episodio accertato, relativo al danneggiamento della porta degli spogliatoi. Tale condotta, valutata nella sua oggettiva gravità, era stata considerata sufficiente a integrare una giusta causa di recesso.
Le ulteriori contestazioni mosse dalla datrice di lavoro erano state invece giudicate insussistenti o prive di rilievo disciplinare.
La decisione della Corte di Appello
La Corte di Appello ha dichiarato improcedibile l’appello incidentale della società per difetto di notifica e ha rigettato integralmente l’appello principale del lavoratore, confermando la decisione di primo grado.
I giudici di gravame hanno motivato la propria decisione richiamando una serie di elementi oggettivi emersi nel corso dell’istruttoria.
In primo luogo, hanno valorizzato la coerenza delle testimonianze rese dai colleghi presenti al momento dell’accaduto, ritenute attendibili e sufficienti a dimostrare la volontarietà del gesto compiuto dal lavoratore, consistente nel colpire con un pugno il vetro della porta degli spogliatoi aziendali.
La condotta è stata considerata non conforme ai doveri di diligenza, correttezza e collaborazione che, ai sensi dell’articolo 2104 del codice civile e del contratto collettivo applicabile, devono caratterizzare la prestazione lavorativa subordinata.
La Corte ha inoltre ritenuto che lo stato soggettivo di disagio o irritazione manifestato dal lavoratore non fosse supportato da elementi idonei a giustificare il comportamento, non essendo emerse circostanze esterne o provocazioni immediatamente antecedenti all’episodio.
Infine, è stato rilevato che l’azione aveva determinato conseguenze sul piano organizzativo e della sicurezza aziendale, rendendo necessario l’intervento sanitario e l’interdizione temporanea dei locali spogliatoio per consentirne la pulizia e la messa in sicurezza.
In tale contesto, la ricostruzione difensiva del lavoratore (scivolamento accidentale) è stata ritenuta implausibile, contraddittoria e non supportata da alcuna prova oggettiva. In particolare, la posizione del vetro sulla parte superiore della porta escludeva compatibilità con una caduta.
Licenziamento valido anche con un solo addebito provato
Nella decisione, la Corte ha altresì richiamato il principio secondo cui, in presenza di una pluralità di addebiti, la sussistenza anche di uno solo di essi, se grave, è sufficiente a giustificare la sanzione espulsiva, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità.
Rilevanza contrattuale e giuridica della condotta
La Corte ha quindi sottolineato che:
- il comportamento del lavoratore aveva violato il principio di correttezza e collaborazione richiesto dal rapporto di lavoro subordinato;
- la condotta era espressamente sanzionata dal CCNL Metalmeccanico, art. 10, lett. d), come causa di licenziamento in tronco;
- il gesto, oltre a provocare danni materiali e produttivi, era espressione di scarso autocontrollo e manifesta irascibilità, incompatibili con l’ordinato svolgimento dell’attività lavorativa in ambiente collettivo.
Il dipendente, in altri termini, aveva manifestato una sostanziale indifferenza al rispetto dei propri obblighi (civili oltre che lavorativi), nonché delle cose e delle persone, mettendo a repentaglio anche l'incolumità dei colleghi presenti.
In definitiva, è stato ravvisato un grave inadempimento ex art. 2119 c.c., tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
Dispositivo finale
La Corte ha dichiarato improcedibile l’appello incidentale della società e rigettato quello principale del lavoratore. Le spese di lite sono state compensate per metà, con condanna del lavoratore al pagamento della restante parte. È stato inoltre disposto il versamento del doppio del contributo unificato previsto per legge.
Valutazione concreta della condotta e rilievo del contratto collettivo
La pronuncia della Corte di Appello di Napoli si pone in linea con l’orientamento recentemente confermato dalla Corte di Cassazione (ordinanza n. 17548 del 30 giugno 2025), la quale ha ribadito che la valutazione della gravità del comportamento contestato e della proporzionalità della sanzione espulsiva rientra nella discrezionalità del giudice di merito, alla luce delle circostanze del caso concreto.
In tale ordinanza, la Suprema Corte ha escluso la legittimità di un licenziamento disciplinare irrogato a seguito di un episodio isolato di perdita di controllo, non accompagnato da danni effettivi, condotte violente o insubordinazione, valorizzando altresì la previsione contrattuale che limitava la sanzione a misure conservative.
Anche la Corte partenopea, pur accertando la sussistenza materiale della condotta (gesto violento contro una porta in vetro), ha operato una valutazione rigorosa della sua rilevanza disciplinare, concludendo tuttavia per la legittimità del licenziamento, in considerazione della pericolosità dell’azione e della compromissione del vincolo fiduciario.
I due arresti, pur giungendo a conclusioni differenti, evidenziano un principio comune: la centralità dell’analisi concreta del fatto e del contesto in cui esso si inserisce, unitamente al rispetto delle previsioni del contratto collettivo applicabile.
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