Confisca allargata: le Sezioni Unite sul divieto di giustificare la provenienza dei beni

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Confisca allargata: le Sezioni Unite sul divieto di giustificare la provenienza dei beni

Con sentenza n. 8052 del 23 febbraio 2024, le Sezioni Unite penali della Cassazione hanno fornito chiarimenti in tema di confisca allargata e ambito temporale di applicazione del divieto previsto dall’articolo 240-bis del Codice penale.

Si tratta del divieto di giustificare la legittima provenienza dei beni oggetto della predetta confisca “allargata” o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale.

Ebbene, secondo le S.U. il divieto in esame, introdotto dall’articolo 31 della Legge n. 161/2017, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle Sezioni Unite n. 33451/2014, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017.

Applicazione divieto probatorio: il contrasto interpretativo da risolvere

E' stata la Sesta sezione penale della Suprema corte a chiedere alle SU di sciogliere il contrasto insorto, in materia, nella giurisprudenza di legittimità, attesa l'assenza di un'espressa disciplina transitoria.

Si trattava di chiarite se, per il destinatario di un provvedimento di confisca allargata o di sequestro finalizzato a tale tipo di confisca, il divieto di cui al richiamato art. 240-bis valesse anche per i cespiti acquistati prima del giorno di entrata in vigore del divieto medesimo.

Sono due, segnatamente, gli orientamenti affermatisi nella giurisprudenza di Cassazione in ordine all'applicabilità temporale del divieto indicato.

Secondo un primo indirizzo, la norma in questione avrebbe natura processuale, in quanto introduttiva, per il condannato, di un divieto probatorio destinato ad operare nel contesto dell'operazione di ricostruzione delle capacità economiche.

Tale norma, in ossequio a criteri di ragionevolezza e tutela dell'affidamento, non potrebbe trovare applicazione anche nei procedimenti in corso, in relazione alle ricostruzioni patrimoniali relative ad anni anteriori a quello di sua introduzione.

Per tale opzione interpretativa, quindi, solo in relazione alla confisca di prevenzione, le Sezioni Unite avevano escluso, con sentenza n. 33451/2014, che la sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche potesse essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale.

Ne discendeva che - secondo tale indirizzo - almeno fino all'entrata in vigore della Legge n. 161/2017, per la confisca allargata fosse consentito giustificare la proporzione di valori tra redditi e investimenti facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati.

Alla luce del diverso orientamento, invece, il divieto probatorio in questione avrebbe trovato applicazione anche con riguardo ai beni acquistati prima dell'entrata in vigore della legge.

Ciò in ragione della natura di misura di sicurezza, anche se atipica, della confisca allargata.

Le misure di sicurezza non sarebbero infatti soggette al divieto di irretroattività e sarebbero invece regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione.

La soluzione delle Sezioni Unite di Cassazione

Nella loro disamina, le Sezioni Unite hanno in primo luogo affermato di condividere l'assunto affermato dalla costante giurisprudenza della Cassazione secondo cui la confisca allargata rappresenta una misura di sicurezza atipica con funzione dissuasiva, parallela all'affine misura di prevenzione antimafia.

Essa si colloca su una linea di confine con la funzione repressiva propria della misura di sicurezza patrimoniale, come del resto emerge anche dalla sua collocazione sistematica.

Nello stesso senso, peraltro, si è espressa la Corte costituzionale con sentenza n. 24/2019, con cui è stato chiarito che la confisca di prevenzione e quella allargata costituiscono altrettante species di un unico genus, identificato nella confisca dei beni di sospetta origine illecita e che l'ablazione di tali beni costituisce non tanto un sanzione bensì, piuttosto, la naturale conseguenza della loro illecita acquisizione.

Ed è in questo quadro di riferimenti che si collocano i principi affermati dalle Sezioni Unite con la richiamata sentenza del 2014 (sentenza n. 33451/2014, cosiddetta Repaci).

Pronuncia, quest'ultima, che gli Ermellini ritengono rilevante rispetto alla questione rimessa nella specie, in quanto:

  • da una parte, ha riempito di contenuto probatorio l'onere di allegazione giustificativo della provenienza lecita dei beni, con particolare riguardo alla possibilità per il soggetto che subisce la confisca di fare riferimento ai proventi non dichiarati al Fisco;
  • dall'altra, ha contribuito a scolpire il confine della misura ablatoria rispetto al quale successivamente si pone il limite probatorio introdotto con la Legge del 2017.

A ben vedere, la questione rimessa ora alla decisione delle Sezioni Unite rappresenta una questione "essenzialmente intertemporale" ma che involge tematiche più ampie, quali quelle della portata del precedente costituito dalla sentenza Repaci, della prevedibilità delle decisioni, dell'affidamento incolpevole, della effettività del diritto di difesa.

Nella relativa soluzione, le S.U. hanno ritenuto che nessuno dei due orientamenti in contrasto fosse interamente condivisibile:

  • il primo orientamento, infatti, più restrittivo, fondato sulla incondizionata applicazione retroattiva del divieto probatorio sopravvenuto, si limita a fare riferimento alle norme generali dettate in tema di misure di sicurezza senza cogliere le implicazioni della norma sopravvenuta per i diritti dell'individuo e per l'affidamento incolpevole in relazione alla complessità dell'accertamento processuale sottostante la fattispecie;
  • il secondo, pur cogliendo le connessioni tra il novum e i diritti dell'individuo, finisce per escludere l'operatività del principio del tempus regit actum anche in relazione ad un lasso di tempo - quello precedente alla pronuncia Repaci - in cui la base legale della misura ablatoria non consentiva di attribuire rilievo, in termini di certezza ragionevole, alla possibilità di superare la presunzione di illecita accumulazione facendo riferimento ai redditi leciti non dichiarati al Fisco.

Divieto non applicabile nel periodo 2014 - 2017

Questo, in definitiva, il principio di diritto enunciato dalle S.U. penali:

Il divieto previsto dall’artico 240-bis Cod. pen., introdotto dall’art. 31 legge 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificare la legittima provenienza dei beni oggetto della confisca cosiddetta “allargata” o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle Sezioni Unite n. 33451/2014, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017.

La soluzione resa dalle Sezione Unite era stata anticipata con informazione provvisoria n. 14 del 26 ottobre 2023.

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