Sponsorizzazioni sportive: Iva deducibile senza consapevolezza della frode

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Sponsorizzazioni sportive: Iva deducibile senza consapevolezza della frode

Nel caso in cui non venga dimostrata la consapevolezza o anche solo la conoscibilità, da parte del contribuente, di essere parte di una cosiddetta “frode carosello”, è illegittimo il recupero ad imposta disposto dall’Agenzia Entrate a seguito di disconoscimento della deducibilità dell’Iva in relazione alle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.

Operazioni soggettivamente inesistenti, onere della prova

E’ quanto confermato dalla Corte di cassazione, con ordinanza n. 9778 del 14 aprile 2021, nel respingere l’impugnazione promossa dall’Amministrazione finanziaria, contro una decisione della CTR che aveva concluso per l’illegittimità di una rettifica dell’Iva detratta da una Srl sulla base di asserite operazioni soggettivamente inesistenti.

Si era trattato, in particolare, di un accertamento con il quale era stata disconosciuta la detrazione Iva di alcune operazioni di sponsorizzazione di manifestazioni sportive, in cui l’emissione della fattura era avvenuta da parte di una società anziché direttamente dallo sportivo.

L’avviso era stato emesso a seguito di una complessa indagine penale su un sistema di frode, realizzato mediante fatture per operazioni di sponsorizzazione emesse da plurime società filtro che operavano a turno e i cui proventi venivano trasferiti a società operanti in totale evasione fiscale.

Contro la decisione di merito, il Fisco si era rivolto ai giudici di legittimità, lamentando il mancato rispetto del canone di riparto dell’onere della prova in relazione alle contestate operazioni soggettivamente inesistenti.

Doglianza, questa, giudicata infondata dalla Sesta sezione civile della Corte di cassazione.

Sponsorizzazione in frode carosello, tutela buona fede del soggetto passivo

In primo luogo, gli Ermellini hanno rilevato come, nel caso di specie, era pacifica la circostanza che le prestazioni di sponsorizzazione in occasione di eventi sportivi e promozionali fossero state effettivamente eseguite e che i pagamenti fossero stati regolarmente effettuati con modalità tracciate.

Il thema decidendum era quindi costituito dalla detraibilità o meno dell’imposta versata dal cessionario su fattura per una operazione soggettivamente inesistente in quanto riferibile ad un soggetto – nella fattispecie lo sportivo (un pilota) – diverso da quello che risultava aver emesso la documentazione fiscale, nella specie la società cui faceva capo lo sportivo.

I giudici di Piazza Cavour, in proposito, hanno ricordato il consolidato orientamento della Corte di giustizia, secondo cui la circostanza che l’operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’Iva non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione, configurandosi l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego alla detrazione, se non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione.

Insegnamento, questo, a cui si è conformata anche la giurisprudenza della Cassazione affermando che, in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario, che l’operazione si inserisca in un’operazione di evasione dell’imposta, dimostrando, anche per via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo, della frode.

Secondo la Corte, nel caso in esame la sentenza impugnata si era correttamente attenuta al consolidato canone giurisprudenziale di riparto dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ponendo a carico dell’Agenzia delle Entrate l’onere di dimostrare la fittizietà dei fornitori e del fatto che la contribuente versava in condizioni di conoscenza o conoscibilità di tale stato di cose, escludendo che, nella specie, fosse intervenuta la dimostrazione dell’elemento soggettivo in capo al contribuente.

Fattura emessa da società invece che da sportivo: non è indice di mancata diligenza

In ogni caso, non poteva farsi discendere un rimprovero di mancata diligenza in capo alla contribuente dal fatto che l’emittente la fattura non fosse direttamente lo sportivo, corrispondendo a una prassi diffusa nel settore quello di affidare la gestione dello sfruttamento dell’immagine dello sportivo a una società diversa dalla persona fisica che renda materialmente la prestazione.

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