Regime Impatriati: patto di sospensione e requisiti di residenza estera

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Regime Impatriati: patto di sospensione e requisiti di residenza estera

Con la risposta n. 142 del 27 maggio 2025, l’Agenzia delle Entrate è tornata a pronunciarsi sul nuovo regime agevolativo previsto per i lavoratori impatriati, introdotto dall’articolo 5 del Decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209. Il chiarimento giunge in un contesto di crescente attenzione verso i benefici fiscali riservati ai contribuenti che trasferiscono la propria residenza in Italia dopo un periodo di lavoro all’estero.

In particolare, l’istanza esaminata riguarda l’impatto della sottoscrizione di un “patto di sospensione del rapporto di lavoro” sul calcolo del periodo minimo di residenza fiscale all’estero necessario per accedere al regime agevolativo. La questione è significativa perché affronta un aspetto ancora poco chiarito della normativa: se, e in che misura, un rapporto di lavoro sospeso ma ancora formalmente attivo possa influenzare la valutazione dell’effettiva permanenza all’estero.

L’Agenzia ha colto l’occasione per chiarire che tale patto, di per sé, non rappresenta una causa ostativa all’applicazione del regime agevolato, contribuendo così a delineare meglio i confini operativi del beneficio fiscale destinato ai lavoratori rientrati in Italia.

Il contesto normativo

Il riferimento normativo centrale per comprendere la questione trattata nella risposta n. 142/2025 è l’articolo 5 del Decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209, entrato in vigore il 29 dicembre 2023. Tale disposizione introduce il nuovo regime agevolativo per i lavoratori impatriati, applicabile a partire dal periodo d’imposta 2024. Il beneficio è destinato ai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, dopo aver risieduto all’estero per un determinato periodo minimo.

La durata di permanenza fuori dal territorio nazionale richiesta per accedere all’agevolazione varia in base alla relazione tra i datori di lavoro coinvolti nel periodo estero e al momento del rientro. In linea generale, il requisito minimo è di tre periodi d’imposta, ma può salire a sei o sette anni nel caso in cui vi sia continuità lavorativa con lo stesso datore di lavoro (o con un datore appartenente al medesimo gruppo) per cui il contribuente ha lavorato all’estero o in Italia prima della partenza. La norma prevede inoltre specifici criteri oggettivi per accertare l’appartenenza al medesimo gruppo societario, facendo riferimento ai rapporti di controllo diretti o indiretti definiti dall’articolo 2359 del Codice civile.

NOTA BENE: Il regime mira a incentivare il rientro in Italia di risorse professionali qualificate, prevedendo una parziale detassazione del reddito da lavoro prodotto nel territorio nazionale, a condizione che siano rispettate le condizioni oggettive e soggettive stabilite dalla norma.

Il caso concreto analizzato

Il caso analizzato nella risposta n. 142/2025 riguarda un cittadino italiano iscritto all’AIRE dal 19 maggio 2023, che ha manifestato l’intenzione di rientrare in Italia a partire dal periodo d’imposta 2026. Prima del trasferimento all’estero, il contribuente lavorava in Italia per la società Alfa, ed è poi stato distaccato presso la società Beta, con sede all’estero. Al momento del rientro in Italia, invece, è previsto che presti attività lavorativa per una terza società, la Gamma, diversa sia da Alfa che da Beta.

Un elemento particolare del caso è rappresentato dalla sottoscrizione di un “patto di sospensione del rapporto di lavoro” con la società Gamma, con decorrenza dal 15 gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, poi prorogato fino al 31 dicembre 2025, al fine di consentire al contribuente di continuare temporaneamente la propria attività con Beta. Tuttavia, non è stato chiarito se Alfa, Beta e Gamma appartengano o meno allo stesso gruppo societario, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 2, del D.Lgs. 209/2023, che fa riferimento ai criteri di controllo definiti dall’art. 2359 del Codice civile.

La questione sollevata riguarda quindi due profili distinti ma strettamente connessi:

  • da un lato, la rilevanza del patto di sospensione rispetto al computo della residenza estera pregressa;
  • dall’altro, l’eventuale riconducibilità delle società coinvolte a un medesimo gruppo, circostanza che, se verificata, determinerebbe un innalzamento del periodo minimo di permanenza all’estero da tre a sei o sette anni.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate

Nella risposta n. 142/2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito i presupposti in base ai quali il contribuente può beneficiare del regime agevolativo per i lavoratori impatriati, alla luce delle condizioni normative previste dall’art. 5 del D.Lgs. 209/2023.

L’Amministrazione ha confermato che, nel caso in esame, il contribuente potrà accedere all’agevolazione se risulta residente all’estero per almeno tre periodi d’imposta, a condizione che non vi sia coincidenza tra il datore di lavoro estero dell’ultimo anno prima del rientro e quello per cui lavorerà in Italia, né che tali soggetti appartengano allo stesso gruppo societario. La definizione di “gruppo” fa riferimento ai rapporti di controllo diretto o indiretto previsti dall’art. 2359, comma 1, n. 1) e 2) del Codice civile.

Se invece vi fosse continuità tra i datori di lavoro, ovvero il lavoratore dovesse rientrare in Italia per prestare attività presso lo stesso datore o un soggetto appartenente al medesimo gruppo, il periodo minimo di residenza estera si estenderebbe a sei o sette anni, a seconda delle circostanze specifiche legate al rapporto lavorativo precedente e successivo al trasferimento.

Un chiarimento di rilievo offerto dall’Agenzia riguarda la irrilevanza del patto di sospensione del rapporto di lavoro. La sottoscrizione, da parte dell’istante, di un patto con il datore di lavoro italiano (valido dal 15 gennaio 2023 al 31 dicembre 2023 e poi prorogato fino a fine 2025) non preclude l’accesso al regime agevolativo, in quanto la norma non prevede alcuna condizione ostativa legata alla sospensione formale del rapporto lavorativo, purché siano soddisfatti i restanti requisiti di legge.

Tuttavia, l’Agenzia ha precisato che non può esprimersi in sede di interpello su aspetti che costituiscono accertamenti di fatto, come l’effettiva appartenenza delle società coinvolte a un medesimo gruppo o la verifica dell’effettiva residenza fiscale del contribuente all’estero. Tali elementi potranno essere oggetto di controllo solo in sede di verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria. Restano quindi impregiudicati i poteri accertativi dell’ente, sia rispetto ai legami societari sia in relazione alla qualificazione del contribuente come soggetto “altamente qualificato o specializzato”, requisito ulteriore richiesto per l’accesso al regime agevolato.

A seguire una Tabella riassuntiva dei principali chiarimenti resi dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 142/2025.

Aspetto Principio espresso
Patto di sospensione del rapporto di lavoro La sottoscrizione di un patto di sospensione del rapporto di lavoro con il datore italiano non preclude l’accesso al regime agevolato.
Periodo minimo di residenza estera
  • 3 anni: se il datore di lavoro estero e quello italiano non coincidono e non fanno parte dello stesso gruppo.
  • 6 anni: se il lavoratore rientra per lo stesso datore estero (o gruppo), senza rapporti precedenti in Italia.
  • 7 anni: se il lavoratore rientra per lo stesso datore estero (o gruppo) con cui ha lavorato anche in Italia prima del trasferimento.
Appartenenza al medesimo gruppo societario La verifica dell’appartenenza delle società allo stesso gruppo ai sensi dell’art. 2359 c.c. è un accertamento di fatto e non può essere oggetto di interpello.
Verifica della residenza fiscale estera La determinazione dell’effettiva residenza fiscale all’estero è un accertamento di fatto e non può essere oggetto di interpello.
Requisiti di elevata qualificazione o specializzazione La valutazione del possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione è un accertamento di fatto e non può essere oggetto di interpello.
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