Reddito di cittadinanza: quando si configura il reato secondo le Sezioni Unite
Pubblicato il 14 dicembre 2023
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Le omesse o le false informazioni contenute nell'autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all'art. 7 del Dl n. 4/2019 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge.
E' quanto puntualizzato dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 49686 del 13 dicembre 2023, pronunciata a soluzione del contrasto interpretativo ad esse rimesso circa l'integrazione del reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza.
Sezioni Unite: sul RdC, reato ancora in vigore
Prima di procedere con l'esame delle due opposte tesi giurisprudenziali, le SU hanno dato conto del fatto che l'art. 1, comma 318, Legge n. 197/2022, ha abrogato, tra le altre norme, anche il richiamato art. 7, a decorrere, però, dal 1 gennaio 2024.
Come puntualizzato anche di recente in diversi arresti della giurisprudenza di legittimità, la fattispecie incriminatrice, pertanto, risulta essere tutt'ora in vigore.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno altresì rammentato come il Legislatore, nell'introdurre il cd. "assegno di inclusione", abbia contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 7, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023.
Omesse o false dichiarazioni: contrasto interpretativo sulla rilevanza penale
Fatta tale premessa, la disamina è stata focalizzata sui due diversi orientamenti affermatisi nella giurisprudenza in tema di configurazione del reato in parola.
Secondo un primo indirizzo, le false indicazioni od omissioni di informazioni dovute integrerebbero il reato indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio.
Il secondo ed opposto orientamento ritiene invece rilevanti, ai fini della configurazione del delitto di cui all'art. 7, solo le false indicazioni o le omissioni strumentali al conseguimento del beneficio, cui altrimenti l'agente non avrebbe diritto.
Ed è a questa seconda tesi che le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover aderire.
Secondo il massimo Collegio di legittimità, l'argomento utilizzato dal primo orientamento per sostenere l'irrilevanza della sussistenza dei requisiti per ottenere il Rdc si fonderebbe su un parallelismo e su una individuazione del bene tutelato dalla norma incriminatrice per nulla convincenti.
A conforto di tale indirizzo, in particolare, viene presa in considerazione la fattispecie penale prevista dall'ordinamento in materia di patrocinio a spese dello Stato.
Per le SU, tuttavia, vi sarebbe una diversità strutturale e funzionale tra i due reati:
- quello finalizzato all'ammissione del patrocinio a spese dello Stato è informato alla massima speditezza;
- quello finalizzato all'erogazione del Rdc, è "scandito da una sia pur minima istruttoria che, in ogni caso, non contempla l'intervento "sostitutivo" del richiedente il beneficio il quale non può autocertificare le informazioni mancanti o carenti".
Ulteriore argomento che osta a tale parallelismo è costituito dal fatto che oggetto della condotta decettiva tipizzata dalla prima fattispecie sono le informazioni ritenute necessarie per la ammissibilità della domanda, mentre oggetto della condotta sanzionata dall'art. 7 sono i dati essenziali all'erogazione stessa del beneficio.
Senza contare che - a detta delle SU - il generico "dovere di lealtà", posto a fondamento dell'indirizzo ermeneutico disatteso, "costituisce una giustificazione tautologica della potestà punitiva dello Stato che deve cedere il passo di fronte a possibili spiegazioni alternative della penale rilevanza della condotta più aderenti al principio di offensività".
In conclusione, il reato di cui all'art. 7 Dl n. 4/2019, è reato di pericolo concreto a consumazione anticipata, posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il Rdc, impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha (o non ne ha più) diritto o ne ha diritto in misura minore.
Tale fattispecie è posta a tutela del patrimonio dell'ente erogante e, in particolare, delle specifiche risorse destinate all'erogazione del beneficio ed al perseguimento del fine pubblico ad esso sotteso.
Questo, in definitiva, il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite:
Dichiarazione ISEE incompleta? Va accertato se incide sul beneficio
Il caso specificamente sottoposto all'esame delle Sezioni Unite riguardava un imputato, condannato per il reato in oggetto perché, al fine di ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza, aveva attestato, nella dichiaraziore ISEE, un valore del proprio patrimonio immobiliare inferiore a quello reale.
La Corte di appello, tuttavia, aveva omesso di accertare se, e in che misura, l'infedele rappresentazione della consistenza del patrimonio immobiliare dell'imputato poteva incidere sull'an o sul quantum del beneficio.
Peraltro, dalla lettura delle sentenze di primo e di secondo grado non emergeva l'irrilevanza della falsità e la persistente sussistenza delle condizioni per ottenere comunque il RdC.
Da qui la cassazione della decisione di condanna impugnata, con rinvio per un nuovo accertamento di merito.
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