Lo stato di necessità esclude la responsabilità amministrativa?
Pubblicato il 21 febbraio 2014
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Caio, amministratore unico di Gamma, conclude con Tizio un accordo di lavoro, invitandolo la mattina seguente a presentarsi in azienda per cominciare l’attività. Terminato il colloquio, Caio viene raggiunto da una telefonata di un proprio familiare che lo invita a recarsi tempestivamente all’ospedale a causa di un infortunio occorso a uno stretto congiunto. In ragione di tale evento, Caio omette d’informare il professionista di fiducia per effettuare gli adempimenti correlati all’assunzione di Tizio, tra i quali l’invio della comunicazione UNILAV. Il mattino seguente Tizio si presenta al lavoro e nel corso della prestazione arrivano in azienda gli ispettori della DTL, che accertano per Tizio l’assenza delle comunicazioni obbligatorie. All’esito delle verifiche gli ispettori qualificano in nero il rapporto di lavoro del predetto dipendente. Caio presenta scritti difensivi chiedendo l’esenzione di responsabilità, invocando lo stato di necessità. È plausibile la richiesta di Caio?
Premessa
Con l’espressione cause di giustificazione si allude a quelle circostanze in presenza delle quali un fatto espressamente previsto dalla legge come illecito, non acquista tale carattere, sul presupposto che il diritto positivo lo impone ovvero lo consente. Il fatto deve essere pertanto considerato ab origine lecito. Le cause di giustificazione tipiche sono previste dal c.p. agli artt. 50 e ss.. L’orientamento prevalente ritiene che le norme che prevedono cause di giustificazione non sono di natura penale, perché espressione di principi generali dell’ordinamento. Ciò implica che le esimenti non sarebbero sottoposte al principio della riserva di legge (con la consequenziale ammissione di cause di giustificazione atipiche) e al divieto di analogia ex art 14 delle preleggi. La ricorrenza di tali esimenti esclude qualsiasi profilo di responsabilità sia essa penale, civile, disciplinare, contabile e amministrativa. In corrispondenza alla disciplina penalistica l’art. 4 della L. n. 689/81 ha codificato le esimenti dell’esercizio del diritto, dell’adempimento del dovere, della legittima difesa e dello stato di necessità. L’applicazione della norma, in sede giurisprudenziale, si è concentrata prevalentemente sullo stato di necessità del quale passiamo ora a trattare.
Lo stato di necessità
Con riferimento all’applicazione delle cause di esclusione della responsabilità, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha osservato anche recentemente che “ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità in tema di sanzioni amministrative - previste dalla legge n. 689/1981 (Depenalizzazione), all’art. 4 in mancanza di ulteriori precisazioni - occorre fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale e segnatamente per quanto concerne lo stato di necessità, all’art. 54 c.p. […]”.
Tale norma prevede che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. La regola trasposta nel regime delle sanzioni amministrative suonerebbe nel senso che non soggiace alla sanzione colui che ha commesso il fatto altrimenti illecito, perché costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Onere della prova circa la ricorrenza dello stato di necessità
Preliminarmente va osservato che l’esimente dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato. All’uopo la giurisprudenza puntualizza che ove venga dedotta una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di una esimente reale o putativa, è sull’autore del fatto che “[…] incombe l’onere di provarne la sussistenza non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio”. L’allegazione in sostanza deve avere a oggetto dati di fatto concreti e tali da dimostrare la sussistenza di un pericolo:
-
attuale;
-
non altrimenti evitabile;
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tale da involgere un danno grave alla persona;
-
non riconducibile alla volontà dell’autore del fatto.
L’attualità del pericolo
Sul piano cronologico l’attualità richiama il concetto di imminenza del pericolo, che è tale allorché faccia sorgere nell’autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in stato di effettiva emergenza. Al contrario la giurisprudenza di legittimità non reputa “[…] sufficiente un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto”. L’imminenza del pericolo deve, in buona sostanza, precludere al soggetto la facoltà di effettuare una scelta oculata che postula un raffronto tra le varie alternative possibili in vista di una soluzione ottimale. Recente giurisprudenza amministrativa ha osservato che perché il pericolo sia imminente deve essere “[…] circoscritto nel tempo e nello spazio”. Con la conseguenza che occorre escludere “[…] tutte quelle situazioni di pericolo non contingenti caratterizzate da una sorta di cronicità essendo datate e destinate a protrarsi nel tempo”.
L’inevitabilità del pericolo
Quanto all’inevitabilità del pericolo lo stesso non deve lasciare all’agente altra alternativa che quella di violare la legge. In altre parole il pericolo non altrimenti evitabile postula una necessità inderogabile e cogente, sicché la condotta formalmente illecita viene a costituire l’unica via percorribile per l’autore del fatto. In via esemplificativa non sarebbe giustificabile colui che durante la guida risponda a una chiamata di emergenza inoltrata da propri familiari, mettendo così in pericolo sé e gli altri utenti della strada. In tale caso infatti il conducente dovrebbe opportunamente arrestare la marcia e posizionarsi in modo tale da non impegnare la circolazione stradale. Si consideri altresì che sulla scorta dell’inevitabilità il prevalente indirizzo pretorio esclude che il bisogno economico, all’alimentazione, alle cure mediche ed ai medicinali possa giustificare l’applicazione dell’art. 54 c.p. e per l’affetto l’art. 4 della L. n. 689 cit. “[…] salvi i casi più gravi caratterizzati dalla in dilazionabilità, poiché la moderna organizzazione sociale, venendo incontro agli indigenti, agli inabili al lavoro ed ai bisognosi in genere, con modalità e mezzi diversi, elimina per costoro il pericolo di restare privi di quanto occorre per le loro cure ed il loro sostentamento”.
Il danno grave alla persona
Il pericolo deve poi avere a oggetto un danno grave alla persona. L’orientamento prevalente ritiene che tale concetto non alluda solo alla morte o all’integrità psicofisica ma comprenda anche i diritti fondamentali della persona, tra i quali la giurisprudenza annovera anche il diritto di abitazione. La gravità può essere determinata mediante un criterio qualitativo, che tiene in considerazione il rango del bene minacciato ovvero quantitativo, che valuta l’intensità del pericolo che incombe sul bene.
L’involontarietà del pericolo
Essenziale è che la situazione di pericolo non deve essere causata dal soggetto agente, ma determinata da circostanze oggettive. Tale circostanza è espressa dalla formula normativa “pericolo non da lui volontariamente causato”. La giurisprudenza ritiene volontariamente causato e quindi inidoneo a giustificare l’applicazione dell’esimente de qua il pericolo colposamente determinato. Segnatamente può ritenersi tuttora valido l’insegnamento per cui “[…] tale eccezione comprende sia l’ipotesi che il pericolo sia stato determinato dolosamente, sia quella che sia stato causato colposamente, perché in entrambe le ipotesi la causa del pericolo è coscientemente voluta, mentre lo stato di necessità, per discriminare, deve essere determinato da cause fisiche o da cause umane estranee al soggetto che invoca a propria giustificazione lo stato di necessità”.
Il rapporto di proporzione tra fatto e pericolo
L’ultimo requisito richiesto è il rapporto di proporzione tra fatto e pericolo: l’orientamento dominante ritiene che tale rapporto deve avere a oggetto i beni configgenti, sicché sussisterebbe proporzione se il bene minacciato risulterebbe prevalente rispetto a quello sacrificato. La valutazione andrebbe effettuata ex-ante tenendo in considerazione i rischi incombenti sui beni medesimi.
Il caso concreto
Caio, amministratore unico di Gamma, ha concluso con Tizio un accordo di lavoro, invitandolo la mattina seguente a presentarsi in azienda per cominciare l’attività. Terminato il colloquio, Caio è stato raggiunto da una telefonata di un proprio familiare, che lo ha invitato a recarsi tempestivamente all’ospedale a causa di un infortunio occorso a uno stretto congiunto. In ragione di tale evento, Caio ha omesso d’informare il professionista di fiducia per effettuare gli adempimenti correlati all’assunzione di Tizio, tra i quali l’invio della comunicazione UNILAV. Il mattino seguente Tizio si è presentato al lavoro e nel corso della prestazione sono sopraggiunti in azienda gli ispettori della DTL, i quali hanno accertato per Tizio l’assenza delle comunicazioni obbligatorie. All’esito delle verifiche gli ispettori hanno qualificato in nero il rapporto di lavoro del predetto dipendente. Caio ha presentato degli scritti difensivi chiedendo l’esenzione di responsabilità, invocando lo stato di necessità. Secondo gli Scriventi non ricorrono gli estremi per l’applicazione dell’art. 4 della L. n. 689 cit., perché è sì possibile prospettare l’imminenza e l’involontarietà del pericolo, nonché del danno alla persona, ma tuttavia manca il requisito dell’inevitabilità del pericolo medesimo. Infatti, la situazione di urgenza occorsa al congiunto di Caio non precludeva a quest’ultimo di avvertire il professionista di effettuare gli adempimenti correlati all’assunzione di Tizio. Se poi tale circostanza non appariva percorribile, rimaneva in ogni caso per Caio la possibilità di contattare Tizio invitandolo a procrastinare il suo ingresso al lavoro, almeno fino al tempo occorrente per l’effettuazione delle comunicazioni di legge. In altre parole, nel caso non pare che possa ritenersi sussistente una necessità inderogabile e cogente, tale da precludere all’autore del fatto la possibilità di tenere una condotta differente da quella formalmente vietata.
NOTE
i Cass. civ. Sez. II, 18/10/2011, n. 21515.
ii Cass. pen. Sez. VI, 21/03/2012, n. 18711 Cass. pen. Sez. I, 22/04/2009, n. 19341.
iii Cass. civ. Sez. II, 18/10/2011, n. 21515; App. Milano Sez. III, 25/05/2011; Cass. civ. Sez. II, 26/03/2007, n. 7357.
iv Cass. pen. Sez. V, 30/04/2010, n. 26159; Cass. pen. Sez. VI, 07-05-2009, n. 34595.
v T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 08/11/2012, n. 2701.
vi App. Napoli Sez. I, 17/06/2013.
vii Cass. civ. Sez. II, 26/04/2007, n. 9940.
viii Trib. Trento, 10/05/2013, nella giurisprudenza di legittimità Cass. pen. Sez. VI Sent., 19-03-2008, n. 27049; Cass. pen. Sez. III, 26-04-2006, n. 16056 (rv. 234334) cfr. difforme Trib. Milano, 28/01/2010.
ix Cass. pen. Sez. VI, 10-11-2010, n. 42928.
x Trib. Perugia, 06/03/2012.
xi Cass. pen. Sez. II, 11/02/2011, n. 8724; Cass. pen. Sez. II Sent., 17/01/2008, n. 7183; App. Palermo Sez. III, 06/02/2013; Trib. Milano, 14/01/2013.
xii Cass. civ. Sez. I, 10/01/2005, n. 287.
xiii Cass. pen. Sez. V, 23-03-2005, n. 16012.
xiv Cass. pen. Sez. IV, 21/01/1963.
xv Cass. pen. Sez. I Sent., 08-11-2007, n. 4060.
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