Licenziamento del whistleblower: può essere ritorsivo anche se c'è giusta causa
Pubblicato il 10 maggio 2024
In questo articolo:
- Licenziamento disciplinare del whistleblower: ritorsivo?
- Contesto del caso di licenziamento del whistleblower
- La decisione della Corte di appello
- L'intervento della Corte di cassazione
- Critiche alla valutazione delle prove
- Valutazione del ruolo di whistleblower
- I precedenti giurisprudenziali richiamati dalla Cassazione
- Le conclusioni della Corte di cassazione
- Tabella di sintesi della sentenza
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Nella causa in cui si contesti la ritorsività di un licenziamento disciplinare vanno attentamente considerate le denunce presentate dal dipendente come whistleblower, anche se l'addebito disciplinare non è direttamente collegato ad esse.
Per la Cassazione, infatti, occorre un'accurata valutazione delle responsabilità e del contesto in cui il licenziamento è avvenuto.
Licenziamento disciplinare del whistleblower: ritorsivo?
Con sentenza n. 12688 del 9 maggio 2024, la Corte di cassazione si è pronunciata sulla vicenda di un dipendente pubblico che lamentava la natura ritorsiva del licenziamento per giusta causa comminatogli dal datore di lavoro.
Contesto del caso di licenziamento del whistleblower
L'accusa e il licenziamento iniziale
Il dipendente, dirigente dell'area amministrativa, era stato licenziato a seguito dell'accusa di non aver adeguatamente gestito un avviso di accertamento fiscale per un importo di 4milioni di euro, che avrebbe potuto avere gravi ripercussioni finanziarie per l'azienda.
Al dipendente era stato contestato di essere rimasto inerte non avendo impugnato l'avviso, nonostante avesse le competenze e le informazioni necessarie per farlo.
La condotta del lavoratore era stata considerata una grave negligenza professionale, sufficiente per giustificare un licenziamento per giusta causa.
Le segnalazioni di condotta illecita e la protezione del whistleblower
Prima delle contestazioni disciplinari, il dipendente aveva effettuato diverse segnalazioni di condotte illecite interne all'azienda.
Queste segnalazioni, che includevano presunte irregolarità gestionali che aveva comunicato all'ANAC e alla Procura Regionale della Corte dei Conti, avevano delineato un quadro di presunta malgestione da parte dei vertici aziendali.
La decisione della Corte di appello
La Corte di Appello aveva respinto il ricorso presentato dal dipendente, confermando il licenziamento per giusta causa.
Le motivazioni della Corte di secondo grado si sono concentrate sulla valutazione delle responsabilità dirette del dirigente nella gestione dell'avviso di accertamento fiscale non contestato.
Secondo la Corte, il dipendente aveva piena conoscenza e competenza necessaria per intervenire, e il suo mancato agire costituiva una negligenza tale da compromettere la fiducia lavorativa richiesta dal suo ruolo.
In tale contesto, la medesima Corte d'appello aveva ritenuto che non fosse necessario esaminare l'ipotesi del licenziamento ritorsivo, data la presenza di una giusta causa.
L'intervento della Corte di cassazione
Il dipendente si era rivolto alla Corte di Cassazione per impugnare la decisione della Corte di Appello.
Nel suo ricorso in Cassazione, il dipendente aveva evidenziato la necessità di una più approfondita valutazione delle prove e dalla questione della protezione del whistleblower, aspetti che il ricorrente riteneva non fossero stati adeguatamente considerati.
Critiche alla valutazione delle prove
Nella sua disamina, la Corte di cassazione ha criticato, in primo luogo, il modo in cui la Corte di Appello aveva gestito le prove.
Era mancato, in particolare, un adeguato approfondimento delle responsabilità specifiche del dipendente nella gestione dell'accertamento fiscale.
Non era stata data sufficiente attenzione, ossia, alle competenze e alle autorizzazioni effettive del dipendente.
Questo poneva in dubbio la base della giusta causa di licenziamento.
Valutazione del ruolo di whistleblower
Importante è stata anche la riconsiderazione del ruolo del dipendente come whistleblower.
Secondo la Corte di cassazione, infatti, la sentenza impugnata non aveva adeguatamente considerato le denunce presentate dal dipendente come whistleblower, relative a condotte illecite all'interno.
La Corte ha evidenziato l'importanza di non penalizzare i dipendenti che agiscono nell'interesse pubblico rivelando irregolarità interne, rafforzando la tutela prevista dalla legge.
Nello specifico - si legge nella decisione della Cassazione - anche se il fatto omissivo contestato al dipendente "non appare in sé direttamente collegabile alle denunce dallo stesso presentate, tuttavia è il contesto in cui l’addebito disciplinare si inserisce e il dedotto esautoramento di attribuzioni, anche in un’ottica di individuazione delle competenze del predetto, che assumono rilevanza al fine di meglio delineare la relativa responsabilità".
Per la Cassazione, infine, la Corte d'appello non aveva sufficientemente motivato il collegamento tra la condotta contestata e la presunta lesione del vincolo fiduciario, né chiarito le specifiche violazioni contrattuali alla base del licenziamento.
I precedenti giurisprudenziali richiamati dalla Cassazione
Nella propria disamina, la Corte di legittimità ha richiamato diversi precedenti giurisprudenziali in materia di licenziamento ritorsivo e tutela del whistleblower.
E così:
"l’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l'onere di dimostrare l'illiceità del motivo unico e determinante (l'intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso".
Inoltre:
"la segnalazione ex art. 54-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 (cd. “whistleblowing”) sottrae alla reazione disciplinare del soggetto datore tutte quelle condotte che, per quanto rilevanti persino sotto il profilo penale, siano funzionalmente correlate alla denunzia dell'illecito, risultando riconducibili alla causa di esonero da responsabilità disciplinare di cui alla norma invocata".
Le conclusioni della Corte di cassazione
In conclusione, la Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d'Appello e ha rinviato il caso per un nuovo esame, sottolineando la necessità di una più accurata valutazione:
- delle responsabilità del dipendente;
- del contesto in cui il licenziamento era avvenuto, incluse le attività di segnalazione di condotte illecite.
Tabella di sintesi della sentenza
Sintesi del Caso | Un dipendente pubblico, con funzioni di dirigente, è stato licenziato per non aver impugnato un avviso di accertamento fiscale di importo significativo. Prima del licenziamento, aveva segnalato condotte illecite all'ANAC e alla Procura Regionale della Corte dei Conti. |
Questione Dibattuta | Il dibattito è focalizzato sulla validità del licenziamento per giusta causa. Il datore di lavoro sosteneva che il dipendente avesse trascurato i suoi doveri. Inoltre, si è discusso se il licenziamento fosse in realtà una ritorsione per le sue attività di whistleblowing. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte di Appello, sostenendo che non fossero state adeguatamente valutate le prove e le responsabilità specifiche del dipendente, e che non fosse stato considerato correttamente il suo ruolo di whistleblower. La causa è stata rinviata per un nuovo esame. |
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