Licenziamento ritorsivo e onere della prova: la Cassazione fa il punto

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Licenziamento ritorsivo e onere della prova: la Cassazione fa il punto

Con l’ordinanza n. 23702 depositata il 3 agosto 2023 gli Ermellini tornano ad occuparsi del dibattuto tema del licenziamento per ritorsione o licenziamento ritorsivo.

Destinatario del contestato provvedimento espulsivo è un dirigente di banca licenziato a seguito di una supposta riorganizzazione aziendale.

Ma andiamo con ordine partendo dalla vicenda giudiziaria.

Licenziamento del dirigente: ritorsivo o economico?

Un dirigente bancario porta in giudizio la datrice di lavoro che gli aveva comunicato il licenziamento per motivi economici.

La sentenza di primo grado dà ragione al lavoratore, dichiarando la nullità del licenziamento ritenuto ritorsivo sulla scorta di una serie di elementi indiziari e condannando la banca alla reintegrazione del dirigente nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni globali di fatto dalla data del recesso fino a quella della effettiva riammissione in servizio, oltre al versamento dei contributi previdenziali, accessori e spese.

La sentenza è stata successivamente confermata in appello. La Corte territoriale ha infatti ritenuto non compiutamente provate la “profonda riorganizzazione” posta dalla società a fondamento del recesso nonché “le mutate esigenze che hanno imposto in un breve lasso di tempo la soppressione della posizione direction e il collocamento dell’area direction in altra direzione aziendale”.

Mancava poi la prova delle ragioni che avevano indotto la società a licenziarlo in luogo di un altro dirigente proposto alla direzione.

Inoltre, era risultata smentita la circostanza, indicata nella lettera di licenziamento, che non vi fossero altre posizioni aziendali coerenti con il profilo del dirigente licenziato e era infine emerso che quest’ultimo aveva assunto, nei mesi immediatamente precedenti alla data del licenziamento, iniziative in contrasto con gli interessi e la volontà dell’amministratore della società.

A suggello della natura ritorsiva del recesso, la Corte territoriale aveva addotto anche il mancato rilascio, al dirigente, da parte della Banca, della attestazione di good leaver.

Avverso la sentenza di secondo grado la società datrice di lavoro propone ricorso per cassazione contestando il mancato esame delle argomentazioni, delle prove e delle testimonianze emerse nel giudizio di merito. 

La dichiarata ritorsività del licenziamento, afferma la datrice di lavoro, si fonderebbe “su mere presunzioni, che non sono certamente gravi, precise e concordanti” e “circostanze che non corrispondono alla realtà (e che sono contraddette sia documentalmente che dai testimoni)”, negando peraltro l’oggettiva riorganizzazione e soppressione della posizione del dirigente espulso.

Nullità del licenziamento e onere probatorio

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 23702 depositata il 3 agosto 2023, ritiene tali motivi di ricorso inammissibili sulla scorta dei seguenti rilievi:

1) è principio di diritto affermato dalla Cassazione (il richiamo specifico è alle più recenti sentenze Cass. n. 6838 del 2023; Cass. n. 26399 del 2022; Cass. n. 26395 del 2022; Cass. n. 21465 del 2022) che”, per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l'intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso (Cass. n. 14816 del 2005; Cass. n. 3986 del 2015; Cass. n. 9468 del 2019), dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 5555 del 2011)”;

2) l’onere della prova ricade sul lavoratore (art. 2697 c.c., non operando l’art. 5 l. n. 604 del 1966) e lo stesso può essere assolto anche mediante presunzioni (Cass. n. 20742 del 2018; Cass. n. 18283 del 2010). Il giudice di merito può “valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo di recesso, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (Cass. n. n. 23583 del 2019)”;

3) a fronte dell’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli, il datore di lavoro può provare (art. 5, l. n. 604 del 1966), l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso. Se la prova è almeno apparentemente fornita, il lavoratore ha l'onere di dimostrare l'intento ritorsivo e, dunque, l'illiceità del motivo unico e determinante del recesso (Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 27325 del 2017; Cass. n. 26035 del 2018).

La ricostruzione dei fatti e il ragionamento indiziario svolto dai giudici del merito che hanno indotto a ritenere la natura ritorsiva del recesso è frutto di un accertamento di fatto, non suscettibile di riesame in sede di legittimità.

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