False fatture ed usura. Condanna non definitiva, sì alla confisca
Pubblicato il 07 settembre 2017
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La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha confermato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, nonché la confisca avente ad oggetto immobili ed i saldi di alcuni conti correnti intestati ad un imputato ed alla di lui moglie. Ciò anche in assenza di condanna penale definitiva.
L’imputato in questione, in particolare, era sottoposto ad indagine dalla Guardia di finanza, nell’ambito di un procedimento penale con esito non ancora irrevocabile, per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e per reato di usura. Le suindicate misure di prevenzione, compresa la confisca di immobili e conti correnti, venivano motivate stante l’accertata ed attuale pericolosità sociale del soggetto, in quanto orientato stabilmente – secondo i Giudici di merito - alla consumazione di traffici di reato, ed a vivere, anche in parte, con i proventi di detti reati.
Giudice della prevenzione, può trarre elementi probatori dai procedimenti penali in corso
Previsione, quest’ultima, censurata dalla difesa dell’imputato, secondo cui erroneamente i Giudici avrebbero applicato le misure di prevenzione traendo spunto dagli elementi probatori del procedimento penale non ancora definitivo. La Suprema Corte, tuttavia, controbatte affermando la piena autonomia dei due tipi di procedimenti – quello penale e quello di prevenzione – con conseguente ampia libertà di cognizione da parte del giudice della prevenzione nell’apprezzamento degli atti probatori tratti dai procedimenti penali in corso; apprezzamento svincolato dal rispetto obbligatorio delle regole di giudizio proprie del dibattimento penale in tema di prova indiziaria e di prova dichiarativa, con gli unici limiti di non fare ricorso a prove vietate e di dar conto delle ragioni per le quali da quegli elementi si traggono i presupposti applicativi della misura imposta.
Orbene nel caso di specie – si legge nella sentenza n. 40552 del 6 settembre 2017 – ampia è la disamina delle risultanze investigative riportate nel decreto impugnato, con specifico riferimento alle dichiarazioni rese dalle vittime del reato di usura, agli elementi documentali acquisiti, alle circostanze emergenti dal procedimento penale non ancora irrevocabile, tuttavia sottoposte ad un puntuale esame critico. Per cui ne è risultata l’esistenza, sul piano della realtà, di specifiche circostanze fattuali che hanno consentito la ricostruzione della condotta dell’imputato e la sua incidenza sul giudizio di pericolosità sociale. Il tutto con motivazione esistente, effettiva e scevra dai vizi denunciati.
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