Dimissioni per fatti concludenti: stop alla NASpI

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Dimissioni per fatti concludenti: stop alla NASpI

Via libera alle dimissioni per fatti concludenti derivanti da assenze ingiustificate del prestatore d’opera.

La novità, contenuta nell’art. 19, del Collegato lavoro approvato dal Senato lo scorso 11 dicembre 2024, punta ad arginare il fenomeno delle assenze strategiche che costringono, di fatto, il datore di lavoro ad attivare la procedura disciplinare prescritta dall’art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300, per poi arrivare al licenziamento disciplinare con conseguente obbligo di versamento del c.d. ticket di licenziamento.

La norma in argomento punta, dunque, a riequilibrare le posizioni dei contraenti, prevedendo in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale applicato o, in mancanza, superiore a 15 giorni, la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore, previa comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Ciò sempreché il prestatore non dimostri l’impossibilità, per cause di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza.

Le novità del Collegato lavoro

L’articolo 19, della novella in commento, introduce all’art. 26, decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, il nuovo comma 7-bis, a mente del quale in caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a 15 giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima.

Al ricorrere della predetta fattispecie, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo.

NOTA BENE: Le nuove disposizioni si incardinano nel sopracitato art. 26, decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, che ha introdotto nel nostro ordinamento, al fine di arginare l’annosa questione delle dimissioni in bianco, la procedura telematica di dimissioni ovvero di risoluzione consensuale dal rapporto di lavoro a pena di inefficacia.

Pertanto, a decorrere dall’entrata in vigore della norma in commento, dal diciassettesimo giorno di assenza ingiustificata il datore di lavoro potrà intendere risolto il rapporto di lavoro per volontà del lavoratore, senza necessità di attendere l’esecuzione della procedura telematica ministeriale ordinariamente prevista, trasmettendo oltre la consueta comunicazione obbligatoria di cessazione un’ulteriore annotazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro che avrà facoltà di verificarne l’effettiva veridicità.

Naturalmente, qualificare il motivo della cessazione del rapporto di lavoro per volontà del lavoratore, e quindi per dimissioni, esenta il datore di lavoro dal versamento del c.d. ticket di licenziamento previsto dall’art. 2, legge n. 92/2012, pari al 41% del massimale mensile di NASpI per ogni 12 mesi di anzianità di servizio negli ultimi 3 anni.

Lo strumento, seppur fortemente auspicato al fine di contrastare fenomeni elusivi già noti alle aule giudiziarie, presenta, però, alcune discrasie che potrebbero diventare nuova fonte di contenzioso, complicando inevitabilmente ciò che oggi si intende semplificare.

Precedenti giurisprudenziali

Non è certamente passata inosservata ai professionisti del settore la sentenza 30 settembre 2020, n. 106, del Tribunale di Udine che ha affermato che l’azienda indotta a licenziare il dipendente per assenza ingiustificata specificatamente posta in essere per ottenere il sussidio di disoccupazione ha diritto al rimborso del ticket di licenziamento.

Nel caso affrontato dal giudicante, il lavoratore aveva espressamente comunicato la propria intenzione di dimettersi per motivi personali chiedendo, però, formalmente di essere licenziato per poter beneficiare del trattamento NASpI. A seguito della risposta negativa del datore di lavoro, il prestatore d’opera decideva di assentarsi ingiustificatamente dal posto di lavoro costringendo, di fatto, l’azienda ad avviare un procedimento disciplinare con conseguente recesso datoriale e versamento del consueto contributo di finanziamento della NASpI.

Nella fattispecie, il giudice evidenziava che le assenze poste in essere dal lavoratore attuate con il solo scopo di farsi licenziare, non potevano gravare sulla posizione giuridica del datore di lavoro, di talché il prestatore d’opera è stato chiamato a rifondere alla società le somme da questa sostenute a titolo di ticket di licenziamento.

Problematiche aperte e dimissioni per fatti concludenti

L’analisi letterale del nuovo comma 7-bis, fissa, preliminarmente, un termine minimo superiore a 15 giorni per poter considerare risolto per volontà del lavoratore il rapporto di lavoro, eventualmente demandando al contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro una diversa previsione che parrebbe non debba essere necessariamente migliorativa rispetto alle previsioni legali appena citate.

Al riguardo, la prima delle questioni attiene al conteggio delle giornate utili per la realizzazione delle dimissioni per fatti concludenti, in assenza di specifici chiarimenti che riconducano detta verifica a “giornate di calendario” ovvero a “giornate di effettivo lavoro”.

Specificatamente, nel silenzio del legislatore, voglia condividersi l’assunto secondo cui la realizzazione della fattispecie incriminatrice dell’assenza ingiustificata (…) protratta (…) per un periodo superiore a 15 giorni – salvo diversa disposizione del contratto collettivo – debba considerarsi necessariamente in “giorni lavorabili”, non realizzandosi – di fatto – alcuna assenza nelle giornate “di calendario” in cui non è richiesta alcuna prestazione lavorativa. E ciò diventerebbe notevolmente più oneroso laddove voglia considerarsi che detto termine per un lavoratore con contratto di lavoro a tempo parziale verticale. 

Successivamente, al realizzarsi della condizione sopra rappresentata, il datore di lavoro ha l’obbligo di darne comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, identificabile, a parere di chi scrive, nella sede amministrativa di competenza in cui si svolge effettivamente la prestazione lavorativa. 

Al riguardo, la norma prevede espressamente la facoltà, e non l’obbligo, dell’Ente ispettivo di verificarne la veridicità della comunicazione, sicché il datore di lavoro non dovrà attendere alcuna convalida, informativa o comunicazione, per considerare risolto il rapporto per volontà del lavoratore.

L’ultimo periodo del comma 7-bis, inoltre, fa salvo il rapporto di lavoro nel caso in cui il lavoratore dimostri l’impossibilità, per cause di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.

Sebbene la procedura conduca verso una tipologia di risoluzione economicamente più conveniente per il datore di lavoro, si ritiene comunque opportuno procedere, quantomeno in via preventiva, con l’apertura di un procedimento disciplinare ex art. 7, legge 20 maggio 1970, n. 300, rilevando la ingiustificata assenza dal luogo di lavoro.

In particolare, il termine oggi prescritto per considerare risolto il rapporto di lavoro va attentamente ponderato rispetto alle disposizioni di derivazione collettiva inerenti alla disciplina del procedimento disciplinare ed all’esecuzione delle relative tempistiche di notifica del provvedimento consequenziale.

A mero titolo esemplificativo, il CCNL del comparto metalmeccanica industria prevede espressamente un termine di 5 giorni per la presentazione delle giustificazioni successive alla notifica dell’apertura del procedimento disciplinare e, soprattutto, un ulteriore termine di 6 giorni, decorrenti dalla scadenza del termine delle predette giustificazioni, per la comunicazione del provvedimento.

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