Danno da demansionamento: rileva anche il mancato aggiornamento

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Danno da demansionamento: rileva anche il mancato aggiornamento

Cassazione: il danno da demansionamento include il mancato aggiornamento

Con ordinanza n. 3400 del 10 febbraio 2025, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, è stata chiamata a pronunciarsi su un ricorso presentato da un’azienda del settore delle telecomunicazioni contro un ex dipendente, il quale aveva ottenuto in sede di merito il riconoscimento di un demansionamento subito per tre anni.

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione del Tribunale, accertando che le mansioni assegnate al lavoratore non corrispondevano al livello contrattuale previsto e condannando la società alla reintegrazione e al risarcimento per danno alla professionalità, liquidato in 1.000 euro per ogni mese di dequalificazione.

L’azienda aveva impugnato la sentenza sostenendo che il dipendente continuava a svolgere attività tecniche di rilievo e contestando l’entità del risarcimento.

La Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate le censure della società. Ha confermato che il demansionamento era effettivo e che il danno alla professionalità era stato correttamente quantificato, in quanto il lavoratore era stato privato della possibilità di aggiornarsi tecnologicamente in un settore caratterizzato da un rapido sviluppo.

Il mancato aggiornamento tecnologico come danno risarcibile

Uno degli aspetti centrali dell’ordinanza riguarda il mancato aggiornamento tecnologico come fattore determinante per la quantificazione del danno alla professionalità.

La Corte ha riconosciuto che la perdita di competenze derivante dal demansionamento prolungato rappresenta un danno concreto e risarcibile.

Il settore in cui operava il lavoratore era caratterizzato da una continua evoluzione tecnologica, che rendeva l’aggiornamento professionale un elemento essenziale per garantire la competitività e la crescita lavorativa.

Nella specie, quindi, l’assegnazione del dipendente a compiti di livello inferiore lo aveva privato della possibilità di acquisire nuove competenze e di mantenere aggiornate quelle già in possesso, ostacolando la sua futura occupabilità.

Non solo. Il comportamento del datore di lavoro, che aveva mantenuto il lavoratore in una posizione dequalificante per un periodo di tre anni, aveva aggravato il danno subito.

L’azienda non aveva adottato misure per ripristinare il corretto inquadramento o per consentire un adeguato sviluppo professionale del dipendente, determinando così un danno professionale significativo.

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