Amianto, datore condannato se è accertata la causalità individuale

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Amianto, datore condannato se è accertata la causalità individuale

Alla tesi dell'effetto acceleratore - secondo la quale un'esposizione all'amianto che dura nel tempo favorisce e accelera i passaggi di sviluppo del mesotelioma pleurico - non può essere dato il valore di legge universale, avendo, il suo enunciato, indiscusso carattere statistico-probabilistico.

Non essendo, così, una legge universale ma probabilistica, l'effetto acceleratore può dirsi riscontrato, sulla base dei dati statistici, per una certa percentuale dei casi esaminati, ma non in tutti.

Esposizione ad amianto e mesotelioma, effetto acceleratore come probabilità

E' quanto puntualizzato dalla Corte di cassazione nel testo della sentenza n. 44349 del 6 novembre 2023, con cui ha annullato, con rinvio, le condanne impartite dalla Corte d'appello ad alcuni titolari di incarichi apicali della marina militare, ritenuti responsabili dei reati di omicidio colposo, aggravato dalla violazione della disciplina per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di diversi marinai deceduti per mesotelioma pleurico.

Ebbene, nella vicenda esaminata, la Cassazione ha rilevato un'evidente erroneità sul piano della valutazione della affermata relazione causale.

La Corte territoriale, in particolare, aveva assunto la validità scientifica della tesi (statistico-probabilistica) dell'effetto acceleratore per affermare, sul diverso piano della causalità individuale, che ogni esposizione significativa era stata causalmente rilevante e tale da determinare l'accelerazione dell'evento anche con riferimento a ciascuna persona esposta.

L'effetto acceleratore - per i giudici di merito - era una conseguenza inevitabile della protratta esposizione ad amianto, cui andava incontro ogni soggetto deceduto a causa di mesotelioma pleurico asbesto correlato.

Ragionamento, queste, non condiviso dagli Ermellini in quanto basato sull'attribuzione, alla tesi dell'effetto acceleratore, del valore di legge universale.

Tale tesi, tuttavia, non è una legge universale, ma solo una probabilità.

E difatti, una legge scientifica avente valore statistico - come appunto quella del c.d. effetto acceleratore - non può essere, per definizione, considerata una legge universale (intesa come legge esplicante una immancabile e specifica relazione di causa-effetto) ma solo probabilistica, in quanto espressione di una regola desunta da studi statistici, secondo i quali l'accelerazione/anticipazione dell'evento, nei soggetti esposti, si produce con una certa percentuale di frequenza statistica tra le persone oggetto di studio ma non, immancabilmente, nei confronti di tutti i singoli componenti di quel gruppo di individui.

Questo non significa che la legge probabilistica non possa essere utilizzata per argomentare in materia di causalità.

Per la Corte, infatti, qualsiasi ragionamento causale in ambito giudiziario non può basarsi soltanto su inferenze di tipo nomologico-deduttivo, affidate esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali, ma può e deve fare riferimento anche a leggi statistiche, dotate di determinati coefficienti di probabilità, fra cui rientrano a pieno titolo le rilevazioni epidemiologiche.

Modello bifasico per la verifica causale

La verifica causale richiesta al giudice non può, quindi, prescindere dall'adozione del c.d. modello bifasico - di cui al fondamentale insegnamento della sentenza a S.U. Franzese (n. 30328/2002) - secondo cui l'indagine causale deve passare:

  • da una prima fase, in cui viene riconosciuta, sulla base di una legge probabilistica, la sussistenza di una generale (non immancabile ma possibile) relazione causale tra un fatto ed un evento;
  • ad una seconda fase, in cui occorre trovare nei fatti processualmente emersi la conferma o, per meglio dire, la corroborazione dell'ipotesi derivante dalla generalizzazione probabilistica.

Si tratta, insomma, di valutare i fatti e i dati probatori, al fine di stabilire se essi siano idonei a corroborare l'ipotesi in ordine alla sussistenza del nesso causale fra una condotta umana e l'evento di cui si discute.

Nella vicenda esaminata, la Corte d'appello aveva completamente omesso di svolgere tale valutazione bifasica al fine di affermare o meno la effettiva verificazione dell'accelerazione dell'evento nei casi, sottoposti alla sua attenzione, di decessi dovuti a mesotelioma pleurico.

La sentenza, in particolare, non aveva minimamente affrontato la problematica dell'accertamento della causalità individuale in rapporto alla tesi del c.d. effetto acceleratore.

La Corte di merito, in definitiva, si era mostrata consapevole del fatto che la tesi dell'effetto acceleratore costituisce un elemento fondamentale per rendere causalimente rilevanti, indistintamente, tutte le esposizioni dei lavoratori ad amianto nei vari sub-periodi in cui si erano succeduti gli imputati nella posizione di soggetto "garante" della incolumità fisica delle persone offese.

Tuttavia, la motivazione offerta sul tema della causalità nei decessi per mesotelioma era largamente carente, illogica e non rispettosa degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento del nesso causale, con specifico riferimento "alla necessaria verifica dell'inveramento del ripetuto effetto acceleratore a livello di causalità individuale".

Tumore polmonare, ruolo concausale di amianto e fumo

Nella medesima decisione, i giudici di Piazza Cavour hanno invece confermato la penale responsabilità dei vertici della marina per il reato di omicidio colposo nei confronti di un meccanico navale, deceduto questa volta per carcinoma polmonare metastatizzato, dovuto a prolungata esposizione ad amianto nei luoghi di lavoro.

Nello specifico, i periti consultati avevano inequivocabilmente concluso nel senso che, pur tenuto conto dell'accertata qualità di fumatore del soggetto in esame, la prolungata esposizione della vittima ad amianto "ha avuto un ruolo concausale con il fumo di sigaretta nella genesi del tumore polmonare" che lo aveva portato al decesso.

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