Voluntary Disclosure: il rigetto della domanda è impugnabile

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Voluntary Disclosure: il rigetto della domanda è impugnabile

Può essere impugnato il provvedimento con cui il Fisco rigetta l'istanza di collaborazione volontaria (cd. Voluntary Disclosure) avanzata dal contribuente.

Lo ha puntualizzato la Corte di cassazione con ordinanza n. 1335 del 12 gennaio 2024 nel respingere il motivo con cui l'Agenzia delle Entrate si era opposta a una decisione di merito.

Con il predetto motivo, l'Ufficio finanziario aveva lamentato l'inammissibilità dell'originario ricorso sollevato dal contribuente stante la natura endoprocedimentale del provvedimento impugnato, rappresentato da una mera comunicazione informativa non contenente alcuna pretesa tributaria e non ricompresa nell'elenco tassativo di cui all'art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992.

La Suprema corte, dopo aver rammentato la natura tassativa, in tema di contenzioso tributario, degli atti impugnabili, ha altresì ricordato come tale natura non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, laddove con gli stessi l'Ufficio finanziario porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche.

E' infatti possibile un'interpretazione estensiva delle disposizioni in materia fiscale e ciò in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento dell'amministrazione, anche in considerazione dell'ampliamento della giurisdizione tributaria.

Nella vicenda esaminata, così, è stata confermata l'impugnabilità del provvedimento di rigetto all'istanza di Voluntary Disclosure, promossa dal contribuente.

La predetta impugnabilità - ha evidenziato la Cassazione - consegue alla configurabilità di tale procedura come strumento di definizione agevolata che presuppone già un debito tributario.

Il rigetto della domanda di collaborazione volontaria - conclude la Corte - è da ritenersi equiparabile al rigetto di una domanda di definizione agevolata: si tratta sempre di atti incidenti su rapporto tributario impositivo, dove sussiste l'interesse attuale, concreto ed economicamente valutabile del contribuente ad ottenere una diversa definizione del rapporto tributario, di tal ché ne può essere valutata, nel merito, la sussistenza o meno delle condizioni.

Violazione di circolari ministeriali? Non può essere motivo di ricorso

Nella medesima decisione, gli Ermellini hanno altresì respinto, giudicandolo inammissibile, l'ulteriore motivo di ricorso con cui l'Amministrazione finanziaria aveva censurato, per violazione di legge. il mancato rispetto di un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate e di due circolari ministeriali, afferenti rispettivamente la procedura di rientro effettivo delle somme oggetto di collaborazione volontaria e la prova del loro rientro.

Le circolari - ha evidenziato la Corte - non contengono norme di diritto, bensì disposizioni di indirizzo uniforme interno all’amministrazione da cui esse promanano.

Queste caratteristiche ne evidenziano la natura di meri atti amministrativi non provvedimentali che, come tali, non possono fondare posizioni di diritto soggettivo in capo a soggetti esterni all’amministrazione stessa.

La violazione delle circolari ministeriali, dunque, non può costituire motivo di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione di legge.

A tale regola non si sottraggono le circolari dell’Amministrazione finanziaria, essendo, quest'ultima, priva di poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute, regolata per legge.

Le relative circolari, dunque, non vincolano né i contribuenti né i giudici, risultando, appunto, anch’esse esenti dal controllo di legittimità.

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