Entrate: effetti fiscali su concordato e branch exemption
Pubblicato il 22 agosto 2025
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L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 221 del 21 agosto 2025, ha esaminato i riflessi fiscali connessi ad alcune operazioni straordinarie di ristrutturazione poste in essere nell’ambito di un concordato preventivo in continuità aziendale.
In particolare, l’Amministrazione finanziaria si è soffermata sugli effetti tributari derivanti da un articolato piano di risanamento e riorganizzazione societaria, realizzato attraverso conferimenti, scissioni e gestione di stabili organizzazioni estere in regime di branch exemption.
Quesiti posti
Una società (Beta S.p.A.), che operava anche all’estero tramite branch in regime di branch exemption (BEX), ha avviato una procedura di concordato preventivo in continuità aziendale.
Nel corso della ristrutturazione:
- i creditori sono stati soddisfatti tramite l’assegnazione di nuove azioni e strumenti finanziari partecipativi (SFP);
- alcuni rami d’azienda sono stati conferiti a nuove società controllate;
- si è realizzata una scissione parziale di Beta a favore della controllante Alfa, con trasferimento ad Alfa di tutte le branch estere.
Nel frattempo si sono verificate alcune operazioni con impatti fiscali, tra cui:
- il trasferimento di crediti esteri alla casa madre;
- la creazione di una riserva IFRS 2 per gestire i creditori chirografari non ancora definiti;
- la rilevazione di sopravvenienze attive da esdebitazione.
Alla luce di ciò, le società hanno chiesto chiarimenti all’Agenzia delle Entrate, in particolare su:
- come valorizzare fiscalmente il trasferimento delle branch in scissione (a valori di mercato o in continuità);
- se i redditi o le perdite maturati in regime BEX, ma che diventano rilevanti dopo l’uscita dal regime, debbano essere tassati in capo ad Alfa;
- la qualificazione delle riserve IFRS 2 e la loro eventuale natura di capitale o di utili ai fini fiscali.
Trasferimento di branch in regime BEX
L’articolo 14 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, intitolato Misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese e adottato in attuazione dell’articolo 12 della legge 11 marzo 2014, n. 23, ha introdotto nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, l’articolo 168-ter, dedicato all’”Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti”.
L’articolo 168-ter TUIR, successivamente modificato dall’articolo 5, comma 2, lettera h), del D.lgs. 29 novembre 2018, n. 142 (Decreto ATAD), disciplina il regime opzionale della cosiddetta branch exemption. Questo regime consente a un’impresa residente in Italia (indicata anche come casa madre) di escludere dal calcolo del proprio reddito complessivo i risultati – positivi o negativi – derivanti dalle sue stabili organizzazioni estere (branch).
Tale meccanismo rappresenta un’eccezione rispetto al principio ordinario di worldwide taxation, secondo cui lo Stato italiano tassa tutti i redditi prodotti, ovunque conseguiti, da un soggetto fiscalmente residente in Italia.
Le regole operative per esercitare l’opzione sono stabilite dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 165138 del 28 agosto 2017 (Provvedimento BEX).
Secondo la risposta n. 221 del 21 agosto 2025 fornita dall’Agenzia delle Entrate, quando una branch estera in regime di branch exemption (BEX) viene trasferita in seguito a un’operazione straordinaria (come una scissione), bisogna distinguere due casi.
- Se l’avente causa (cioè la società che riceve la branch) sceglie a sua volta di aderire al regime BEX, allora subentra nei valori fiscali “storici” già riconosciuti alla branch, senza che si generino plusvalenze o minusvalenze.
- Se invece l’avente causa non opta per il BEX, come nel caso della scissione da Beta a Alfa, il trasferimento comporta la “fuoriuscita” dal regime di esenzione. Questo equivale, sul piano sostanziale, a un passaggio di attività, passività, funzioni e rischi dalla branch alla casa madre italiana. In tale situazione, i valori fiscali devono essere riallineati ai valori di libera concorrenza (art. 110, comma 7 TUIR), tramite opportune variazioni in dichiarazione.
In altre parole, il regime BEX sospende l’imposizione in Italia riconoscendo la tassazione allo Stato estero; quando però la branch rientra in Italia, le sue poste patrimoniali vanno rideterminate ai valori di mercato.
Per quanto riguarda l’IRAP, l’Agenzia concorda con la società: il valore rilevante è quello contabile, e la quota di produzione netta riferibile alle branch estere deve essere calcolata seguendo le regole ordinarie previste dal decreto IRAP, non più quelle specifiche del Provvedimento BEX.
Determinazione del reddito delle branch in regime di esenzione
Secondo quanto stabilito dal Provvedimento BEX, al punto 7.4, il reddito delle stabili organizzazioni estere va calcolato partendo dal rendiconto economico e patrimoniale redatto secondo l’art. 152 del TUIR.
A questo risultato devono poi essere applicate le variazioni in aumento o in diminuzione previste dalle regole sul reddito d’impresa per i soggetti residenti.
Il reddito o la perdita così determinati vanno riportati separatamente nella dichiarazione della casa madre:
- se risulta un utile, questo deve essere sottratto dal reddito imponibile o aggiunto alla perdita fiscale complessiva della società;
- se invece emerge una perdita, questa va sommata al reddito imponibile o sottratta dalla perdita fiscale dell’impresa nel suo complesso.
Il meccanismo di recapture delle perdite pregresse
Il Provvedimento BEX, al punto 4.1, introduce un sistema di recupero delle perdite pregresse:
- se nei cinque esercizi precedenti all’ingresso nel regime di esenzione la branch ha generato perdite fiscali imputate alla casa madre, i redditi conseguiti in regime BEX devono concorrere al reddito imponibile di quest’ultima fino a compensare integralmente tali perdite;
- al contrario, le perdite prodotte durante il periodo di esenzione non assumono alcuna rilevanza fiscale.
Come già chiarito, nel momento in cui si interrompe l’opzione BEX, i valori fiscali delle attività e passività della branch rientrano in capo alla casa madre, mantenendo il valore fiscale determinato fino a quel momento.
L’Agenzia concorda con la posizione delle società istanti: per i componenti di reddito che diventano rilevanti dopo l’uscita dal BEX, si applicano le regole ordinarie previste per la tassazione mondiale (worldwide taxation).
Pertanto, tali redditi o perdite concorrono direttamente alla base imponibile IRES e IRAP della casa madre, poiché la branch estera, non più in regime di esenzione, viene considerata parte integrante del soggetto residente.
Rinuncia ai crediti da parte dei soci
L’art. 88, comma 4-bis, del TUIR stabilisce che la rinuncia di un socio a un credito verso la società genera una sopravvenienza attiva per la parte che eccede il valore fiscale del credito stesso.
Per evitare che si consideri l’intero importo come imponibile, il socio deve dichiarare alla partecipata – tramite dichiarazione sostitutiva di atto notorio – quale sia il valore fiscale del credito. In mancanza di tale dichiarazione, il valore fiscale viene assunto pari a zero.
Il concordato e l’esclusione da tassazione
Il comma 4-ter dell’articolo 88 Tuir prevede che, nelle ipotesi di concordato di risanamento, la riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che supera:
- le perdite fiscali pregresse e di periodo (senza applicare il limite dell’80% previsto in via ordinaria);
- le eccedenze ACE;
- gli interessi passivi e gli oneri assimilati deducibili.
Le stesse regole si applicano anche alle operazioni di conversione del credito in partecipazioni, come chiarito sia dalla norma sia dalla relazione illustrativa al decreto internazionalizzazione del 2015.
Secondo la relazione illustrativa, la disciplina fiscale equipara la conversione del credito in partecipazioni alla rinuncia diretta:
- fiscalmente rilevante come “apporto” è soltanto la parte pari al valore fiscale del credito;
- l’eccedenza costituisce per la società partecipata una sopravvenienza imponibile.
Il socio, dunque, incrementa il costo della sua partecipazione entro il limite del valore fiscale del credito. La società partecipata, a sua volta, registra un apporto non tassabile fino a tale soglia. La parte eccedente, invece, è imponibile e può comprendere anche perdite su crediti già dedotte dal creditore.
La conversione del credito in partecipazioni non genera tassazione diretta in capo al socio sulla differenza tra valore nominale e valore fiscale del credito. Gli effetti fiscali si producono interamente sulla società partecipata, indipendentemente dai principi contabili applicati.
Grazie al rinvio del comma 4-ter al 4-bis, il regime di detassazione – totale in caso di concordato fallimentare o preventivo liquidatorio, e parziale in caso di concordato di risanamento o accordi di ristrutturazione – si applica anche quando il credito viene trasformato in partecipazioni.
Nel caso concreto, non essendo stata presentata dai creditori la dichiarazione di atto notorio, il valore fiscale delle partecipazioni è considerato pari a zero. Di conseguenza, la sopravvenienza imponibile risulta maggiore rispetto a quanto riportato in bilancio.
Inoltre, l’eventuale distribuzione delle riserve generate da tali operazioni dovrà essere trattata come distribuzione di utili, senza tener conto dell’effettivo valore fiscale delle partecipazioni in capo ai soci.
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